Onore a un aficionado

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Era l’estate del 2008. Mi ricordo esattamente dove mi trovavo. Dico il punto preciso del giardino sotto il sole torrido di agosto. Il cancello mezzo aperto. Il pozzo chiuso accanto all’albero di pere. Avevo preso il telefono e mi ero spostato lì dove prendeva meglio e ero rimasto di sasso mentre la sua voce inconfondibile ripeteva: “Aficionado! Che aficionado! Ma che bellezza. Dimmi adesso. Raccontami di questo piccolo paese che ignoro”. Non credevo alle mie orecchie. Era Gianni Clerici, maestro assoluto, ribattezzato lo Scriba, grande appassionato di Spagna, conoscitore di tori e toreri. Aveva letto un mio racconto, si era procurato il numero di telefono e adesso mi faceva domande. E non solo si complimentava e commentava. Ma voleva sapere di più. Io non sapevo da dove cominciare. Olivenza? Un paese speciale. Fra Spagna e Portogallo. Zeppo di gente da ogni parte della penisola iberica, per la feria di marzo, ma anche di francesi e italiani. A lui però non bastava. “Certo, ma dimmi di questo allevamento. Dove si trova? E quel ragazzo che hai descritto? E c’erano gli aficionados milanesi?” Voleva sapere tutto e io ero allibito. Non avevo pubblicato se non qualche racconto qua e là. Questo, uscito su Nuovi Argomenti, era una specie di reportage narrativo dalla feria di Olivenza dell’anno precedente, la mia prima volta in quel paesino di Extremadura. Se l’era divorato, Clerici, eppoi mi aveva cercato per parlarne.

Incominciò così una specie di amicizia letteraria e taurina. La penna piena di ironia e arguzia che aveva raccontato soprattutto secoli di tennis, spaziando su viaggi, esperienze, vita e letteratura, si era anche molto dedicata ai tori, nonostante lo sdegno prepotente degli ignoranti. E poiché negli ultimi tempi Clerici non frequentava più le plazas e sentiva raramente gli amici taurini di Milano, di novità e racconti chiedeva a me. Aveva la curiosità di un ragazzino. Il rispetto di un ragazzo cresciuto ascoltando. La gentilezza di un uomo senza età, cittadino del mondo. E forse per questo era felice anche di approfondire episodi su cui era tornato chissà quante volte. Hemingway a Pamplona nell’anno dell’ Estate pericolosa (di cui parlò qui e su cui scrisse un racconto: Il toro di Hemingway). La bellezza, l’intelligenza e la capacità di uccidere di Dominguín (un bell’articolo qui). La morte di Manolete che aveva studiato e di cui aveva notizie di ogni genere (un suo pezzo qui). Festeggiò quando gli dissi che il mio secondo libro, nonostante tutti me lo avessero sconsigliato, sarebbe stato ambientato nelle plazas de toros. Festeggiò perché affrontare la correttezza dilagante avrebbe avuto un costo, ma valeva la pena e lui lo sapeva bene. Festeggiò perché amava e rimpiangeva il mondo che voleva tornare a frequentare. Eppoi festeggiò con una recensione per me straordinaria.

“Fra aficionados…” diceva. Non si accorgeva di quanta importanza avesse quell’intercalare. Certo, gli appassionati di tori sanno bene cosa significa, lo danno per scontato, non vengono in alcun modo sorpresi dalla potenza della parola afición. Eppure è una parola difficile, complessa, perché racconta una passione che traballa fra eros e ossessione e che spinge a una dedizione da cenobiti e un godimento da sibariti, paradossi che all’aficionado paiono scontati ma a un osservatore esterno neanche per sogno. Gianni Clerici aveva preso a usarla in molti suoi articoli, quella parola che persino Hemingway in Fiesta cerca di descrivere pur di preparare il lettore. Ne aveva esteso il significato per rivolgersi agli appassionati dello sport che seguiva ovunque, il tennis, su cui del resto riversava molte altre metafore taurine. Tanto che, se in Italia, diversamente da altri paesi, la parola aficionado è nota e comprensibile, lo si deve solo a lui e alla sua genialità di giornalista e scrittore. Massimo divulgatore di un piccolo spazio di tauromachia. Tutti gli aficionados italiani, oggi, aldilà delle ossessioni che spesso li spingono a dividersi e allontanarsi, dovrebbero essere uniti nel riconoscere a quest’uomo il suo posto. Brindando a lui un toro immaginario, perché le sue sfide nell’aldilà torero siano come quelle che ha affrontato di qua, con la curiosità, il rispetto e la gentilezza dell’uomo che è stato.

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