Poi, all’improvviso, nella notte della ragione, un gesto. È il gesto che fa l’arte. E non c’è che l’arte – qualunque essa sia – a rendere divino l’essere umano.
Il gesto per me è arrivato domenica sera, mentre la notte incandescente scendeva su Las Ventas, e un artista trovava dentro di sé la grazia. La grazia che è prerogativa degli umani, quella pienezza che tracima senza chiedere nulla in cambio, che supera gli argini perché trabocca e si diluisce in un istante di leggerezza. Ho visto e sentito tutto con un tale sconcerto di meraviglia e vertigine che mi sono ritrovato a domandarmi come mai lo avessi dimenticato. Come avevo potuto dimenticare quel che un essere umano può dare, quando la grazia che lo rende divino si diluisce nel gesto di arte pura, la morte viene superata e la bellezza prende il sopravvento? Come avevo potuto dimenticarlo?
In effetti, so bene perché avevo dimenticato. Da mesi e mesi contemplo l’essere umano che anziché farsi divino si getta nell’abisso del Male Assoluto. L’essere umano che usa ciò che lo distingue dagli altri animali, ossia il logos, non per attingere grazia e bellezza, ma per realizzare l’orrore puro. Da mesi e mesi contemplo l’essere che mostra la sua lontananza dagli altri animali perché nessun animale non dotato di logos sterminerebbe i cuccioli della sua specie, nessun altro animale raderebbe al suolo un mondo, ammazzando una stirpe intera, irridendola con ferocia senza fine, mettendola alla fame e umiliandola, pur di prevalere con il suo logos di follia fino a bruciare ogni cosa, bruciare tutto, bruciare ogni amore e ogni bellezza, bruciare, che in greco si dice kaio, bruciare tutto, che in greco si dice olon, realizzando così quello che in greco si chiama olocausto.
Avevo smesso di cercare il gesto di grazia e di bellezza. E all’improvviso è arrivato. C’era un essere umano nella scena colorata di sabbia ocra, un artista di nome José Antonio Morante de la Puebla, uno che lotta con i demoni del suo logos da sempre, e davanti a sé aveva un animale perduto, e lui era appena riuscito a portarlo con sé per sentire il divino che abbiamo dentro, per vincere la morte, lo aveva appena spinto a unirsi a lui in una danza di levità estatica e in quell’unione aerea, il logos dell’umano era all’estremo opposto del logos che tutto brucia, perché l’uomo si era fatto animale divino, e allora il gesto di Morante de la Puebla si è materializzato in un vero e proprio gesto di infinita grazia: una carezza.
Non aspettavo altro che il gesto, da mesi e mesi, anche se non ne ero consapevole, tanto preso ero nella domanda continua sull’orrore di cui solo noi possiamo essere autori. Poi il gesto è arrivato. Una carezza nell’aria caldissima appena mitigata dall’ombra della sera. Allora ho ritrovato il senso dell’arte che più amo. E il brivido della vittoria divina sulla morte che ci unisce a ogni altro animale e che tuttavia non siamo noi a elargire bensì la natura stessa, perché così deve essere. Niente orrore. Solo bellezza. La bellezza e la grazia che trionfano e ci restituiscono il posto che ci spetta nel cosmo, il posto che facciamo di tutto per perdere.