Peón de confianza

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Io adoro il peón de confianza. Adoro tutto quel che rappresenta. Adoro questo uomo nella tauromachia.

Il matador senza peón de confianza è finito. Ha bisogno di lui e del suo aiuto tranquillo lieve invisibile (senonaltro agli occhi del pubblico comune). Ha bisogno del suo sguardo e della sua esperienza. E sa che non gli mancheranno mai perché lui, il peón, non dimentica, non si distrae, è sempre presente, pronto a aiutare il suo Maestro. A volte a istruirlo. Perché il peón ne ha viste tante, ha vissuto molte lotte e molte amarezze e molti trionfi e in genere ha più esperienza del suo giovane Maestro.

Ma tutta questa retorica sul subalterno che umilmente e nascostamente aiuta il matador non ha nulla a che vedere con gli aspetti più significativi che manifesta un grande peón de confianza, e del vero momento in cui il peón diventa indiscutibile e inarrivabile.

Sono casi estremi ma decisivi per capire la grandezza della tauromachia.

Riguardano il momento della verità. E il vero amore.

Arriva per tutti i toreri il momento della verità. Non quello che siamo abituati a chiamare così – quello in cui il matador deve uccidere il suo animale (dunque due momenti della verità ogni corrida) – ma quello supremo in cui l’uomo vede arrivare il “suo” toro.

Lo sapeva. Sapeva che prima o poi ci si sarebbe trovato davanti. Ma, nonostante lo avesse fronteggiato in altre occasioni, un toro simile a quello che è arrivato ora e che è chiaramente il “suo toro”, e nonostante avesse visto all’opera altri colleghi con il “loro” toro, e nonostante si fosse preparato in tutti i modi (allenamenti, esercizi spirituali, concentrazione, empatia, autoanalisi e tutto quel che serve), be’, nonostante tutto, adesso, nell’arena, il matador sa che non è servito a nulla. E sa che il “suo toro” lo atterrisce e avrebbe voglia di uccidersi piuttosto di affrontarlo. Avrebbe voglia di fuggire o di trovare una scorciatoia. Ma non esistono scorciatoie. Non si può fuggire. Se fuggisse sarebbe ancora peggio. Il “suo” toro è lì, è arrivato, e ora lo deve affrontare.

Ecco entrare in gioco l’amore. Spesso l’enorme amore del suo peón de confianza.

Non succede sempre. Ma se il peón ama il suo compagno (che allora non è più il Maestro, né il matador, ma solo l’amico, l’amico che trema in mezzo all’arena e che il peón guarda con l’amore e la dolcezza che solo lui può avere per l’amico) allora noi vedremo nella plaza uno di quei momenti che rendono il toreo eterno. Eterno della vera eternità, quella effimera.

Vedremo il peón che è vicino al suo compagno pronto a sussurrargli: “Sono qui. Tranquillo. Lo sai fare.” Vedremo il saggio amico disincantato e orgoglioso delle sue passate sconfitte pronto a fare un gesto che dice “ci sono qua io, io so come vanno le cose e le cose alla fine andranno avanti”.

Generalmente bastano poche parole di affetto. A volte basta anche soltanto che il matador senta il suo amico accanto, lì dietro la barrera.

Ma perché ha bisogno del suo peón, il matador?

Generalmente il motivo è semplice: il peón ha già incontrato il “suo” toro, l’animale che lo ha atterrito e lo ha sconvolto fino alle lacrime e gli ha fatto tremare la terra sotto i piedi. Generalmente – nessuno lo sa – il peón è più maturo quanto a un’esperienza del genere e diventa, rispetto all’amico, quello che nella Grecia antica, nella dinamica erotica, era l’amante con il suo amato.

Ma ancora più interessante è il modo in cui il peón si avvicina al matador, la maniera in cui l’amato si fa amante. Sono due i casi. O il matador chiama il peón. O il peón arriva da solo. Molte volte il peón capisce immediatamente (ormai conosce il compagno, ne intuisce le risposte e i comportamenti e sa subito vedere nell’occhio dell’amico l’improvviso vacillare delle sicurezze) e corre lungo il callejòn per raggiungere il luogo più vicino all’amico e fargli capire che lui è lì, pronto a qualsiasi cosa, soprattutto per far sentire al Maestro che non è solo, non è vero quel che pensa (e il peón lo sa che lui ora lo pensa), ossia che l’arena improvvisamente è calata in un’altra dimensione temporale e non c’è più pubblico, né presidente, né giornalisti, fotografi, impresari, né medici, né areneros, né monosabios, né nessuno, no, non è così, il matador non è solo, e fra la folla che assiste c’è anche lui l’uomo più amato dal matador che in questo momento è diventato l’amico unico, quello che più lo ama, che più lo accudisce e gli è vicino.

