La sfida di Aitor Lara

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Foto di Aitor Lara

di Elettra Pierantoni

“I luoghi li fanno le persone”. È Aitor Lara che mi parla attraversando il ponte di Triana qualche giorno dopo la fine della Feria de Sevilla. Lasciamo alle nostre spalle un piccolo bar che affaccia sul lungo fiume. Un posto in cui mi ha portato in cerca di persone da farmi conoscere che vivono quel mondo che da qualche anno fa parte della mia vita, il mondo della tauromachia. Aitor parla poco, memorizza con gli occhi mentre ascolta le mie domande sul mondo dei tori, sul flamenco, sulla città. Aitor sembra fotografare continuamente la realtà. Ha 43 anni e i suoi lavori ricoprono la facciata del palazzo della FNAC di Sevilla. Sono foto in bianco e nero scattate dentro la plaza de toros, giganteggiano in Avenida de la Constitutión sotto gli occhi dei turisti nel centro della città. Milioni di sguardi si sono posati sulle facce del pubblico della corrida, sul traje de luces di un torero, su un ventaglio di una bellissima spagnola. Maestranza, il primo lavoro di Aitor sulla tauromachia. È il 2008, Aitor è un fotografo che ha già raccolto immagini dal mondo, è stato in Messico, Uzbekistan, Senegal ma questo non gli ha impedito di avvicinarsi a un contesto familiare con enorme dedizione e profondità. L’influenza del suo maestro, Luis Baylon, lo porta dentro una plaza de toros. “Oggi la tauromachia dialoga e pone interrogativi con la tradizione mostrando due facce della stessa medaglia. Da una parte genera cultura e passione per alcuni, per altri pone dubbi sul paradigma della condizione umana, trattandosi di un avvenimento in cui si dà la morte al toro in uno spettacolo pubblico. Il lavoro sulla plaza unisce tutte le parti, sottolinea la liturgia nella sua espressione più artistica, ma alle volte pone in evidenza i dettagli più sordidi e scabrosi”.

Queste sono le fotografie di Aitor; alcune volte scure, bestiali, ermetiche, altre volte ipnotiche, seducenti, composte con lucida armonia. E così che Aitor realizza un altro lavoro sulla tauromachia, Ronda Goyesca, del 2012. Il fotografo assiste a una corrida Goyesca, un evento che si ripete una volta l’anno dal 1954 organizzato dalla famiglia Ordoñez in onore del torero Pedro Romero. La corrida è svolta con gli abiti del tempo di Goya che ritrasse i fratelli Romero nel 1798. Per quanto i toreri siano quelli di oggi, nelle foto di Aitor si materializza uno spessore materico che riporta lo spazio dell’arena in una dimensione atemporale. È presente la geometria severa dell’arena, l’immagine della faena in lontananza disturbata da fazzoletto di uno spettatore, il terrore di un occhio quasi umano di un cavallo, il pubblico che sembra avere viaggiato nel tempo, il volto sfocato di un torero come quello di uno spettatore, il collo di un torero e dallo stesso punto di vista quello di un toro.

C’è l’inizio; le carrozze che sfilano per la plaza, e la fine, dei coltelli gettati a terra nel callejon. E poi c’è il volto di un torero che vestito con dei pizzi ottocenteschi, pesanti e ridondanti alla vista, inspira al cielo con gli occhi chiusi e il corpo che s’inarca all’indietro come se fosse trapassato dalla morte che ha appena inflitto al toro che giace a terra di fronte a lui. Il toro e il suo torero sono un’unica linea nello spazio: è lì che per un istante si avverte quella spinta elettrica e senza tempo che solo chi vive quei luoghi può abitare. Aitor è riuscito a farmi vedere tutto questo perché è entrato in un luogo uscendo fuori di sé. Il fotografo si trova di fronte alla morte scomparendo come singolo, è in quel momento che rivela il tratto comune delle nostre esistenze. Gli occhi riconoscono nell’immagine uno spazio di alterità: è la rivelazione del fatto che ciò che abbiamo in comune è ciò che non ci appartiene, ovvero la morte dell’altro. “È un sacrificio, una tortura” Aitor è fermo nel dirmi questa cosa – sembra quasi affacciarsi dall’altra parte della barricata, quella in cui si dice che le corride sono il segno di un tempo barbaro, che è giusto farle scomparire – “ ma non smetteranno mai di esistere”.

Con queste ultime parole rientro verso casa attraversando i vicoli del quartiere intorno alla plaza de toros. Osservo i luoghi intorno a me; i bar stracolmi di persone con le casse di birra accatastate accanto alle porte dei bagni, i bicchieri immersi nel ghiaccio, le foto dei tori, i calendari promozionali dei giovani toreri attaccati storti sul muro e i conti dei clienti segnati con il gesso sul bancone. Luoghi fatti dalle persone, una comunità che cerca un’unione impossibile abbandonandosi insieme di fronte alla morte.

 

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