Le ragioni delle regole

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Siamo felici di inaugurare il nuovo anno con l’inizio di una collaborazione importante. La penna di uno dei maggiori esperti di tori in Italia si presterà a raccontare storie e vergare giudizi per il nostro sito. Lo chiamano tutti Il Maestro. Così lo chiameremo anche noi. Che sia un buon 2020. All’insegna delle regole. La redazione

    Chiunque assista a una corrida sa (o dovrebbe sapere) che attualmente lo spettacolo è governato da un corpo normativo di regole di diritto pubblico, genericamente chiamate “regolamento taurino”, che può essere, a seconda dei luoghi, statale, regionale, municipale, o ancora adottato dalle città taurine per accordo convenzionale, come in Francia.  In ogni caso le norme sono emanate da un’autorità pubblica, sono dotate di sanzioni, e si tratta di “regole del gioco” che non hanno niente a che vedere con quelle di una competizione sportiva (adottate dalla competente federazione) in cui vige in principio “vinca il migliore”. 

     Nella corrida non funziona così, nonostante gli italioti antitaurini non perdano neanche un secondo nel commentare ogni notizia della cornata a un torero con la squallida e ritrita battuta “Toro 1 : Torero 0”, sorprendendosi inoltre perché al toro che abbia ucciso o ferito un torero non sia risparmiata la vita e magari concesso un premio.

    La corrida non è uno sport ma è un sacrificio ritualizzato, con eventuali connotazioni artistiche e un profondo sostrato etico, in cui impera la massima “il toro deve morire, e il torero può morire”, il che significa che l’officiante (il torero, e per estensione i suoi aiutanti) devono portare a termine il loro compito (il sacrificio dell’animale) in maniera leale, cavalleresca, esponendosi a un certo pericolo, ricorrendo alle tecniche tradizionali della lidia (il combattimento tauromachico), adattate alle condizioni che presenta il toro, in un contesto di regole predeterminate.

       Ma il regolamento taurino si occupa solo a grandi linee della tecnica della lidia. Ne fissa e regola i momenti fondamentali, che però furono modellati dalla tradizione pratica e dalla trattatistica taurina ben prima che entrassero in vigore i regolamenti, i quali appaiono in un periodo relativamente più recente, nella seconda metà del secolo XIX, quando la corrida a piedi aveva già una tradizione consolidata nel corso di oltre un secolo.

      Se mai, sono stati i successivi interventi normativi sul corpo della tauromachia tradizionale a modificare, anche sostanzialmente, e non sempre in positivo, l’essenza della lidia, abbassandone le esigenze.

      In realtà, fino ai primi decenni dell’Ottocento, il problema per la corrida non era quello di avere un regolamento emanato da pubbliche autorità, ma addirittura quello di ottenere un riconoscimento della sua liceità, perché forse non tutti sanno che, nel secolo XVIII, quello in cui nasce e prende forma la corrida a piedi, sono stati più gli anni in cui le corride erano proibite (pur con numerose eccezioni) fino a giungere alla proibizione assoluta (che pareva definitiva) nel 1804 ad opera del potente e odiato ministro di Carlo IV, Manuel Godoy. Già nel 1808, tuttavia, il nuovo titolare del Regno, il francese Giuseppe Bonaparte, per accattivarsi il favore dei sudditi, ristabiliva le corride. La successiva Restaurazione borbonica di Fernando VII, promotore fra l’altro dell‘effimera ma importante Scuola di Tauromachia di Siviglia, consolidava la legittimità della corrida che per tutto il XIX secolo, con l’alternanza di regimi più o meno liberali,  non venne mai messa seriamente in discussione.

L’intervento dello Stato, quando non era di proibizione, si limitava a uno stretto controllo dell’ordine pubblico, poiché la corrida era comunque il primo e l’unico spettacolo di massa.  Sotto Carlo III si era cominciato a prevedere che le corride fossero presiedute da un’autorità di polizia, che potesse anche comminare sanzioni corporali immediate agli spettatori “discoli”.  

