La risata del Cordobés

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Torniamo su uno dei miti del toreo novecentesco. Nel bene e nel male El Cordobés ha segnato un punto di non ritorno. Uno dei migliori scrittori taurini d’Italia, Max David, nel suo memorabile Volapié, gli dedica pagine eccezionali. Eccone alcune. Capaci di definire un tipo di arte e un gesto rivoluzionario attraverso pochi tratti semplici, come quelli che raccontano una risata.

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Il vero torero, il torero di razza, si riconosce subito, dalla sfilata delle quadriglie, da come entra nell’arena quando i portoni si aprono e il sole accende i ricami dei “vestiti di luci”. Un matador deve camminare con umile fierezza, con gli occhi lievemente abbassati, dondolando un poco sulle anche, muovendo in cadenza il braccio avvolto nella cappa, appoggiando forte il tallone e piano la punta dei piedi. El Cordobés entra nell’arena impettito, cammina strascicato, rigido. Sembra distratto e indifferènte. Porta i capelli lunghi e abilmente scompigliati, con ciuffi che si rovesciano da ogni lato. Non è una pettinatura torera, la sua, e non si può toreare bene con quella pettinatura, una pettinatura spettinata che nessun torero ebbe mai. Certo, El Cordobés è molto bello, anche se il “vestito di luci” non si addice al suo corpo. Ha un sorriso feroce. Ridere bene, ridere male, sorridere non sorridere, sono cose che contano, per un torero.

El Cordobés ride da far paura. Però questo suo ridere sembra non contare, ai fini dell’indispensabile mito. Conteranno forse le cornate, tutte le cornate e tutte le ricuciture che hanno fatto del ventre di El Cordobés una graziosa salvietta a punto croce? No, le cornate non fanno leggende perché un grande torero può morire di cornate, ma non deve vivere di cornate. Né, per un torero, conta il coraggio. El Cordobés è molto coraggioso, ma è normale che un torero sia molto coraggioso, giusto come è anormale che sia pauroso. Per questo, come s’è visto, sulla paura di un torero può fiorire il mito che al coraggio non si concede. Poi succedono dei fatti, intorno a El Cordobés, che non si possono trascurare e che potrebbero agevolarci nella comprensione di questo ex-maletilla e del suo strambo destino. Torero senza doti particolari, senz’arte alcuna e dunque torero senza mito, Et Cordobés tuttavia è nella tauromachia e nelle tradizioni estetiche della tauromachia; e El Cordobés rimarrà nella storia, ed egli rappresenta senz’altro un “momento”, forse senza eguali, nell’antica vicenda della afición.

E quale “momento”? Un giorno, un’arena si era riempita di cuscini lanciati dagli spettatori, per protesta, contro El Cordobés. Il giorno successivo, a Cordoba, e per la prima volta nelle cronache delle corride, un gruppo di ragazze, vestite da maletillas, aveva invaso l’arena per portare in trionfo El Cordobés, secondo un’antica consuetudine degli aficionados la quale prevede, appunto, la salida a hombros, l’uscita sulle spalle, del torero vittorioso. Non si erano mai viste, da quando la Spagna esiste, delle ragazze travestite da “fagottini”, ma anche la Spagna cammina, e le giovinette di Cordoba volevano ricordare a El Cordobés i primi anni della sua fulminea carriera. Anche El Cordobés era stato “fagottino”, ma si era fatto subito largo. Novigliero, cioè: torero di vitelli, nel 1960, il “califfo” (sono detti “califfi” tutti i grandi toreri nati a Cordoba, da Guerrita in poi e El Cordobés sarebbe il Califfo IV) era già matador de toros nel 1963. Nel 1964 il conto in banca del “califfo” era formidabile. Gli domandavano: “Ti piace avere un conto in banca?”. Rispondeva: “Preferirei saper fare la mia firma sotto gli assegni”. Era analfabeta, come i toreri dell’età classica, che morivano analfabeti e orgogliosi di saper scrivere, solo con la spada, la parola morte. El Cordobés ha imparato a scrivere, e scrive benino e studia le lingue. Lo hanno anche nominato consigliere di una banca, una piccola banca (sembra), presso la quale ha distrattamente depositato quaranta milioni di pesetas, quasi mezzo miliardo di lire. Poi vengono le fattorie, gli alberghi, le ville con piscina, gli allevamenti di bestiame, gli aeroplani, di cui El Cordobés ha bisogno per trasferirsi da una città all’altra durante la stagione delle corride. Se no, non arriverebbe in tempo.

Mettiamo, come minimo, che El Cordobés torci cento corride all’anno, a un milione di pesetas per corrida, cioè a dieci milioni di lire per corrida. Siamo già a un incasso di un miliardo all’anno, in lire, meno le spese. Gli impresari lo pagano volentieri perché con El Cordobés le piazze si riempiono. Se poi succede una bronca, se El Cordobés fa un fiasco e il pubblico va in bestia, poco male: la corrida esige, talvolta, un pubblico imbestialito. Basta che El Cordobés non torei al limite estremo della vita, che la gente lo fischia e gli tira addosso i cuscini, ma senza cattiveria. Davanti a lui i tori non finiscono mai di morire, perché El Cordobés è soprattutto scadente con la spada e spesso gli capita di dover “entrare” quattro o cinque volte prima che l’animale rimanga con le gambe in su, e allora la gente si arrabbia contro El Cordobés, lo insolentisce e gli tira i cuscini addosso, ma senza cattiveria. Solo coi grandissimi toreri, ecco, solo con uomini come Manolete, gli spagnoli possono diventare veramente cattivi. Ho l’impressione che con El Cordobés gli spagnoli fingano di essere cattivi, per onor di firma, ma che in realtà siano disposti a perdonargli tutto, perché in lui vedono o intuiscono qualcosa che è al di là della tauromachia corrente e si riallaccia a visioni lontane.

Osservate come torea male El Cordobés. Troppo mobile sulle gambe, troppo rigido coi polsi, scomposto con le braccia, disordinato con le idee. Ora lo fischiano, ma senza cattiveria. El Cordobés ride. Ma che strano modo di ridere. Mette paura. Osservate come torea bene El Cordobés. Un ciuffo di capelli sugli occhi, la muleta ariosa nella mano sinistra e una stizza e un furore e una subitanea voglia di sacrificio che gli fanno vibrare tutto il corpo rinchiuso in un vestito di luci già sporco di sangue. Il suo sangue, o quello del toro, non si vede bene. C’è sempre del sangue sul vestito di luci del Cordobés, ma va a capire di chi è quel sangue. Lui ride spaventosamente. El Cordobés non torea; lotta, combatte, si azzuffa, fa a pugni e finalmente ride, ride a lutto. Non si può infierire con cattiveria, contro un torero che ride a lutto. Ed io penso (e l’opinione forse non sarà condivisa dagli spagnoli) che il pubblico non riesca, a malincuore, ad essere cattivo con El Cordobés perché in lui, torero scadente, ritrova tuttavia il “tremendismo” goyesco che solo è rimasto nelle acqueforti della Tauromaquia. Per me, El Cordobés è un altro Martincho, e non vorrei che El Cordobés se ne fosse accorto e ora intendesse far suo quel mito.

 

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