Ma non sempre il peón viene da sé, senza sollecitazione. A volte è il matador che lo chiama, nonappena sente le viscere stringersi perché ha intuito che il “suo” toro, sempre atteso e temuto, stavolta è arrivato. Alza gli occhi verso il callejòn e cerca lo sguardo del peòn de confianza, l’uomo della confidenza, l’uomo della fiducia, l’uomo dell’amore vero e nascosto a tutti. Allora il peòn capisce che è arrivato il toro del suo compagno e corre da lui. Gli dice “tranquillo, aguantar, aguantar, lo sai fare, lo sai fare bene, non muoverti, fingi di non aver paura, lo so che ne hai, l’abbiamo tutti, ma ora puoi far paura alla tua stessa paura con la semplice fermezza d’animo. Tranquillo ci sono io. Aguantar. Ci sono io”.

Non servono neppure tutte queste parole, in genere, al matador. Noi vediamo nell’arena della vita, il matador che improvvisamente riacquista colore solo perché sa che dietro di lui c’è l’uomo che lo ama e che è lì e che non lo ha lasciato proprio adesso, nel più vero dei momenti della verità.

A volte possiamo vedere anche il contrario di tutto questo.
E’ interessantissimo. Anzi, forse ancora più interessante di tutto quello di cui ho parlato finora. Perché sono cose belle, in fondo, quelle che ho raccontato. E dunque un po’ retoriche anch’esse, come molte cose che noi riteniamo belle.

E così esistono casi in cui noi vediamo il torero chiamare il peón e vediamo il peón fingere di non aver sentito il suo amico che lo chiama. O vediamo il peón distratto che non si accorge e sta guardando altrove. O vediamo il peón che fa uno sguardo al suo Maestro come a dirgli ci sono e invece non c’è e non si avvicina all’amico e non va da lui a fargli sentire la sua presenza a fargli capire che lui c’è e che aguantar è l’unica strada e che nell’aguantar lui lo sosterrà. Vediamo il peón immobile, invece. Magari sta ridacchiando con qualche altro collega o addirittura qualcuno sugli spalti.

E’ un momento eccezionale. Noi pubblico dell’arena della vita osserviamo il dolore enorme del matador tradito. Spesso vediamo che il dolore si trasforma in forza perché il matador riesce a fare da solo, riesce a farsi forza del tradimento che lo ha lasciato solo davanti al “suo” toro. A volte nessuna forza, invece, ma fuga, fuga disperata e disperante per tutti. Possiamo assistere a molti svolgimenti dello spettacolo. Ma quel che resta è il peón distratto, lontano, assente. Perché? – ci chiediamo. Forse ha avuto paura di non poter dare tranquillità al matador? Forse non ha voluto tornare indietro con la mente al “suo”  toro? Forse non ama il matador? Forse è stato con il suo Maestro per soldi e ora che serve ben altro rispetto al solito impegno lui non ne ha? Forse addirittura prova invidia per il suo “amico” e è felice che finalmente sia capitato anche a lui e non vuole aiutarlo perché quando lui affrontò il “suo” toro nessuno venne a aiutarlo e il peón del tempo allora fece lo stesso con lui e scomparve? Sono mille le possibili spiegazioni. la peggiore delle quali è la distrazione che in certe arene vediamo dipinta sul volto di un peón da strapazzo, lì per briciole di denaro, completamente avulso ormai da ogni realtà del suo mestiere. Ma sono casi rarissimi.

In generale, noi assistiamo a momenti comunque eroici, perché destinati a non essere dimenticati, e capaci di mostrare la natura umana in pochi attimi di splendore.

Tutt’altro poi è quel che succede dopo.
Nel bar dopo la corrida, spesso il peón finge che non sia capitato nulla e invita il matador a un giro di bevute. In genere il matador rifiuta e basta. A volte il matador picchia il peón. A volte lo fa fuori dalla cuadrilla. A volte lo perdona subito perché ha capito cosa è successo. A volte semplicemente capisce che non lo amava, quel peón. A volte invece addirittura l’amore nasce.
Tutto è possibile, dopo il grande momento della verità, ma quella è una storia che non ha a che fare con l’arena. E noi, pubblico appassionato, non possiamo seguirla.

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