La Bodega San José per me è un tempio sacro e i tempi sacri
non chiudono, vengono abbattuti.
Non posso immaginare calle Adriano senza la Bodega San José, senza il panino alla pringà che la capostipite ha continuato a sfornare ogni giorno mentre i figli si affaccendavano al banco. Non posso immaginare che mi sarà negato di pisciare nel miracoloso cessetto dell’angolo a destra per prepararmi alla corrida. E non posso immaginare che dopo la corrida mi sarà impedito di spingere fra la folla per raggiungere il banco e ordinare una caña fresca come dio comanda eppoi parlare a lungo di quel che abbiamo visto. E non posso immaginare che mi sarà impossibile incontrare tipi che possano raccontarmi storie taurine mirabolanti come quella che riporto qui sotto.
La Bodega San José chiude e da quando scoprii che Sevilla è insieme a Atene e Roma la mia città dell’anima, ossia dalla prima volta che la visitai, la Bodega San José è stato un tempio sacro, negli ultimi anni deturpato da un rinnovamento obbligato e infelice, e tuttavia pur sempre un tempio, tempio buio, tempio umido e pieno di segreti, pieno di polvere sulle Madonne, i toreri e i carteles appesi ovunque.
Chi abbatte la Bodega San José? Chi sono i barbari oggi? Perché è giusto tenere a mente questa chiusura come uno degli ennesimi, drammatici campanelli di allarme?
Stanno chiudendo locali storici a Sevilla come in altre città profondamente taurine. Locali che raccontano da soli un mondo. Forse quel mondo stesso è in pericolo?
Ho sofferto leggendo l’articolo di Antonio Lorca, pochi giorni fa. Ma va letto e riletto. I tempi si difendono. È possibile difenderli. È sempre possibile. Basta avere chiaro il pericolo. Prima che sia troppo tardi.
*** *** ***
Quando Rafael fa il nome di CurroRomero, ho un sussulto. Francisco Romero Lòpez, meglio conosciuto con l’apodo torero di CurroRomero, e detto El faraòn de Camas dalla cittadina dove nacque nel 1933, poco fuori Sevilla, è stato uno dei più controversi toreri spagnoli. E io l’ho conosciuto attraverso una storia bellissima una delle mie prime volte a vedere i tori a Siviglia. Fu una giornata memorabile. Eravamo arrivati in tempo per una delle corride più attese, i biglietti erano finiti e li avevamo comprati dai celebri bagarini sivigliani, la cosiddetta reventa, rivendita a prezzo d’oro. C’importava poco, eravamo lì per questo. Aveva piovigginato prima che il nostro aereo atterrasse e ora l’aria era pulita e fresca. Girammo attorno alla Real Maestranza, che è una delle plazas de toros più belle di Spagna e quando sbucammo su Calle Adriano, nonostante il sole di aprile e l’odore di cavalli, fu impossibile resistere: la Bodega San José era un portoncino di legno scrostato e un antro buio che sapeva di vino. Quanto tempo passammo lì non lo so più. All’inizio furono bicchieri di vino bianco con i famosi gamberetti, poi qualcuno ordinò un piattino di formaggio e del vino rosso, così cominciammo a bere altro e un vecchio che era lì vide i biglietti che avevamo comprato dal bagarino e ci prese in giro, ci disse che italiani come noi non ne aveva mai visti e volle offrirci da bere e disse che prima della corrida, prima di una corrida come quella, non si poteva bere altro che whisky e cola e allora ordinò per tutti, ci offrì sigarette bianche da un pacchetto di Ducados e ci raccontò di quando aveva rischiato di far fallire il suo matrimonio per colpa di Curro Romero. Curro Romero, lo conoscete? C’è la sua statua lì davanti alla Maestranza. È ancora vivo, ma è già una statua, è un mito, è uno stato d’animo, una categoria dello spirito. Ci sapeva fare, con i racconti, il vecchio. Disse che la statua del Faraòn lo rappresentava nella sua posa di artista, ossia in un desplante, uno di quei movimenti con cui i toreri si stagliano di fronte all’animale quando si ferma dopo una serie di passaggi: il toro smette di caricare, non c’è vero pericolo e l’uomo gli rimane di fronte per qualche secondo in una posa appunto statuaria, completamente artistica. Curro Romero è stato il più grande artista di tutti i tempi, disse il vecchio, e per poco non ci rimettevo il matrimonio. Quel mattino di trent’anni fa, la corrida che si aspettava era critica. Le due corride precedenti Curro si era quasi