        Per molto tempo, tuttavia, la preoccupazione delle autorità non andava oltre a quella di proibire agli spettatori di tirare sula pista, durante lo spettacolo, arance, ortaggi vari, bottiglie o gatti morti. Oppure di assicurarsi che non fossero venduti più biglietti dei posti disponibili sulle gradinate dell’arena, da cui deriva la loro precisa numerazione, che tuttora deve essere rispettata scrupolosamente dagli spettatori. In definitiva, si trattava evitare tumulti e disordini causati da un pubblico intemperante o esasperato per disguidi organizzativi.

    Ma già verso la metà del secolo XIX, dopo la grande opera di sistematizzazione della precettistica taurina (con l’organizzazione delle cuadrilllas agli ordini di un Maestro, e la suddivisione dei tre tercios della lidia)  iniziata con Pepe Hillo e conclusa da Francisco Montes “Paquiro”, le autorità si resero conto che, fra le cause dei tumulti fra il pubblico, cominciavano a diventare prevalenti quelle dovute alla poca serietà degli organizzatori e dei protagonisti degli spettacoli taurini, i quali mostravano l’insopprimibile tendenza a trascurare, per interesse venale e per comodità,  quanto saggiamente raccomandato dai grandi Maestri nelle loro “Tauromachie” dettate al maggior lustro e gloria della relativa Arte.

     In effetti l’ambiente professionale taurino, soprattutto impresari, toreri, subalterni e fauna collaterale, era (e in parte continua a essere) un ambiente con una elevata propensione a “delinquere”, o comunque a ingannare, a truffare, a ricorrere a quello che in spagnolo si definisce come “picaresca”, anche per la bassa estrazione sociale dei suoi componenti. 

     Quindi, avendo a che fare con un sottobosco di potenziali malfattori, i regolamenti taurini nascono, a partire da quello dettato nel 1847 dal Governatore Civile di Malaga, Melchor Ordoñez, non solo come regolamenti di polizia, ma anche come antesignani delle odierne leggi a tutela dei consumatori .  Servono a stabilire l’età e il peso minimo dei tori, la garanzia sulla loro provenienza e sulla loro “integrità”, i diritti del pubblico a ricevere uno spettacolo conforme a quanto promesso sui manifesti che lo annunciano, e quindi fissano anche i requisiti minimi richiesti ai toreri (nonché agli impresari e allevatori) per ritenere ragionevolmente adempiuta la prestazione promessa al pubblico.

    Si tratta pertanto di norme che garantiscono il minimo esigibile ai professionisti del toreo, e che con l’andar del tempo si sono fatte sempre più lasse.

     Siccome a ogni “sindacato del crimine” non è mai piaciuto l’intervento della legge e della polizia nell’ordinario svolgimento delle sue losche attività, al ceto professionale taurino ogni regolamento, e soprattutto la sua integrale applicazione, ha sempre provocato reazioni d’insofferenza, quando non di rigetto.  O si cerca di eluderlo, con la complice collaborazione di un’autorità a volte “distratta”, o lo si contesta e se ne delegittima l’applicazione integrale che ne fanno soprattutto alcuni – sempre troppo pochi –  presidenti di corride, considerati troppo rigorosi. A queste vere e proprie campagne d’istigazione a disobbedire alle leggi (che sono emanate per tutelare i diritti dei soggetti più deboli) partecipano attivamente non solo i “taurini” (come quel noto “produttore” francese che dal callejón di un’arena aizzava il pubblico e gesticolava oscenamente contro un presidente che negava una seconda orecchia al “suo” torero, o quei toreri che eccitano il pubblico a pretendere indulti non giustificati) ma anche i gazzettieri e pseudocritici prezzolati, i quali non perdono occasione per argomentare che non si può imbrigliare l’arte con tristi e ottuse norme burocratiche. Gli stessi soggetti poi, ogni tanto ripropongono il tema della cosiddetta “autoregolamentazione” taurina, che in parole semplici significherebbe lasciare le volpi a guardia del pollaio.

