Avevamo già conosciuto i suoi lavori quando entrammo nella storia romantica e così ancora candidamente e cocciutamente spagnola di Mario Diéguez: le immagini che accompagnavano quel racconto erano proprio di Simone Cargnoni, al suo primo contatto con il mondo dei tori ma già capace di fissare, con quello sguardo preciso e profondo di chi sa trasformare la luce in narrazione, la passione irrazionale e il laico misticismo che informano le torsioni del polso, lo svolazzare di una muleta, l’arrembaggio di un carretón .
Classe 1984, bresciano ma di stanza trentino, Simone Cargnoni è fotografo e operatore video. Dal 2014 è socio di Jump Cut, casa di produzione cinematografica con sede a Trento, e dal 2019 è cofondatore del collettivo fotografico MAUVE53. Giovane ma già attrezzato e capace di fare apprezzare i propri lavori anche fuori dai confini nazionali, Cargnoni ha tra le altre cose messo il proprio obiettivo a disposizione di uno studio attento ma discreto di quell’esile confine che separa, nell’uomo, la fragilità dalla grandezza, la banalità dell’esperienza umana dalla irripetibilità altissima di ogni individuo, dei suoi sguardi e delle sue istantanee emozioni. Sfogliare il suo sito per credere, e per ritrovare tra lavori apparentemente distanti quel filo rosso di ingenua e autentica umanità che permea i suoi scatti: il documentario fotografico sulla vicenda di Massimo Pumilia, reso in un austero bianco e nero che ne sottolinea la gravità, o l’energia tradotta in fotografia di Complimenti per la festa, il rock’n’roll e la vita nei Marlene Kuntz, per esempio.
Nell’estate del 2016 Cargnoni parte per una spedizione nelle terre spagnole che presto si trasfomerà in avventura picaresca e che lo introdurrà, fortunatamente, nel mondo dei tori: i compagni di viaggio stipati assieme a cavi e obiettivi e macchine da presa in una minuscola utilitaria che idealmente attualizza la figura mitica di Ronzinante, la Spagna diventa terra da attraversare nella sua pancia per andare là dove l’autenticità è ancora, semplicemente, necessità. Così l’incontro fortuito con Mario Diéguez, le prime esperienze in un’arena e i primi tori in una ganaderia, i primi click a congelare attimi di toreo o sguardi animali.
Il vermiciattolo comincia a lavorare e, chi ne è schiavo lo sa, il vermiciattolo sa scavare, insinuarsi, rimanere per sempre. Così l’anno dopo è ancora Spagna, questa volta Siviglia. “La festa privata più grande del mondo”, nelle stesse parole di Cargnoni. Chi è stato anche solo una volta alla festa di aprile bene conosce la scintillante parabola di quella città di cartone che ha vita sette giorni, l’abbacinante luccichio di quei lampioncini sospesi che illuminano a giorno i viali de recinto ferial, quell’orgia di fritti e manzanilla, colori e afrori, chitarre che ritmano e tacchi che battono, quell’ostentata pacchianeria e quella solenne eleganza. Il tutto, consapevolemente e languidamente, effimero. Perché possa poi riproporsi uguale e nuovo il prossimo aprile.
Simone Cargnoni a Siviglia vive prima qualche vicenda rocambolesca che lo porta a conoscere un arenero della Maestranza o due attempati signori in cerca di esotismo, e gli italiani ai tori sono in ogni caso esotici, la festa facilita la tessitura di rapporti istantanei e immediatamente solidi e la tessitura di questi rapporti facilita in modo spontaneo e semplice qualche invito in qualche casetta o un appostamento privilegiato alla plaza de toros, e dunque il fotografo scatta, scatta all’arena una puerta gayola di Escribano e scatta un passo goffo di sivigliana tentato da due coppie oversize in una casita che a fatica li contiene, scatta gli occhi che stanno altrove di Talavante nel passaggio delle cuadriglie e scatta la festa che esplode la sera, inevitabile, totale e lussuriosa, e pure privata ed intima come solo la Feria de Abril di Siviglia sa essere.
Trovate qua sotto le immagini migliori e magnifiche che Simone Cargnoni ha selezionato e che rendono in maniera precisa e esplosiva l’affascinante unicità delle giornate e delle nottate nella settimana di farolillos: cliccare sulle foto per apprezzarle meglio.
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Dopo il trionfo del toreo commerciale che ieri ha consentito a El Juli di attraversare per un anno ancora i battenti della Porta del Principe, la Feria de Abril prosegue con questi carteles:
V 03/05 Sebastián Castella, Manzanares y Roca Rey (Núñez del Cuvillo)
S 04/05 Antonio Ferrera, Manuel Escribano y Emilio de Justo (Victorino)
D 05/05 Hermoso, Lea Vicens y Guillermo Hermoso (alt) (Bohórquez)
L 06/05 Morante de la Puebla, Diego Urdiales y Manzanares (Juan Pedro Domecq)
M 07/05 Pepe Moral, Álvaro Lorenzo y Ginés Marín (El Pilar y Moisés Fraile)
X 08/05 Diego Ventura, El Juli y Cayetano (Los Espartales y Domingo Hernández)
J 09/05 El Cid, Miguel Ángel Perera y Paco Ureña (Santiago Domecq)
V 10/05 Morante de la Puebla, Roca Rey y Pablo Aguado (Jandilla y Vegahermosa)
S 11/05 Antonio Ferrera, El Fandi y López Simón (Fuente Ymbro)
D 12/05 Sebastián Castella, Octavio Chacón y Pepe Moral (Miura)
“quell’ostentata pacchianeria e quella solenne eleganza”. Meglio non si poteva definire! Chapeau! Proprio ieri sono andato a fare un giro alla Feria, invitato da alcuni vicini di casa nella loro caseta; mi hanno amabilmente criticato perché non ero vestito con chaqueta y corbata, ed io ho risposto loro che siccome viaggio sempre con valigia mini un traje non ci sarebbe stato. “Beh, si può sempre affittare!” mi hanno risposto. Ho lasciato cadere l’argomento, anche perché non mi andava di spiegare che la cravatta l’avrò messa due-tre volte in vita mia e col caldo che fa nelle casetas non mi sembra proprio l’abbigliamento più indicato soprattutto se uno adora ballare (e parecchio) por sevillanas come il sottoscritto. Fra l’altro il mio defunto suocero mi spiegava che a los toros y a la Feria se va sin corbata, e che la moda della cravatta in quei contesti è una cosa recente e abbastanza “cateta”. Poi se si guardano da vicino le giacche che sfoggiano alla Feria (almeno l’80% de los hombres) si può facilmente notare che la qualità del tessuto è parecchio scadente (non sono esperto di moda, tutt’altro, ma mia nonna era una sarta piuttosto brava e un po’ di “occhio clinico” presumo di averlo). Per non parlare della moda relativa alle camicie; io ne ho di 15 anni fa a e alla Feria sono “all’avanguardia”. Per quanto riguarda invece le cravatte, devo riconoscere che negli ultimi anni i colori-disegni sono molto meno osceni rispetto al passato. Ps: domani dovrei andare di nuovo alla Feria, e sto valutando se andare alla Maestranza che torea Paco Ureña; vi sono ancora molte localidades disponibili, al contrario di dopodomani quando torneranno Morante e Roca Rey.