“To(re)ro” di Christian Petr

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Photo M. Meschiari

“Nel cerchio di luce entra una bestia, una belva. Una belva di cui il pubblico apprezza il contegno, il coraggio, la forza. Una belva che lo spettatore tenta di guidare sul proprio terreno per giocare con lui e comporre un’opera d’arte effimera. Ma ecco che il pubblico si trasforma in toro, ecco che la bestia rinasce in un torero sublime che scolpisce l’animale selvaggio e lo spinge a essere più grande di sé. Ecco che un’ambiguità plana sugli eroi. Ecco che colui che va a morire e colui che uccide sono di volta in volta l’uno, l’altro, e chi guarda. Ecco questo mostro a tre teste. Con questo giro di ruoli, che teatralizza To(re)ro si sprigiona l’intensità propria dello spettacolo della corrida, della vita”.

È la quarta di copertina di questa densissima e brevissima opera teatrale. È l’opera che Christian Petr, professore di letteratura francese a Avignon, aficionado, morto un anno e qualche mese fa, ha lasciato per spiegare che la corrida è un’arena di metafore, un gioco del rovescio che riguarda tutti. Qui. Adesso. 

Opera rappresentata con successo in Francia e in Belgio avrà forse un’appendice italiana. Io lo spero. Perché il testo merita. Perché la prima corrida che ho visto in vita mia è stata ad Arles. Grazie a Christian.

“Mi aspettate. / Nell’impazienza di ciò che deve accadere. / Voi sapete che uscirò da questa bocca d’ombra / che sorgerò dalla notte come un incubo / mostro notturno, per gettarmi, per chiudermi in questo cerchio di luce / in questa luna / piena. / Mi aspettate / nel desiderio del rumore degli zoccoli / del loro martellare / dei muggiti / della polvere che si alza e indurisce il cuore”.

Christian Petr, To(re)ro, Atlantica 2010, 52 pp., 12 euro, ISBN 978-2-7588-0329-4.

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(Modena, 1968) è antropologo e scrittore, oltre che aficionado. Ha visto la sua prima corrida ad Arles, il 9 aprile 2004: Javier Sánchez Arjona per Enrique Ponce, El Juli, José Mari Manzanares. matteomeschiari@uominietori.it

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