     La cosa sorprendente è che a queste campagne d’opinione si uniscono entusiasti alcuni sedicenti aficionados (normalmente “tifosi” di questo o quel torero di moda), come se, per fare un esempio, pretesi palati fini ammiratori di un famoso chef chiedessero a gran voce l’abolizione delle norme sanitarie e di sicurezza alimentare per giustificare il loro idolo sorpreso dai NAS con gli scarafaggi in cucina.

     Al contrario, e nella consapevolezza che nessun regolamento può garantire un buon toreo ( come nessuna legge sanitaria può garantire una eccellente cucina, ma almeno evita le intossicazioni), il pubblico in generale e gli aficionados in particolare dovrebbero conoscere il regolamento, esigerne la scrupolosa applicazione, e deprecare ogni tentativo d’interpretarlo, riformarlo,  o addirittura eliminarlo a detrimento dei diritti degli spettatori e a maggior comodità dei professionisti taurini.

        Già è avvenuto in passato che nefaste prassi come la diminuzione del numero minimo di picche che deve sopportare un toro, la loro difettosa collocazione, l’eccessivo peso dei cavalli e delle loro protezioni,  l’utilizzo di una spada simulata nell’ultimo tercio,  ed altri dettagli che meritano apposita trattazione in altra sede, siano state successivamente legittimate dai regolamenti, e abbiano  snaturato l’essenza della tauromachia a piedi codificata dai classici,  convertendola in un penoso simulacro.

       La contestazione al regolamento, e all’autorità che lo deve applicare, è facilitata anche dal venir meno, in ossequio a pur sacrosanti principi costituzionali in tema di libertà personale, della potestà coercitiva immediata del presidente d’una corrida nei confronti dei toreri, o di altri soggetti protagonisti dello spettacolo, responsabili di gravi episodi d’insubordinazione, di provocazioni e oltraggio all’autorità presidenziale.

      Sarebbe stato sufficiente precisare, nell’art. 17 della vigente Costituzione spagnola del 1978, in materia di libertà personale, e negli analoghi testi normativi dei paesi ove si pratica la corrida, che erano fatti salvi gli usi regolamentari tradizionali in materia di spettacoli taurini. In sostanza, basterebbe ripristinare il potere presidenziale di far richiudere i responsabili di gravi incidenti, almeno per lo stretto tempo necessario, nelle camere di sicurezza (calabozos) che erano previste, e tuttora esistono, nelle Plazas de Toros  più importanti, oppure nella più vicina caserma della Guardia Civil, la quale, a sua volta, dovrebbe prestare il suo servizio d’ordine nella tradizionale uniforme con tricorno lucido e carabina Mauser d’ordinanza, non con l’attuale abbigliamento più simile a una dimessa tenuta sportiva.

     Ovviamente queste misure formali, ma d’indubbio impatto scenografico, dovrebbero essere accompagnate da un rigoroso controllo dell’integrità delle difese cornee dei tori, con massicce analisi post mortem delle stesse, e da effettive pesanti sanzioni, vietando inoltre in maniera radicale l’utilizzo nell’allevamento delle famigerate “fundas” che costituiscono una intollerabile manipolazione dell’integrità del toro.

      Ogni ulteriore concessione alla “comodità” di coloro che si pretendono continuatori di una  gloriosa tradizione (sempre di più messa in discussione dalla modernità, e che solo di recente ha trovato  precari riconoscimenti legislativi come bene di interesse culturale meritevole di speciale protezione)  deve essere quindi strenuamente contrastata da chi, in definitiva, contribuisce con l’acquisto del prodotto, cioè del biglietto per assistere allo spettacolo, al suo mantenimento.

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