La lingua dell’afición

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(ph) Ronda
“Parliamo la stessa lingua, e questa lingua non può essere altro che quella dell’aficion. Comprenderla è fondamentale per concepire che possano esistere forme di agricoltura e allevamento nelle quali il profitto non è un fine; questa lingua attraverso la quale si capisce che esistono tenute in cui il lusso è riservato ai soli animali, essendo privilegio degli uomini già quello di trovarsi su quelle terre; questa lingua che permette che ancora oggi gli anziani siano ascoltati e che ciò che essi dicono sia preso in considerazione; questa lingua che spiega che un uomo che comanda al campo arrivi a farsi comandare dal campo.” (1)

Mi venivano in mente queste parole di Fernando Cuardi nel momento in cui, con due o tre colpi secchi, quell’ometto rubicondo riusciva a mettere in moto la vecchia Renault che sonnecchiava nel capannone, la targa resa obsoleta da fango e polvere, qualche strano arnese appoggiato sui sedili posteriori.
Il pranzo era stato trionfale e straordinariamente intimo e familiare, piatti da sogno e vino in quantità e un’atmosfera calorosa e felice, le donne ora rimanevano nel salone a chiacchierare e sonnecchiare, noi ci avventuravamo ad affrontare l’immensità di quel campo selvaggio e profumato che da qualche ora scrutavo ansioso dalle finestre: i tori sono là fuori e bisogna andarli a vedere, è una necessità fisica e mentale, i tori sono tutto.

“Questa lingua spiega il sorriso di lavoratori che, con uno stipendio che permette loro di nutrirsi e poco più, sono molto più di dipendenti qualsiasi. Non hanno venduto la loro coscienza al guadagno, perché l’hanno messa nello sfruttamento di queste terre, come anche le loro speranze, il loro progetti, la loro vita.”

Mai bevuto un liquore alla prugna così forte, cazzo.

Al limite dell’alcool puro, l’aroma della frutta quasi un segreto che occorra indovinare in tutta quella durezza, e pure quel bicchierino ha miracolosamente riportato lucidità nei pensieri. Mi sembra di capire, per una volta. Il campo si stava aprendo di fronte a noi, e io guardavo quell’uomo segnato dalle fatiche del lavoro muoversi felice e orgoglioso, condurre la macchina con fare sicuro su quei sentieri inospitali, e finalmente raggiungere i tori. Me li stava mostrando, indicandoli uno a uno con un dito.
Come aprire il bauletto con i tesori di famiglia, ora fermava la macchina e davanti a noi stavano due novillos marchiati con il ferro della casa: una T austera che sulle coscie dei tori si stirava bislunga.
Eccoli, mi diceva con la voce ferma.

“Sì, lo ho visto. Ci sono anche uomini in traje de luces che parlano questa stessa lingua, che mostrano un’attitudine integra di fronte all’arricchimento ad ogni costo. Come gli uomini che hanno compiuto grandi opere, sono stati formati alle norme e alle regole che hanno ereditato da grandi maestri e a quelle che gli ha trasmesso la loro singolare personalità, ma sempre rispettando questa legge intemporale che permette loro di occupare quel terreno meritorio e autentico dove si può combattere la forza brutale di un toro e, soprattutto affrontare la vita e la morte.”

I toreri non le vogliono, le bestie di qui, pensavo mentre senza fretta proseguivamo percorrendo strade che forse erano solo nella mente del mio chaffeur. Nemmeno le imprese, a dire il vero li vogliono. E magari nemmeno gli aficionados. Roba dura, integra, che concede poco. Roba forte, come quella grappa alla prugna: inadatta a palati che si sono abituati al Bellini.
Eppure sono così belli e maestosi i tori di qui, eccone qualcuno là dietro a quelle siepi: molti neri, qualche raro castaño il cui manto si incendia al sole, spunta pure un pezzato. Mioddio, sarà la grappa alla prugna, saranno le parole rare e perfette di Loulou, saranno gli odori di questa campagna, ma mioddio, questo è il paradiso e non ci può essere luogo più grande e vero su tutta la terra.

“Alcuni si fanno chaimare artisti, d’accordo…bene; ma per me questo termine cozza con la mia lingua, perché la mia pur umile conoscienza in fatti d’arte mi ricorda che non esiste nessun artista capace di guardare la morte in faccia, di poterla vincere, o poter morire per esprimere quello che sente dentro. Un’artista non ha questa disposizione eroica e mi sembra ingiusto metterla sullo stesso registro. Per me questa categoria non ha che un solo nome: torero.”

La lingua, la lingua dell’aficion.

