Tauromachia e preistoria

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Arles, 19 aprile 2014 (Photo M. Meschiari)

Lo studente universitario di primo anno che segue un corso di antropologia culturale diventa presto familiare con la coppia concettuale “alterità-identità”. Il dibattito tra gli addetti ai lavori è forse un po’ più articolato e complesso, ma essenzialmente quello che si dice in antropologia è che l’identità, individuale, sociale, etnica, non è data una volta per sempre, ma è in progress, in costante definizione. Alcuni sostengono che l’identità, come profilo immobile e identificante, addirittura non esiste, ma continuare a parlare di identità è comunque necessario perché è una parola che gira sulla bocca di tutti, evocata, storpiata e ovviamente strumentalizzata. Ma lo studente del primo anno non impara solo questo. Esistono anche dei “meccanismi” di rafforzamento identitario: invento un “altro” che mi somiglia o che si distingue da me per specchiarmici dentro, per vedere meglio chi sono o, più di frequente, chi credo o chi vorrei essere. Uno di questi meccanismi, universalmente adottati, è quello del mito di fondazione, delle origini, delle radici che affondano nel passato. Ogni gruppo culturale ne ha uno e anche il mundillo di aficionados francesi ha inventato il proprio.

L’ONCT (Observatoire National des Cultures Taurines) è stato fondato ad Arles il 22 marzo 2008 su impulso di André Viard. Il suo scopo è «studiare, difendere e promuovere la cultura taurina in tutte le sue forme. […] Fare emergere la comunità del toro come minoranza culturale da rispettare in ragione della ricchezza del suo patrimonio e della sua importanza». Il logo dell’ONCT è la testa stilizzata di un toro che, per i conoscitori, è immediatamente riconoscibile come il profilo di un bovide dipinto nella grotta paleolitica di Lascaux. Chi conosce Lascaux, però, noterà un dettaglio non da poco, e cioè il profilo dell’uro è speculare rispetto all’originale che guarda verso sinistra. Dettaglio non da poco perché ci porta al cuore di una polemica che vorrei ricapitolare qui per Uomini e Tori.

Nell’aprile 2014, in occasione del 50° numero della rivista Terres taurines diretta da André Viard, esce un articolo dal titolo Tauromachies pariétales. Il pezzo si concentra su tre immagini parietali risalenti al Paleolitico superiore contenute nelle grotte di Villars, Roc de Sers e Lascaux, tutti siti che si trovano nel Midi della Francia. Queste immagini sono databili tra 20.000 e 17.000 anni fa e rappresentano tre scene in cui sono implicati una silhouette umana e un bovide: un bisonte, forse un uro che carica un umano a braccia alzate posizionato frontalmente rispetto alla bestia (Villars), un umano che fugge inseguito da un bisonte (Roc de Sers), un bisonte che colpisce un umano (Lascaux). Ma gli esempi si moltiplicano e l’articolo cita anche un propulsore in osso di renna (rinvenuto a Laugerie-Basse) che rappresenta un uomo atterrato da un bisonte. Secondo l’articolo, non firmato, ma fortemente voluto da Viard, e di fatto di suo pugno, si legge che «Realizzate nel passaggio tra Solutreano e Magdaleniano, queste tre opere eccezionali testimoniano, nell’arco di 3000 anni, l’esistenza di un mito ricorrente che invita a pensare che è tra la Dordogne e la Charente che sono nate tutte le tauromachie». Quindi, non solo che si tratta di forme di tauromachia nella preistoria, ma che la tauromachia tout court è nata in Francia. L’articolo continua soffermandosi sui dubbi di interpretazione: atto fondatore concreto o narrativa fantastica?

Nel 1968, Georges Charrière, su «La Revue des Histoire des Religions» (n. 174/1), pubblicata dal Collège de France, descrivendo la scena di Villars, aveva scritto: «un uomo, di fronte a un bisonte che lo carica come nel Pozzo di Lascaux, cioè a tasta bassa e sbattendo la coda, fronteggia la bestia con atteggiamento da matador, agitando forse con la mano destra una cappa o una muleta che devierà la carica combattiva dell’animale». E ancora, per Roc de Sers, parla di dettagli che evocano altri «cliché dell’arena, come la mossa abile di un colpo d’anca che schiva o, al contrario, l’imminente e poco gloriosa incornata dei posteriori».

