Alle origini del cinema: i tori di Musidora

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(immagine dal web)


L’epoca del muto – panoramica minima

Nel 1898 i fratelli Lumière, o più probabilmente i loro operatori, girano in Spagna 37 caricatori di pellicola, 37 film da 17 metri l’uno della durata approssimativa di 50 secondi,  di questi ben 12 sono a tema taurino e dai titoli appare chiara l’intenzione di fissare cronologicamente tutto lo svolgersi di una corrida: dal trasporto dei tori all’epilogo nell’arena. Questi i titoli riportati nel sesto catalogo dei fratelli lionesi: Traslado de los cajones con los toros, Escuela de tauromaquia, Encierro, Salida de la cuadrilla, Picadores, Pases de capa, Banderilleros I, Banderilleros II, Estocada, Muerte del toro, Arrastre de un caballo y de un toro, La salida. Per quanto si tenda, giustamente, ad attribuire ad altri l’evoluzione e la codificazione del linguaggio cinematografico così come lo conosciamo, i film dell’immenso catalogo Lumière offrono sempre molto di più di quello che ci si aspetta: un senso dell’inquadratura impeccabile, l’utilizzo dinamico della profondità di campo, una consapevolezza sorprendente circa la necessità di un ritmo, almeno spaziale, a dare un senso a quei cinquanta secondi di singola inquadratura fissa. Questi esperimenti sono spesso di tale perfezione e bellezza da farci pensare, guardandoli, che forse la settima arte fosse già pienamente compiuta e che quei primi passi tutt’altro che claudicanti di fine ‘800 contenessero già tutto quanto fosse necessario.

Purtroppo i dodici titoli che qui ci interessano non fanno parte dei centoquattordici il cui recente restauro è stato curato da Thierry Frémaux, direttore dell’Istituto Lumière di Lione. Muriel Feiner, scrittrice, cinefila e aficionada, autrice del bel libro “De Lumière a Manolete – El cine taurino” non riporta in merito che poche righe. Picadores, quinto titolo della serie, è visionabile in rete in una riproduzione a 25 fotogrammi/secondo più che dignitosa, la caccia al tesoro è aperta.

Per chi scrive quei primi fotogrammi impressionati in un’arena, facenti parte di un cinema dimenticato e così fortemente materico, regalano l’identica emozione che qualcuno, immagino, potrebbe provare al cospetto delle prime pennellate di Goya o leggendo per la prima volta quelle poche righe di Cervantes in cui il caro Don Chisciotte si ritrova a soccombere ai tori lungo le assolate strade di Spagna.

Da quel significativo esordio l’epoca del muto si arricchirà di un numero vastissimo di soggetti a tema taurino, si tratta  di un patrimonio filmico in buona parte disperso di decine e decine di titoli: lo stesso Vicente Blasco Ibañez, autore del romanzo omonimo,  dirigerà insieme a Ricardo de Baños la prima versione di “Sangre y arena” nel 1916;  Ricardo de Baños firmerà poi nel 1919 “Los arlequines de seda y oro” in una doppia versione, una delle quali edulcorata ed epurata della maggior parte delle sequenze taurine per compiacere il mercato estero;  “Burlesque on Carmen” vede Charlie Chaplin nel 1916 indossare i panni di Don José e Rodolfo Valentino diretto da Fred Niblo darà vita alla seconda versione di “Sangre y arena” in un film già ricolmo di quella tracotanza produttiva che segnerà nel novecento il predominio, anche artistico, ci mancherebbe,  della grande Hollywood; il più grande collezionista al mondo di pellicole taurine, il messicano Julio Téllez, riuscì a recuperare  l’unica copia rimasta del film prodotto e interpretato da Marcial Lalanda: “Viva Madrid que es mi pueblo!” (1928), oltre tre ore di durata per un titolo definito da Muriel Feiner “una verdadera joya cinematogràfica” e oggi restaurato dalla Filmoteca Nacional de España. Sono solo alcuni esempi. Tra documentari, film a soggetto, incursioni comiche e farsesche, nomi illustri e matador prestati al set l’elenco sarebbe interminabile e buona parte del materiale irreperibile ma c’è un episodio in particolare che merita a mio avviso un approfondimento e al quale questa sommaria introduzione ci porta: Musidora.

