El Fundi, concerto per oboe e picca

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ph Luigi Ronda

Si è aperto il portone delle quadriglie e sulla pista si è presentato El Fundi.

Il cielo sopra Ceret era grigio e tetro, come si conviene ad ogni addio: pochi istanti ancora e la Cobla Mil.lenaria avrebbe attaccato quel bolero marziale e onirico, e il veterano di Fuenlabrada avrebbe sfilato per l’ultima volta montera in testa fino al balconcino della presidenza. Come si conviene a chi matador de toros è stato sul serio, la festa dell’addio non prevedeva né ricchi premi né coppe di champagnie: digerirsi i Moreno Silva per l’ultima volta a Ceret significa essere torero, uomo e torero, e più giusto commiato di un paio di saltillos veri e selvaggi non poteva pensarsi.

La pista completamente vuota, El Fundi compiva solo pochi passi e si fermava, lo sguardo austero e serio come sempre, la mascella solo un grado più tirata del solito: davanti a quella figura statuaria, un ragazzo vestito a festa, la camicia bianca e i pantaloni di lino neri.
Gli applausi, fino ad un attimo prima scroscianti, si tacevano lentamente e il ragazzo appoggiava alla bocca l’ancia dell’oboe che teneva in mano: in un’atmosfera irreale e sospesa i due uomini stavano l’uno di fronte all’altro, ad unirli le note che uscivano da quel clarino e gli occhi di tanti che segretamente si facevano umidi. Là in fondo un uomo a cavallo, a dare nobiltà e senso alla cerimonia.
Quella melodia ora dolce ora strozzata era l’omaggio di un’arena intera ad un torero che di quell’arena aveva fatto la storia, era un concerto privato e insieme pubblico per oboe e sentimenti.
La stretta di mano tra i due, terminato lo spartito, sanciva l’eterno legame tra un uomo sincero ed un’aficion rigorosa e riconoscente.
Sublime.

E chissà se El Fundi immaginava che quel concerto prevedeva un secondo atto, tumultuoso questa volta, roboante come una sinfonia di tamburi e legni, trascinante e impetuoso.
Incaricato dello spartito Tito Sandoval, che riceveva Palmito una prima volta con una picca ferma e sicura, per contenere quella carica brutale e assassina al collo del cavallo.
580 chili di muscoli e rabbia partivano dal centro, poco dopo, per andare di nuovo all’assalto del castello, e questa volta il picador moderava la dose, conscio che sul pentragramma le vere delizie erano riservate alle battute successive.

Terza picca, Palmito esita e pure non ha altro negli occhi che quel cavallo.

Tito Sandoval lo chiama, lo provoca, e poi con un gesto che profuma di tauromachia ottocentesca si leva il cappellaccio bianco e lo lancia in mezzo alla pista, sotto al muso del toro. Palmito cede, corre, le corna nel fianco del cavallo, il tamburo suona, il teatro è in piedi. Tito Sandoval e Palmito, in un’incisione di Goya.
Ha un quarto movimento la sonata, e c’è Tito Sandoval che questa volta veste i panni del cowboy e mentre le corna di quella bestia sono sempre più vicine fa roteare il bastone del suo arpione, con una mano sola, come Buffalo Bill faceva roteare la colt, piccando al regaton.
L’ovazione è assordante, e copre la musica, questa volta suonata davvero, che arriva dalla cobla.

Alla fine dello spettacolo, gli applausi.

Degli areneros di Ceret, robusti e nerboruti, allineati dal portone fino al centro della pista, in due ali d’onore che hanno risucchiato e accompagnato l’ultima uscita del Fundi.

Meraviglie.

Ceret, 14 luglio 2012 – corrida di Moreno Silva
6 bestie spaventosamente armate e pesanti, senza reale bravura e meno selvagge del previsto, solide e malitenzionate nel complesso.
El Fundi, ignorato e liquidato malamente il primo, strappava un’orecchia generosa a Caparro, dopo una faena essenzialmente destrorsa e una spada esemplare. Fischi e applausi per i suoi due.
Javier Castaño era valoroso e lidiador di fronte a Palmito, dopo che Sandoval aveva catapultato tra gli angeli il conclave e l’intera cuadrilla aveva salutato nel secondo atto. Palmito dominato al termine di una faena ammirevole, il fallo alla spada e le ritrosie del pubblico impedivano al torero qualsiasi trofeo (applausi al toro e saluto all’uomo). Insipido e problematico il suo secondo avversario, silenzio per i due.
Serafin Marin ha dalla sua che è catalano in terra catalana: ché altrimenti un torero che si lasciasse scappare i due tori migliori del pomeriggio avrebbe vita breve, da queste parti. Applausi per Lemanoso, uscito vincitore nei tre atti contro tutto e tutti, e grossi applausi per Gallito, un toro completo e vivo, rapido, intelligente, sciupato da un toreo insapore e rettilineo.

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