Proiezioni sovrainterpretanti o deduzioni legittime? Terres Taurines continua lo scavo e, sempre senza firma, pubblica sul numero 52 un dossier dedicato al “modello simbolico”. Si tratta di un libero excursus che oltre al caso di Villars, descritto senza mezzi termini come «la prima tauromachia dell’umanità», aggiunge nuclei figurativi più antichi (il bisonte antropomorfo rinvenuto nella Grotta Chauvet, databile a 32.000 anni fa) e altri di epoca storica, più noti al grande pubblico: Assurbanipal, Ercole, Dirce, Mitra… Facendo dunque riverberare il “recente” noto sul preistorico ignoto, il pezzo costruisce una falsa alternativa: mito arcaico che mostra un personaggio eroico che rischia la morte per dare la vita, cioè una «dimensione cristologica della sfida», oppure semplice prova di «coraggio, forza e fertilità»? Qualunque soluzione si scelga in questa coppia chiusa che viene apparecchiata al lettore, è impossibile non percepire un’aria di famiglia con la corrida. Manca solo l’abito di luce, il picador e la banda.

Ma l’articolo procede imperterrito, intravedendo nelle “tauromachie mitico-sacre” testimoniate dalla storia antica il riproporsi del gesto fondatore preistorico. Inutile dire che si tratta di libere associazioni storicamente e geograficamente decontestualizzate, ma l’idea di un “mito taurino”, di una “cultura del toro”, di un sostrato tauromachico distribuiti per tutto il Mediterraneo è un’idea ricevuta che funziona sempre anche a dispetto di una vera ricerca documentaria, fino a oggi assente o parziale. Il contributo forse più interessante suggerito come spunto dall’articolo, e che certamente meriterebbe un vero scavo scientifico, è la fase sincretica in cui il proto-cristianesimo cominciò ad appropriarsi di simbologie taurine pagane in connessione a storie di martirio: Santa Blandina, Santa Felicita, Santa Perpetua, tutte uccise nel circo da fiere, tra le quali i tori. Segue comunque una mappa a tutta pagina, in pittoresco stile antico, che mostra le tre grandi regioni taurine di Francia, Guascogna, Languedoc e Provenza, con icone che localizzano le varie testimonianze parietali “taurine”. Sarebbe troppo lungo smontare pezzo per pezzo la retorica visuale e mediatica di questa operazione, che simula un’evidenza che non esiste. Dovrebbe bastare il fatto che la sovrapposizione corografica tra “terre taurine” e “tauromachie preistoriche”, definita dalla rivista «sconcertante», è di fatto inconcludente, tranne per chi voglia trovare a tutti i costi ciò che cerca, un po’ come il cane da tartufo che fiuta solo quello che è stato addestrato a fiutare.

Questo accadeva nel 2014. Nel 2017, giunta al 70° numero, Terres Taurines torna sul tema evocando un altro quadrante storico-geografico, quello delle incisioni rupestri dell’Età del rame-bronzo del Monte Bego, nel massiccio francese del Mercatour. Questa volta il pezzo si appoggia alla parola dell’esperto indiscusso in materia, il paletnologo Henry de Lumley che, tra “dio-toro” e “dea-madre”, prova a spiegare la simbologia del grande «codice di pietra» del Monte Bego. Scopo dell’articolo è invece quello di additare alcune scene di «una caccia rituale assimilabile alla tauromachia primitiva» per mostrare l’esistenza di quello che viene chiamato «il rumore di fondo del pensiero mediterraneo». Ancora una volta, cioè, il mito moderno di un Mediterraneo taurino che, anche se realmente esistito, non dovrebbe comunque consentire associazioni disinvolte tra Villars 23.000 anni fa, Monte Bego 5000 anni fa e la corrida andalusa oggi.