Jeanne Roques/Irma Vep/Musidora

Jeanne Roques (Parigi, 23 febbraio 1889 – Parigi 11 dicembre 1957), in arte Musidora, fu ballerina, poetessa, saggista, attrice, produttrice, regista. È nel 1915 che Louis Feuillade dà vita per la Gaumont al serial in 10 puntate “Les Vampires” ma è dalla terza puntata  che Jeanne Roques, notata dal regista tra le fila delle Folie Bergères, fa il suo trionfale ingresso sullo schermo e nella vita dei parigini: con il nome di Irma Vep (facile anagramma), fasciata in un attillato costume nero, il volto reso inquietante dal pesante trucco a ridisegnare occhi e labbra, le movenze sensuali, lo sguardo profondo, conturbante e minacciosa, cambia le sorti di un prodotto fino a quel momento accolto tiepidamente. I surrealisti, catturati dalle atmosfere oniriche evocate, ne faranno la loro musa; il prefetto di Parigi ossessionato vuoi dal soggetto vuoi dall’audacia della rappresentazione cercherà di fermare la diffusione pubblica sequestrando con scarso successo alcune copie del film. Nasceva il mito di Musidora, nasceva l’archetipo poi replicato all’infinito della vamp.

L’immagine di Musidora resterà sempre legata e sovrapposta a quella di Irma Vep ma Jeanne Roques fu donna intelligente e colta, continuerà a dedicarsi al teatro e spinta dallo stesso Feuillade sarà tra le prime donne a mettersi alla prova dietro la macchina da presa. Delle sue regie non rimane molto ma arriva quasi intatta fino a noi l’esperienza cinematografica e personale fatta in Spagna tra il 1921 e il 1924: tre film (“Pour Don Carlos”, “Soleil et ombre”, “La tierra de los toros”)e una grande storia sentimentale con il torero Antonio Cañero.

Soleil et ombre

Sarà il film “Pour Don Carlos”, adattamento cinematografico del romanzo di Pierre Benoît uscito un anno prima, a inaugurare le attività della Société des Films Musidora nonché a confermare il sodalizio personale e artistico con Antonio Cañero qui in veste di consulente, ma è con il film successivo “Soleil et ombre”, arrivato fino a noi incompleto per circa un terzo della sua durata originale, che i confini tra vita e arte iniziano a farsi sfocati.

Firmato insieme a Jacques Lasseyne, sceneggiato e scenografato dalla stessa Musidora “Soleil et ombre” adatta per lo schermo la novella “L’espagnole” di Maria Star e vede la nostra interpretare entrambe le donne che si contendono l’amore del grande matador di Valencia. Superstizione, religiosità, rancori, vendette, morte ed espiazione si dipanano di sequenza in sequenza ma l’attenzione ai tori non è accessoria né tantomeno pretesto estetico o folkloristico: ogni tercio viene mostrato con dovizia così come i tori al campo, la macchina da presa segue i passi dell’uomo e le cariche dell’animale con movimenti di macchina non scontati per l’epoca, inquadrature ravvicinate si alternano a momenti in cui la lidia viene documentata nel suo svolgimento reale. «El toro es un actor rebelde. Es imposible corregir su actuaciòn o hacerle repetir tomas a capricho del director» (Augustin Dìaz Yanes). L’arena è protagonista, sia essa ricolma di pubblico e di sguardi in primo piano oppure svuotata e maestosa a intimidire la figura umana relegandola in una piccola porzione d’inquadratura.

È un melodramma rigoroso e impeccabile “Soleil et ombre”, fatto di immagini curatissime per composizione e tagli di luce le cui ombre inquietanti sembrano guardare alle avanguardie del contemporaneo cinema di Weimar.

Nell’immagine di Musidora che, attraversando lo spazio dell’inquadratura da sinistra a destra, si avvicina all’obiettivo mutando un piano medio in primissimo piano, chiudendo poi a iride sullo sguardo, riscopriamo tutto il gusto, la consapevolezza e la sapienza registica della nostra.

La tierra de los toros

“Ce film a été tourné au milieu du danger constant; mais il ne doit vous donner que l’impression de la fête du soleil et de la gloire de l’Art du geste. Musidora.”

È questa una delle didascalie che aprono il capitolo conclusivo della trilogia spagnola, nelle intenzioni di Musidora doveva trattarsi di qualcosa di ancor più ambizioso di un film diretto, interpretato e prodotto: la pellicola, divisa in tre parti, doveva originariamente comporre uno “spettacolo totale” in cui l’attrice si sarebbe esibita in una performance attoriale di danze, canzoni, letture, parti recitate durante gli intermezzi. Difficile oggi immaginare il magnifico spettacolo così come dovette pensarlo e realizzarlo la nostra eroina, dell’inedito progetto è rimasto ben poco: qualche programma di sala, vecchi articoli e un’unica copia del film conservata negli archivi della Cinémathèque Française.

