Sfida per il tempo

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E cosa sfida Achille? Qual è la sfida di Achille?

Me lo hanno domandato in tanti perché quella specie di spinta alla vita con cui avevo chiuso il pezzo sul tempo che questa pandemia ci sta negando era piuttosto oscuro. Il fatto è che quale fosse la sfida di Achille non lo sapevo nemmeno io. Dovevo lanciarmi per capirlo.

I poemi omerici, come ogni esperienza estetica totalizzante, non precedono la vita vissuta, ma la seguono. Adesso posso dire con molta chiarezza che la sfida di Achille è una sfida nel tempo e per il tempo. Non è insomma una corsa contro il tempo. Ma una sfida a non correre nel tempo, a vivere il nostro tempo, dunque accettando l’unica regola decisiva per tutti i mortali: il tempo ha una fine e questa fine è la morte.

Cosa sta succedendo nei mesi che viviamo se non che questa sfida ci è castrata fin dall’inizio grazie all’idea che non si possa in alcun modo morire?

Il giorno dopo aver scritto della sfida di Achille, ho comprato un biglietto aereo per Madrid, ho riempito i moduli necessari, ho organizzato i tamponi e tutto quel che serve oggi per viaggiare e mi sono lanciato. E mentre entravo nell’aeroporto deserto ho iniziato a capire.

Poiché non si inoculano vaccini, quel che si inocula è la paura. E assieme alla paura una specie di senso di colpa. La colpa è la seguente: se ti muovi, rischi, dunque se hai deciso comunque di muoverti, colpa tua se succede qualcosa, avresti fatto bene a rimaner chiuso in casa.

Mentre bevevo una birra in un bar pressoché vuoto di Fiumicino e mi sentivo finalmente vivo, dicevo: bella questa equazione. Non è in fondo sempre valida in assoluto? Chiunque resta chiuso in casa non rischia incidenti stradali, non rischia violenze, non rischia neppure il classico vaso in testa. I rischi di morte a rimaner chiusi in casa sono infinitamente minori di quelli che corre chi esce nel mondo. Solo che chiusi in casa si è comunque già morti. E se ora, seguendo certe regole, rispettando certe indicazioni, attenendosi a certi comportamenti, è possibile uscire e vivere, perché dovremmo sentirci colpevoli di farlo?

Non ero ancora arrivato a Madrid e già ripensavo alla sfida di Achille.

Bisogna leggere per bene il IX libro dell’Iliade se si vuole sfiorare la personalità di quell’eroe tanto poco compreso.

Achille è nella sua tenda, non combatte più da giorni, e Agamennone, ormai certo che solo il suo ritorno in battaglia potrà fermare i Troiani di Ettore, si decide a chiedergli scusa e offrirgli doni in cambio di un suo ripensamento. Arrivano dunque tre “ambasciatori” – Odisseo, Aiace e Fenice – che entrando lo trovano immerso nella sua quotidianità, un’intimità familiare e domestica che rivela l’uomo. Achille sta suonando la cetra, canta scene di eroi, beve vino assieme a Patroclo. E quando sente da Odisseo quale sia la richiesta di Agamennone risponde:

“Nulla per me vale il soffio della vita: non le ricchezze / che dicono ospitasse la popolosa città di Ilio / in tempo di pace, prima che arrivassero i figli degli Achei, / né quelle che chiude al suo interno la soglia marmorea / di Febo Apollo l’arciere in Pito rupestre. / Buoi e grasse pecore si possono razziare, bacili / e cavalli dalle fulve criniere si possono acquistare: il soffio / della vita non si può, per farlo tornare indietro, né rubare / né comprare una volta che abbia varcato la barriera dei denti”

Diversamente da quello che ci si aspetterebbe abituati all’immagine stereotipata dell’eroe, Achille è uno che ama la vita più di ogni altra cosa. A tal punto che è consapevole di un fatto spesso ritenuto banale: non esiste altra ricchezza che il tempo, il nostro tempo. Il tempo si esaurisce. Tutti gli altri beni possono essere rimpiazzati, ricomprati, ritrovati. Il tempo no. E quando arriva la morte tutto vola via.

Che cosa racconta poi Achille, dopo questo inno alla vita? Pochi sanno che è in questa sezione del poema che compare l’unico esempio di quell’alternativa a cui sarebbe costretto il giovane figlio di Peleo e Teti: vita breve e gloriosa oppure vita lunga e anonima. Ma ascoltiamo Achille:

“Mia madre, Tetide caviglia d’argento, dice / che due destini mi conducono in direzione del varco della morte: / se, restando qui, combatto intorno alla città dei Troiani / il mio ritorno è perduto ma la mia fama sarà imperitura; / se torno a casa, alla cara terra paterna, / è perduta la mia fama di valoroso ma lunga la mia vita / sarà, né presto mi prenderà il termine della morte. / Ma anche a voi altri vorrei consigliare di far vela verso casa”.

