L’ultimo toro del Juli

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Quando iniziavo a interessarmi al mondo dei tori, e ancora non sapevo assolutamente nulla di quella straripante ricchezza di conoscenze che dà l’impressione a qualsiasi appassionato di essere profondamente ignorante, e di non poter attingere se non a un minimo spicchio di quell’immenso tesoro che è la lotta fra uomo e toro nella sua forma moderna: la corrida; be’, in quei benedetti anni Novanta, io sapevo solo una cosa fra le poche, ossia che il futuro era un ragazzino prodigio di nome El Juli. Me lo avevano spiegato a El Espinar, dove il mio amico Francesco mi aveva invitato già a fine anni Ottanta, e dove avevo iniziato a perdere tutte le mie resistenze di benpensante contro un “mondo crudele e barbaro”. L’ho raccontato sostanzialmente per come avvenne nel mio libro Il toro non sbaglia mai e non ci tornerò su. Ma del Juli non ho detto nulla.

Giravano quei racconti pieni di mito e di mistero che erano un po’ il marchio di fabbrica della tauromachia all’epoca in cui l’assenza di internet negava l’immediata reperibilità di storie, dati, date, certezze, fotografie e video. C’erano immagini nei quotidiani in bianco e nero. E la tv spagnola trasmetteva corride in diretta, ma a me non era mai capitato di trovarmi in Spagna per assistere – anche solo in tv – all’esibizione di questo ragazzino. Così cominciai a creare su di lui i racconti immaginifici pieni di romanticismo che tutti da adolescenti sogniamo di poter vivere, soprattutto se ci siamo già appassionati attraverso altri scrittori taurini, in primis quel Moby Dick torero che è Morte nel pomeriggio.

Poi finalmente all’inizio del nuovo millennio vidi El Juli a Pamplona. Mi ricordo che sugli spalti dominava il malcontento. Si sottolineava la sua volgarità, la sua scarsa profondità e non so se fu chiamato in causa già allora il suo modo tanto contestato di uccidere che è passato alla storia come julipié. So che lì per lì mi stupì l’acredine che traspariva dai racconti degli aficionados. Ma avrei imparato in fretta che le grandi passioni e le grandi attese generano sempre un esagerato contraltare di delusione e disprezzo. 

Comunque stiano le cose, da quando seguo i tori, El Juli l’ha fatta da padrone. Giusto o sbagliato, nel bene o nel male, poco importa. Sono valutazioni che non mi interessano ora. C’è un tempo per discutere, stabilire e fare i conti. C’è un tempo per celebrare. E ora è quel tempo, visto che domenica scorsa sulla terra di albero di Sevilla, mentre il crepuscolo saturo di colori si prendeva la scena meravigliosa della Maestranza, il torero che ha dominato un’epoca ha sfidato il suo ultimo toro. Ha salutato il pubblico prendendosi un’ovazione sconvolgente già dal paseillo assolato, eppoi è andato a inginocchiarsi davanti alla porta del toril per ricevere il toro a porta gayola. Dopo, è venuto tutto quello che ormai sappiamo di questo matador sapiente e poderoso. In premio un’orecchia per il trionfo e un giro dell’arena a salutare tutti quelli che lo hanno amato.

Ci sono momenti in cui la tauromachia con il suo potere simbolico tocca altezze emotivamente negate a qualsiasi altra forma d’arte. Domenica è stato uno di quei giorni. La folla festosa e malinconica. Il caldo dell’estate di San Miguel, un caldo mostruoso al sole. Gli odori di stallatico, ormoni animali, arena insanguinata, sigari. I ventagli come cicale sul mare. Le chiacchiere, i boati, gli olé e i silenzi. E quella perfezione del rito, quando tutti sanno che qualcosa di indicibile sta avvenendo e c’è solo il rito che può certificarla, con le sue forme e con i doveri e la bellezza dei doveri. La musica, i pasos dobles struggenti. E tutto quel che per venticinque anni è stato il toreo, nella sua altezza e nella sua bassezza, il toreo come simbolo di una vita che cresce, raggiunge l’acme eppoi scende per vivere la decadenza. 

Seduto in uno di quei palchetti straordinariamente sempre all’ombra benché segnati come sol alto, ho ricordato mille cose. Ho ricordato il giorno in cui andai a intervistarlo nella sua finca El Freixo, nella sera di marzo, dopo l’ultima corrida della feria di Olivenza. Si era dimenticato dell’appuntamento. Passai del tempo in cucina con suo padre. Quando arrivò non voleva far altro che cenare con gli amici, ma con grande pazienza si mise lì a rispondere a ogni domanda, anche la meno intelligente. Professionalità – l’hanno chiamata. Certo, è stata professionalità, ma anche rispetto. Direi rispetto per la sua professione e per la professione altrui. Come il giorno in cui mi guardò cercando di capire cosa stessi dicendo, dopo una tienta alla finca El Grullo e probabilmente le mie considerazioni erano del tutto fuori luogo. Ma alla fine mi ringraziò. Agradezco mucho disse. 

Ma i ricordi più belli sono quelli dell’epoca intera che ha attraversato, ossia la mia epoca di aficionado, con le mie altre passioni torere e la mia ricerca che certo deviava decisamente dalla costanza e dalla professionalità, dalla tenacia e dal dominio, ovvero dal mondo di Julián López Escobar detto El Juli, bambino prodigio, costretto a toreare lontano da casa per aggirare i divieti dell’età, cresciuto nella scuola taurina di Madrid, ma amato in Messico dove prese l’alternativa poco prima di compiere sedici anni. Capace di cambiare, di abbandonare le banderillas che domenica scorsa il pubblico reclamava, di perdere lo spirito atletico per conquistare profondità, El Juli ha lasciato la sua Maestranza rifiutando di essere portato in trionfo (trionfo che semmai sarebbe spettato alla magnifica presenza di Daniel Luque) e senza tagliarsi il codino. I suoi più efferati nemici non hanno perso l’occasione di criticarlo: “Evidentemente ha già pronto il ritorno” hanno detto e scritto qua e là, come se il ritorno nell’arena fosse un crimine da cui altri toreri sono mai riusciti a tenersi lontani. “Sono torero dentro e lo resterò per sempre” ha detto lui. E direi che su questo sarebbe ingiusto formulare dei dubbi.

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Matteo Nucci (Roma, 1970) è scrittore, oltre che aficionado. Negli anni Novanta a El Espinar, durante una notte interminabile, vide vaquillas correre nella plaza. Era l'inizio della febbre tauromachica

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