Il futuro dal passato: Pablo Aguado

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Lo scorso fine settimana ero a Torino per il Salone del Libro e ho incontrato uno degli aficionados italiani più noti. Si tratta di un avvocato torinese completamente malato di tori. Detto dagli amici “il Maestro” per la sua conoscenza enciclopedica della materia taurina e per il suo atteggiamento sapienziale, si dedica giorno e notte alla sua ossessione a prescindere dalle stagioni, declinandola nella più radicale delle sue forme: il purismo. La critica a qualsiasi cambiamento delle regole scritte o non scritte della corrida nel Maestro affonda fino agli anni Venti, quando fu istituito il peto  per proteggere i cavalli. Figurarsi quanto spietata possa essere la critica di toreri e allevamenti della seconda decade del nuovo millennio. Eppure, sabato scorso, quando ci siamo visti era entusiasta di una corrida sivigliana. Non potevo crederci. Era molto tempo che non lo vedevo. E sulle prime ho creduto a uno scherzo. Felice di una corrida sivigliana, il Maestro? Pareva una battuta. O un sogno. E invece era così. Il Maestro mi ha parlato brevemente di quel che aveva visto in tv, ossia di Pablo Aguado, un torero inatteso che ha ridato improvvisamente speranze a un mondo che soffre gravi crisi di asfissia.

Tori di Jandilla, la tarde era attesissima per due star assolute: Roca Rey e Morante de la Puebla. Ma nella corrida il terzo è dato eccome. Il “convitato di pietra” come lo hanno ribattezzato diversi commentatori ha sbaragliato il campo. Quattro orecchie e un trionfo inaudito e indimenticabile. Cosa sia successo potete leggerlo qui. Antonio Lorca parla del giovane sivigliano (classe 1992, alternativa 2017) come di un torero che ha creato se stesso sulla base di canoni antichi: “naturalezza, creatività e ispirazione. Un torero elegante che sprigiona fragranza e classe, qualità che arrivano agli spalti alla velocità della luce”. Rubén Amón, i cui articoli dalle immagini pirotecniche spesso traduciamo su Uomini e Tori, è rimasto a bocca aperta di fronte a tanta classe. Il suo commento che potete leggere integralmente qui, è stato, in questo caso, povero di iperboli, perché non è l’iperbole ciò che si addice allo stile di Aguado: “il resoconto è unanime: qualcosa di mai visto, il colmo del colmo, l’afonia dell’olé di sconcerto, le lacrime, il toreo di un’altra epoca. E da altre epoche sembra arrivare Pablo Aguado. Epoche future perché è il nuovo principe di Sevilla. E passate, perché la sua tauromachia di ispirazione, purezza e temple, evoca, verbi gratia, la grazia di Pepín Martín Vázquez e la naturalezza di Antonio Bienvenida”.

Ma cosa è successo davvero lo sanno solo coloro che hanno seguito la corrida per intero. Innanzitutto chi era sugli spalti venerdì scorso, uno di quei giorni taurini da conservare nel cuore per sempre. E chi ha seguito la diretta o può seguirla di nuovo su siti che non mi è permesso indicare, come ho fatto io, su spinta del purista dei puristi, il Maestro, sempre critico di Sevilla ma con l’occhio lucido dell’appassionato sincero, pronto all’eccezione, quando davvero vale la pena. Ho seguito il consiglio. Invito ogni appassionato a fare lo stesso. O quantomeno a godere delle sintesi che già circolano in rete (qui una delle principali). Quanto a me, francamente non me la sento di dire nulla oltre a quello che si è già detto. Fuorché una cosa. La toreria. La straordinaria toreria del ragazzo che un anno fa è riuscito per miracolo a toreare sei sole volte e che ha studiato, è serio, non ha grilli per la testa e si mantiene umile come deve essere qualsiasi torero pieno di quel rispetto di sé (l’intervista del giorno dopo che potete leggere qui è un esempio spettacolare, da incorniciare). La toreria del giovane che sta vivendo un sogno e mentre torea magistralmente, seguendo tutti i canoni, con sfibrante lentezza, una verticalità perfetta e non ostentata, una soavità di naturalezza che lascia attoniti, mentre fa tutto questo, non perde mai di vista se stesso, non cede alla lusinga della sorte, non si scompone. Continua a fare quel che ha sempre sentito di dover fare. Mai un cedimento all’esaltazione. Nessuna trance. Solo il proprio dovere. Il proprio dovere torero.

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Matteo Nucci (Roma, 1970) è scrittore, oltre che aficionado. Negli anni Novanta a El Espinar, durante una notte interminabile, vide vaquillas correre nella plaza. Era l'inizio della febbre tauromachica

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