rifiutato di toreare, lì, nella sua Siviglia, il mondo che consideravamo nostro, quello che ci univa al nostro artista davvero profondamente. Erano state due umiliazioni per tutti noi, i suoi sostenitori, i cosiddetti curristi, mentre gli anticurristi gioivano e dicevano: vedete? Questo è il vostro torero, questo è l’uomo, ossia il mezzo uomo che senza i suoi mezzi tori non vive, non esiste, non torea. Noi eravamo affranti e per giorni non riuscimmo a darci pace. Quando Curro Romero faceva così per noi era una tragedia, era come se tutto stesse per crollare, come se il mondo stesse per finire, come se la vita non avesse più senso. Vi potete immaginare mia moglie? Vivevamo a Triana, dove sono nato, e in quei giorni non c’ero più riuscito, non ero stato più un uomo, non ero più me stesso, capite? Dico con mia moglie. Semplicemente c’ero e non c’ero e faticavo a essere quel che posso essere e non riuscivo a non pensare a Curro e alla sua tragedia, la nostra tragedia, fino a quando il sonno mi portava con sé. Poi all’improvviso si venne a sapere della sostituzione. Un torero, non mi ricordo più chi, fu ferito e per sostituirlo fu chiamato Curro Romero. Avevamo un’altra possibilità, l’ultima qui a Siviglia, per rivederlo davvero e temevamo tutti il disastro definitivo. Mia moglie seppe e mi disse: stavolta non ci sono santi, o me o i tori. Se domenica vai ai tori, a casa non mi trovi più. Le feci la promessa e per tutta la settimana pensai a come fare per ingannarla. I biglietti li avevo comprati subito e i miei amici mi volevano con loro fin dal mattino ma dissi che ci saremmo visti direttamente ai nostri posti del tendido. Non avevo un piano, nessun piano. Arrivò la domenica, era un giorno bellissimo e il sole incendiava calle Pureza e io e mia moglie uscimmo presto e passeggiammo in giro per la città e, di ritorno, quando era ormai l’una, passammo dalla chiesa di Santa Ana e ci fermammo al bar e le proposi di mangiare caracoles ché era arrivato il periodo delle lumache e lì al bar di Santa Ana le lumache sono le migliori di Siviglia. Ci mettemmo al sole e mangiammo eppoi prendemmo qualcos’altro, non ricordo cosa, bevemmo, mangiammo altro ancora e bevemmo eppoi prendemmo un caffè e un brandy. Pensavo che si sarebbe ubriacata e si sarebbe addormentata ma mi sentivo talmente felice e talmente ubriaco io stesso che i miei piani improvvisi non valevano più nulla e continuavo a bere brandy, almeno quello riuscivo a farlo, non prendevo whisky e cola pensando che sennò mia moglie avrebbe capito tutto, continuavo a ordinare brandy e già immaginavo la sera e mi dicevo che niente sarebbe stato bello come la corrida e quasi avrei voluto gridarlo a quella donna che amavo così tanto e condividere con lei quella felicità. Tornammo a casa abbracciati, i ragazzini giocavano a pallone su calle Betis e noi guardavamo il Guadalquivir e ci baciavamo e io guardavo la plaza e mandavo i miei baci anche alla Maestranza e vedevo il colore ocra e bianco delle sue mura e già sognavo la cappa di Curro Romero. I ragazzini ridevano mentre ci baciavamo e cercavano di guardare le mie mani e il suo corpo, mia moglie era bellissima, io la stringevo, loro guardavano, lei lo sapeva e le faceva piacere, finché non la presi per mano e corremmo a casa e a casa? Be’ non vi racconto nulla di questo, potete immaginarvelo, fu una cosa pazzesca, talmente pazzesca che entrambi, nella felicità, nel caldo, nell’ubriachezza e nel piacere, sotto la pala che muoveva aria dal vecchio soffitto, crollammo addormentati. Mi svegliò lei alle cinque e mezza, col caffè, dicendomi “amore, amore, svegliati” e io la respingevo e lei insisteva “amore, amore svegliati, sennò ti perdi la corrida”. Balzai su, volevo piangere di felicità: capite cosa significa avere una moglie? Una moglie vera? Lei sapeva tutto. Aveva capito ogni cosa. E io corsi via. E sapete come andò? Potete immaginarvelo. Curro Romero entrò nell’arena tra fischi e ovazioni eppoi appena aprì la cappa con il suo primo toro fu subito silenzio, fu silenzio assoluto, e tutti capirono, anche gli anticurristi, che la magia era tornata. Fu una tarde epica, qualcosa di incomparabile con qualunque altra cosa mi sia capitata nella vita.
(da Il toro non sbaglia mai)