I tori vanno a destra

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Che Guevara a Las Ventas, 1959.

Le recentissime elezioni generali in Spagna ci forniscono una duplice radiografia sul legame tra tori e politica e sul rapporto tra tradizione e innovazione. Una radiografia complessa, sovrapposta, ma sempre più appiattita sulla falsa dialettica “tauromachia reazionaria vs animalismo progressista” (vedi l’articolo di Rubén Amón). Basta guardare chi e come, durante la campagna elettorale, ha affrontato la questione. Mentre il PSOE, Partito Socialista Operaio Spagnolo, e Ciudadanos non ne hanno parlato nei loro programmi elettorali, l’ultradestra di VOX (che ha ottenuto adesso 24 seggi in parlamento) e il Partido Popular (il centrodestra erede del franchismo) hanno dedicato all’argomento poche righe. Invece PODEMOS e il partito animalista PACMA hanno speso grandi energie elettorali per propagandare uno dei loro maggiori punti fermi, estirpare la tauromachia dalla Spagna. La politica sulla carta, insomma, non ci racconta nulla di nuovo, ma a queste elezioni è successo qualcosa di diverso, e l’impatto mediatico è stato enorme. Nelle liste elettorali di VOX e PP sono apparsi molti nomi di toreri, e non importa se la strizzata d’occhio al mondo taurino sia stata fatta in ragione di un calcolo, il quadro (soprattutto per chi da fuori non conosce la complessità storica e la trasversalità politica della tauromachia in Spagna) appare banalizzato nel più trito dei cliché: animalisti a sinistra, taurini a destra. Inutile dire che la realtà è ben diversa, inutile ricordare la lunga lista di toreri comunisti e anarchici, inutile riesumare la 96a brigata mista dell’Armata popolare repubblicana, composta dalle cosiddette milizie taurine, 3700 soldati (molti dei quali venuti dal mondo delle arene) e 150 ufficiali (la maggior parte dei quali toreri), tutti in seguito imprigionati, torturati e fucilati da Franco. Inutile perché il messaggio che passa oggi è forte e chiaro: volete conservare? siete conservatori; volete i tori? siete fascisti. Morante de la Puebla, alla guida di un furgoncino elettorale di VOX o ritratto a fianco di Santiago Ascabal, sembra certificare l’equazione, e mai come quest’anno i politici di destra sono stati avvistati nei callejones. Il mondo della Spagna rurale, dimenticato così spesso dalla politica cittadina, se n’è accorto. Contadini, cacciatori, mandriani, mayorales, macellai, banderilleri, toreri e semplici aficionados hanno riconosciuto in VOX i difensori di una tradizione che da non irrisoria potenza economica può trasformarsi (e in parte, con queste elezioni, si è trasformata) in non irrisoria presenza politica. Un cambio di passo significativo, e per questo bisogna riflettere: quando a Madrid ci piace entrare in un locale congelato nel passato, è la cultura ultraconservatrice di Franco che dobbiamo ringraziare, quando ammiriamo la Spagna rurale, meravigliosa e intatta come in un quadro del Cinquecento, è il feudalesimo più duro e reazionario che dobbiamo ringraziare, e se la politica spagnola si degnerà di fare qualcosa per la cultura taurina, per garantire un futuro alla festa, sarà VOX e il PP che dovremo ringraziare. Ma qual è il prezzo politico ed etico che siamo disposti a pagare per vedere i tori nell’arena? Fino a che punto la tradizione va difesa e in che modo l’identità può essere tutelata senza scivolare nelle derive identitarie? È difficile rispondere. Ma una cosa è certa. Il futuro della tauromachia non è mai stato così nero.

1 COMMENTO

  1. Giusto così, per dovere di cronaca: la mia consorte e uno dei suoi fratelli, aficionados y morantistas fino al midollo, votano Izquierda Unida “da sempre”; l’altro fratello, anche lui morantista, è addirittura iscritto al Psoe. Certo che non vedono di buon occhio che il loro “idolo” faccia propaganda per Vox, ma non vivono la cosa “drammaticamente” …… sebbene io, a volte, li prenda in giro proprio per questo motivo.

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