Eccola qui la scelta tanto famosa fra i due corni del dilemma: tornare a casa. Vivere.

Questo breve excursus in uno dei libri più importanti del poema, potrebbe far pensare che io stia finendo in un vicolo cieco. La sfida di Achille sarebbe dunque quella di chi se ne torna a casa, evitando ogni rischio? No, non stanno così le cose. E non solo perché, dopo la morte di Patroclo, preso dalla furia, Achille tornerà eccome in battaglia anziché far vela verso casa. Ma perché quel che importa qui è che Achille vuole vivere e vuole vivere il suo tempo. Quel che conta è che la sua sfida non sta nel rimandare e guardare oltre (quel che in genere fa Odisseo) ma nell’immergersi nel suo tempo libero per goderne come si deve. La sua sfida è per il tempo libero, una sfida di cui è capace solo chi sa quanto importante sia il tempo e dunque vive dentro di esso consapevolmente.

Ora, vivere nel tempo e sfidare se stessi pur di vivere per il tempo, significa una cosa sola: sfidare la morte. Essere cioè coscienti del fatto che la morte è sempre dietro l’angolo e che non la si evita se la si teme e la si fugge, perché comunque sia evitarla è impossibile.

Qual è il grande argomento non trattato di questi mesi se non il tabù della morte che è diventato un’ossessione, anzi la vera grande ossessione del nostro Occidente?

Vaccini che possono salvare molte vite che vengono “sospesi” o neppure ammessi perché forse mettono a repentaglio qualche vita. Bar all’aperto dove i pericoli sono minimi messi al bando perché appunto i pericoli minimi sussistono (ma altrove, tipo mezzi pubblici e centri commerciali, questo rischio ovviamente non è calcolato: si va al lavoro ragazzi!). E mille altre situazioni di analoga assurdità in cui si sente echeggiare di continuo lo stesso ritornello. Morire non si può. Morire non si deve. Morire è peccato.

Eccomi a Madrid infine, ovvero in quello che i giornali italiani descrivono come un “mondo dei balocchi”, una dimensione di perdizione alla Pinocchio, una città dove il termine movida torna alla sua origine. Me ne sono andato a Santa Ana, verso sera, con la luce lunga dell’ora legale che l’Europa, in assenza di altre questioni da dirimere, vorrebbe eliminare. Mi sono seduto alla Cerveceria Alemana. Ho ordinato un gin tonic. Teatri e cinema aperti. Folle sciamanti di gente piuttosto attenta e molto civile, mentre un’automobile della polizia faceva su e giù ripetendo il mantra: “rispettate le distanze interpersonali”. Che bello definirle come dovrebbero essere. Non sociali, ma fisiche. Bene, ho bevuto il mio gin tonic che a primavera ci vela la vista nel cielo che diventa bianco. E ho capito davvero Achille e la sua sfida per il tempo.

È Odisseo che si lancia in una sfida contro il tempo. Rimandando e vivendo sempre il futuro per raggiungerlo prima che sia tardi. Achille fa altro. Achille vuole solo la vita. Perché sa bene che si deve morire.

In Spagna, resiste un’altra idea circa quello che è diventato ovunque un tabù. Da qualche parte si sente ancora vibrare quell’intuizione geniale che García Lorca espresse così nel suo sublime Gioco e teoria del duende: “In tutti i paesi la morte è una fine. Arriva e si chiudono le tende. In Spagna no. In Spagna si aprono”.

In Spagna resiste un mondo, quello tauromachico, in cui si sa bene che il torero che entra in pista rischia la morte, ma solo entrando in pista può vivere. Magari fallirà, magari sarà umiliato, ma avrà vissuto. Il torero che non entra in pista ha già fallito, ha soltanto fallito, e si è lasciato morire.

Apriamoci alla sfida di Achille.

Nel tempo e per il tempo.

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Matteo Nucci (Roma, 1970) è scrittore, oltre che aficionado. Negli anni Novanta a El Espinar, durante una notte interminabile, vide vaquillas correre nella plaza. Era l'inizio della febbre tauromachica

1 COMMENTO

  1. Quella in cui è ambientata l’Iliade è una società aristocratica , Achille non vuole morire senza lasciare traccia di sè ,e poiche in quei tempi remoti non si parlava di anima,,l0unico modo per rimanere nella memoria dei posteri era :La vita da eroi ,la vita breve!! E si potrebbe continuare ancora….Achille rifiuta la serenitò di una vita domestica perchè vuole morire da eroe eè questa la mortte che assicura l’immortalità.

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