Pensavo a quelle parole di Fernando Cuadri e nelle orecchie avevo la erre arrotata e quegli accenti così ridicolmente francesi, e poi mi accorgevo del rumore che fa l’erba secca sotto il peso degli zoccoli, o mi chiamava l’attenzione il verso di una beccaccia, o ancora un lontano muggito risuonava nell’aria.
Sinfonie.
Lo spartito sui cui la lingua dell’aficion canta la sua poesia universale, e che non c’è bisogno di studio per capire o parlare, basta il cuore.

“Conosco persone capaci di sacrificare dei soldi per andare all’arena anche se spesse volte all’arena non  non succede niente; questa lingua fa percorrere alle persone migliaia di chilometri per poter visitare delle ganaderias, altre ancora imparano a memoria le mappe genetiche degli encastes senza possedere un solo animale, tutti spinti alla conoscienza e allo studio da cui non ricaveranno altro che la cultura di una lingua che, come veleno, scorrerà nelle loro vene.”

Eravamo fermi e due cavalli bianchi brucavano l’erba fresca a pochi metri da noi. Qualche lepre, una volpe, aironi, cinghiali, scoiattoli, una poiana che volteggiava annoiata. Il campo. L’aria fresca e pura, i suoni ovattati, la pace.La vita e la morte, naturali: lì davanti ai nostri occhi, a due spanne dal nostro alito tutto era così, semplicemente, normale.

“Questa lingua ha un totem, che non è altri che quell’animale che per noi è carico di potere e simbolismo e dal quale non accettiamo mai che possa provocare pena o misericordia, e che solo è il toro. Sì, ora c’è chi vuole allargare questa nostra lingua con termini che derivano dallo sport o da altri spettacoli moderni. Si aggiungono aggettivi che siamo in molti a non capire; per molti, con buona pace di “artisti” e “sensibili”, riesce difficile qualificare alcune ganaderias come dure, e siamo in tanti a chiederci se ci sia chi desidera per caso avere una ganaderia molle. L’etica e la liturgia hanno forse un senso con tori che non siano duri?”

Stavamo incrociando un gruppetto di tori, caracollavano in mezzo a una sorta di radura, uno squarcio di erba verde e bassa in mezzo a un’area invero più inospitale delle altre: adesso chissà perché mi stavo ricordando che era già un quarto d’ora buono che non ci dicevamo una parola, entrambi concentrati a godere di uno spettacolo che ci imponeva rispetto e silenzio, e che in cambio ci regalava una pienezza totale.
Tutti i giorni quell’uomo passava di qua, a controllare, a contare, a sistemare, e pure oggi eccolo qua di fianco a me, incantato e rapito come me, silenzioso e ammirato come me.

 “Lo sono, sono in  tanti coloro i quali trovano che noi parliamo una lingua troppo vecchia o già morta e che noi ostacoliamo il progresso: qui da noi non siamo indifferenti a ciò, e sappiamo che i tempi odierni e la società moderna seguono correnti di pensiero che tendono a distruggere, piene di ignoranza e intolleranza, e capiamo che oggi tutto questo, che comprende la sofferenza dell’animale perché celebra la vittoria dell’uomo sull’animale, non ha alcuna cittadinanza.”

Ora la Clio stava riguadagnando il sentiero verso casa, i tori e i cavalli si facevano sempre più piccoli nello specchietto da cui non staccavo gli occhi, ancora goloso. Mi sembrava di aver riempito i polmoni di quell’aria, di aver saziato gli occhi di quegli orizzonti, di aver colmato la sete di campo che mi aveva tormentato tutto l’inverno, ora si poteva ricominciare. Finalmente.
“E così domani inizia la feria”
“Sì”
“Ci sarà meno gente quest’anno, il cartel è debole e la crisi si sente”
“Sì, lo immagino”
“Mah”
“Mah”


“E per questo quando vedo dei manager che vogliono organizzare un’industria, quando sento parlare di cambio di Ministero, della necessità di esporre delle cifre, di creare argomenti teorici, di fare qualche gesto, di far valere dei dati, di convincere i politici, di creare delle lobbies, di capitale, di industria, di tribunali, di economia, io ho l’impressione che parlino tutti un’altra lingua…ma quando vedo il mio mayoral, quando vedo il toro, io mi ricordo di coloro che non ci sono più, penso alla mia lingua, penso alla mia aficion…e capisco che non potremmo essere più lontani.
Tutto questo non è economia, ma romanticismo, il romanticismo più puro.”

Romantico, tutto.

(1) il testo in corsivo è tratto da “Entre campos y ruedos” introduzione al volume 2 di Campos y Ruedos scritta da Fernando Cuadri

 

(originariemente pubblicato su Allecinquedellasera)

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