La ricerca delle mitiche origini della tauromachia nel Mercatour è però significativa di un cambio di passo nella tattica culturale di Terres Taurines e di André Viard, perché a un dato momento il testimone eccellente di Lascaux, da vessillo brandito con orgoglio, viene posato dimessamente in un angolo. E in effetti nel frattempo è accaduto qualcosa di abbastanza serio. Su varie testate on line e cartacee, e perdendo l’ennesima occasione di contrastare la corrida con vere argomentazioni culturali, gli animalisti francesi hanno cominciato ad attaccare pesantemente l’operazione “preistoricizzante” di Viard. Ad esempio Thierry Hély , sul sito nocorrida.com, nel maggio 2017 riassume polemica e azioni condotte contro la «falsificazione shoccante» di cui si è parlato fin qui. Per dare un’idea del tono retorico e fuorviante del pezzo ne cito un ampio stralcio, che ha comunque lo scopo di informarci sui vari passaggi della vicenda, fino al punto che mi interessa commentare.

«Dal 3 al 9 giugno 2017, il Musée Tauromachique Itinérant si è fermato al Palazzo dei Congressi di Bézier. Scopo dell’iniziativa taurina: far dimenticare la vera origine della tauromachia spagnola, dal momento che questa in gran parte trae origine nei cortili dei macelli di Siviglia dove nel XVI secolo degli uccisori si divertivano a massacrare bovini nella maniera più crudele davanti a un pubblico ilare arrampicato sui tetti (Histoire de la corrida en Europe du 18ème au 21ème siecle, edizioni Connaissances et Savoir). Per far dimenticare questa origine ingloriosa, i taurini si sono inventati una antichità rimontante alla preistoria, fino a 23.000 anni fa… mettendo tra l’altro Lascaux e la Grotta di Villars in esergo. Pretendendo addirittura, secondo il presidente dell’ONCT, André Viard, che Cro-Magnon sarebbe il primo torero… Pare di sognare! Subito la FLAC [Fédération des Luttes pour l’Abolition des Corridas] allerta i più grandi studiosi di preistoria e specialisti di Lascaux. Le loro reazioni pubbliche indignate non tardano: immediatamente confutano con forza queste asserzioni deliranti, consci del fatto che questa usurpazione infanga l’immagine di tutte queste meraviglie preistoriche. La stampa fa eco al caso, in particolare Paris Match. Non si tratta di negare l’importanza del culto del toro attraverso i secoli (spesso rappresentato come giochi sportivi a Creta, ad esempio) ma di rifiutare questo fare di ogni erba un fascio con il rituale sanguinario della corrida dove un uomo in abito di luce e dal comportamento di danzatore, tortura a morte all’arma bianca un erbivoro. L’uomo preistorico uccideva solo per nutrirsi. È questa la grande differenza! E a nostra conoscenza, tra gli affreschi di Lascaux, non si trova un uomo di Cro-Magnon in calze rosa!»

A parte il lessico da propaganda e l’aggettivazione triviale, a parte l’uso selettivo e in malafede delle fonti e la risibile ricostruzione di un uomo preistorico politicamente ed eticamente corretto, quello su cui vale la pena concentrarsi è la reazione dei professionisti del settore chiamati a fare chiarezza. Alcuni di essi, scientificamente parlando, si pronunciano in modo netto contro l’associazione indebita. Altri, eticamente parlando, prendono una posizione ancora più netta. È il caso di Norbert Ajoulat, massimo esperto della grotta paleolitica, che dichiara: «Lascaux è la vita, la corrida è la morte!». Montignac, presso cui si trova Lascaux, si dichiara città anti-corrida. Molte autorità locali mostrano sdegno ma contemporaneamente ammettono la propria impotenza nel perseguire giuridicamente l’uso delle immagini della grotta da parte degli aficionados, in quanto si tratta di materiali di dominio pubblico. I botta e risposta in rete si moltiplicano lasciando i taurini ai loro simboli e agli anti-corrida una campagna di diffamazione riuscita solo a metà. Nessuna delle due posizioni merita un reale commento. Ciò su cui vorrei attirare l’attenzione invece è la doppia dinamica identitaria: la ricerca di radici mitiche in entrambe le fazioni, la costruzione di un passato preistorico “buono” ma di segno etico opposto. Assurdità scientifiche, sciovinismo e slogan di propaganda a parte, un’occasione mancata per lasciare Lascaux al suo misterioso silenzio.

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