In morte di Dominique Lapierre

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All’inizio fu Rizzoli a pubblicarlo. Era il 1969 e due anni scarsi erano passati dall’uscita di Ou tu porteras mon deuil, titolo bello e poetico, tratto da una famosa promessa che Manuel Benítez Pérez detto El Cordobés aveva fatto a sua sorella Angelita prima di combattere un toro de lidia. Non piangere, Angelita, questa sera ti comprerò una casa, oppure tu porterai il lutto per me. In Italia però la poesia della tragedia su cui El Cordobés aveva camminato tutta una vita fino ai trionfi, non fu considerata abbastanza potente e il titolo del libro fu subito Alle cinque della sera.

Che libro, signori! Lo avevano scritto due professionisti del reportage e della ricerca: Larry Collins, americano del Connecticut (1929-2005) e Dominique Lapierre, francese di Châtelaillon-Plage, morto l’altro ieri a 91 anni. Si erano incontrati sotto le armi, si erano ritrovati in giro per il mondo a inseguire storie come reporter e avevano cominciato a lavorare insieme, sfornando bestseller che hanno raggiunto milioni di lettori. 

Negli anni Settanta/Ottanta, privi di internet e di facili mezzi per conoscere un mondo così vicino ma così lontano come il mondo dei tori, per molti di noi Alle cinque della sera fu una piccola Bibbia. Assieme a Morte nel pomeriggio, rappresentava il glossario, l’enciclopedia, la risorsa epica. Era stato ripubblicato da Mondadori in un’edizione più maneggevole che ricordo perfettamente sulla scrivania del mio compagno di ginnasio, di madre spagnola, madrilena, che prendevo in giro per passioni così anacronistiche e crudeli. Mi rispondeva dandomi dell’ignorante. Rideva. Mi diceva quel che avrei ripetuto mille volte poi nella mia vita: se vuoi giudicare, vai a vedere una corrida.

Il libro lo sfogliavo e lui, Checco, raccontava. C’era dentro tutta la storia di Spagna dalla guerra civile, tutta la miseria di un Paese rurale che nelle sue regioni più povere, quelle extremegne e andaluse, era devastato dalla miseria, e nella miseria per molti giovani l’unico sogno era farsi toreri. Alle cinque della sera raccontava di uno che ce l’aveva fatta. Uno che anzi era diventato la star indiscussa, un rivoluzionario capellone, selvaggio e ben poco ortodosso, al punto che in Spagna i più seri e rigorosi appassionati di tori non lo amavano affatto. 

Ma al tempo di queste cose capivo davvero poco o nulla. Il libro era semplicemente una miniera di informazioni e storie per me, che dopo essere stato in Spagna due volte a metà anni Ottanta, avevo cominciato a cercare di saperne di più. Il Paese che avevo visto mi aveva aperto dimensioni sconcertanti. I bar fumosi di tabacco nero e sigarette Ducados bianche; i juke box tintinnanti pesetas; la carne come non l’avevo mai mangiata; gli altopiani deserti attraversati da strade solitarie; i rapaci in cielo e i tori negli allevamenti che si guardavano attorno immobili come statue; le ragazze scatenate; le notti infinite. 

Che libro era quello che avevo in mano? La storia del Cordobés correva parallela alla storia di Spagna e veniva scandita dalle fasi della famosa corrida del 20 maggio 1964 quando quello che era stato un maletilla pronto a tutto confermava l’alternativa davanti a un Paese intero fermo per lui, una Spagna ipnotizzata dalle sue gesta, le radio tutte impegnate a trasmetterle, Franco, il caudillo, mortale nemico della famiglia del giovane torero, divenuto suo primo fan, tanto era il potere che il ragazzino scatenato si era conquistato sulle masse. Che libro!

Lapierre e Collins avevano lavorato come matti, avevano sguinzagliato ovunque collaboratori, si erano procurati interviste con tutti i principali personaggi e quanto agli aspetti più precisi dell’arte tauromachica si erano guadagnati la revisione di un esperto assoluto come Claude Popelin. Che libro Alle cinque della sera! Esaurito da anni, neppure preso in considerazione per una ristampa, è il premio per chi si mette in cerca di usati o copie sfuggite al macero. Il web, parlando della morte di uno dei suoi autori, Dominique Lapierre, non lo cita neppure. Le enciclopedie online a volte lo fanno, ma il titolo non è cliccabile, non si aprono pagine. È un mondo troppo scorretto quello che si spalancherebbe. Trent’anni fa era un mondo lontano che il libro aiutava a avvicinare. Oggi è un mondo così vicino che nessuno vuole guardarlo in faccia e il libro è meglio dimenticarlo. Si parla di morte, qui. Morte affrontata e ritualizzata. Pericolo costante di regalare alla sorella anziché la casa un lutto. Roba da mettere da parte, ormai.

1 COMMENTO

  1. Condivido in pieno l’articolo.
    Ho sentito parlare per la prima volta di questo libro leggendo un’intervista di Lapierre pubblicata su “sette” allegato il venerdì al Correre della sera. L’ho recuperato in biblioteca e poi l’ho acquistato su qualche sito di internet. Un libro profondo che fa una fotografia della Spagna profonda ed attenta alle varie sfumature. Anche io, appresa la notizia della morte dell’autore, ho cercato la notizia su vari siti, ma purtroppo tra le opere ricordate, di questa neanche l’ombra…..è un mondo che fa paura?

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