La pellicola si regge su un semplice canovaccio narrativo: Musidora è alla ricerca di un torero da scritturare per un suo spettacolo, lo trova in Antonio Cañero, qui ganadero e rejoneador; al rifiuto di lui si traveste allo scopo di rendersi irriconoscibile (ancora il tema del doppio) e prendersi gioco dell’uomo in attesa di riuscire a persuaderlo. Rivelatasi, sarà lei ad abbandonare il mondo dello spettacolo per seguirlo al campo.

Seppur a un primo sguardo meno interessante, sia dal punto di vista estetico che da quello narrativo, di “Soleil et ombre”, il film regala in realtà una profonda e intima riflessione personale sul ruolo di diva e attrice all’interno di un già fiorente star system e lo fa indagando con approccio autoriale un linguaggio che unicamente nella forma trova il suo pieno compimento. Musidora si prende in giro con deliziosa autoironia, si presta a gag comiche, rievoca con un sorriso la femme fatale relegando la vampira all’immagine di una vecchia locandina appesa a un muro e si abbandona al gioco di sguardi continuo, eloquente, compiaciuto con Antonio Cañero. Tutto adorna e fa da contrappunto all’autentico protagonista del film: il sole dell’Andalucia. “La tierra de los toros” è quasi esclusivamente girato in esterno giorno, campi lunghi e lunghissimi in piena luce dove sfilano uomini, tori e cavalli su porzioni sterminate di terra andalusa e le pochissime, brevi inquadrature in interno sono ugualmente inondate di luce così come le vie cittadine incorniciate dalle architetture arabeggianti dell’arena, Musidora celebra ancora una volta la fiesta brava ma lo fa con un sorriso, evita la scorciatoia narrativa del tragico e muove la macchina da presa al campo, segue moltitudini di tori in corsa, ci mostra le donne del villaggio chiudersi in casa al loro passaggio in una nuvola di polvere, beve vino di Xères e cade sbronza sotto lo sguardo indulgente del Matador, prende un toro per la coda e si esibisce in passaggi di muleta e poi ancora sole, cielo e terra in uno sterminato tutto a fuoco quasi ci fosse l’intenzione di contenerla tutta questa terra di Spagna.  Sarà lei stessa nell’ultima sequenza ad abbracciare idealmente una nuova esistenza marchiando a fuoco un animale.

Si dovrà attendere oltre un quarto di secolo perché Budd Boetticher riesca, negli anni ’50, a riportare su grande schermo un omaggio ugualmente sentito e devoto al mondo dei tori.

“La tierra de los toros” sarà l’ultimo film girato in veste di regista da Musidora, da lì a poco si concluderà anche il legame sentimentale con Antonio Cañero, quei tre anni al febbrile inseguimento dei tori, lontana da quella Parigi che la idolatrava, saranno fatali anche alla sua carriera d’attrice; l’intatta indole pioneristica la porterà, nel 1942, alla Cinémathèque Française, dove rivestirà il ruolo di prima archivista e responsabile del servizio di documentazione, ruolo che onorerà fino alla fine dei suoi giorni.

Oggi ripensiamo a Musidora ogni qual volta viene rievocata in una delle mille reincarnazioni nerovestite che hanno riempito la cultura pop fino ai giorni nostri, altrettanto doveroso sarebbe ricordare quello sguardo innamorato d’artista che dalle gradinate dell’arena di Toledo incrociava con gioia e trepidazione il vorticar di cappa del matador.

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Note:

° La Cineteca del Friuli in occasione dell’edizione 2000 de “Le Giornate del Cinema Muto” dedicò un’ampia retrospettiva a Louis Feuillade durante la quale vennero riproposti integralmente i 10 episodi di “Les vampires” in 35mm

° La Cineteca di Bologna, nell’edizione 2019 de “Il cinema Ritrovato”, ripropose la trilogia spagnola. Grazie al gruppo teatrale dei “Musidoros” la proiezione di “Tierra de los toros” venne arricchita dalla lettura di scritti e poesie dell’artista francese e dalla proiezione di fotografie e fantasmagorie nel tentativo di riproporre l’intento originale dell’operazione o, almeno per una sera, far rivivere Musidora.

° Muriel Feiner, “De Lumière a Manolete –  El cine taurino” Ediciones Sol y Sombra – pp 392. Mai stato tradotto, è facilmente reperibile in lingua spagnola.

° Molti dei titoli citati sono disponibili in rete a una velocità di proiezione di 25 fot/sec perpetuando così il falso storico secondo cui all’epoca del muto gli attori si muovessero come marionette impazzite.

° Il mio ringraziamento alla Cineteca di Bologna e in particolare ad Andrea Peraro per aver reso possibile la stesura di queste righe mettendomi a disposizione materiale altrimenti irreperibile.

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