Ascolta bene

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1963
(ph) @ceretdetoros

Ascolta Bene.

Ascolta bene quello che ti esplode dentro, che ti si legge negli occhi, che ti porti sulla pelle, insomma tutto quello che non riesci a nascondere nemmeno qua a 1000 km di distanza, dopo due giorni di tori così, dopo quella domenica mattina, con la sua messa pagana attorno ad una pista di sabbia.

Ascolta Bene, Oye Mucho.
Che poi magari la traduzione esatta non è nemmeno così, ma amen.
Oye Mucho.

Ascolta Bene, come il nome del sesto novillo di Fidel San Román: un Toro di quelli da ricordare, di quelli che segnano il loro passaggio su questa terra, di quelli che nascono con un destino, un destino grande, e di cui tu sei testimone.
Numero 37, nato nell’ottobre di quattro anni fa dalle parti di Ciudad Real, andato a morire in questo circo un sabato mattina di luglio, terribilmente caldo, con i Pirenei là dietro.

Ascolta Bene, ma non quello che ti dice la testa, no, qui non è questione di testa, ascolta bene la pancia, quello che ti dice la pancia, le trippe che si contorcono, i nervi che si tirano, il sangue che pompa, i tuoi sensi che si fanno elettrici, saltano, vanno in cortocircuito, esplodono.

Ascolta Bene.

Ascolta Bene, ascolta bene la terra che trema quando entra quel giovane toro, un sisma in sedicesimi, una scossa nera e con le corna, un movimento tellurico che non puoi contenere.
Ascolta bene la forza di quei muscoli, che hanno un suono, sì quei muscoli hanno un suono che è il suono della bravura, dell’animalità selvaggia, della carne pura.
Ascolta bene il soffio delle nari che scuotono la sabbia, mentre quel ragazzino gli dà qualche veronica, e le sue corna dentro nella capa, le gambe forti e veloci, la pelle tesa.

E poi riposati un attimo.

Perché adesso la musica si fa importante.
Oye Mucho.

Il novillo vede il cavallo.
E tu ascolta bene.
Lo scoppiettio della sabbia sotto quegli zoccoli che si mangiano i metri, cinque, dieci, venti, ed entrano come una cannonata.
Il tonfo sordo della testa nel cavallo, ascolta bene le corna che assaltano la fortezza, ascolta bene il suono freddo della picca che entra nella carne.
Ascolta bene le assi che scricchiolano sotto il peso di quel toro e di quel cavallo, ascolta l’ovazione della gente, ascolta le grida.
Ascolta la mano del picador che accarezza il suo cavallo, ascolta quel fruscio dolce, la pelle dell’uomo sul crine dell’animale, il fruscio di quella mano riconoscente, orgogliosa, affettuosa.
Ascolta Bene, ascolta bene di nuovo tutto daccapo, gli zoccoli sulla sabbia, il tonfo del cavallo che ritorna a terra, il soffio animale del toro, ascolta bene il rumore di quelle reni che spingono, spingono, spingono.
Ascolta Bene.
Ascolta bene i sospiri della gente, le grida della gente, gli applausi della gente, l’emozione della gente.
Ascolta bene il ticchettio del tuo orologio, la lancetta dei secondi che conta, uno, due, tre, quattro, e intanto ascolta il fragore di quei 500 chili che in quei quattro secondi attraversano la pista, tutta la pista, e vanno a travolgere il cavallo, il cavaliere e il cuore di 2000 persone.

Oye Mucho.

Ascolta bene la paura del torero, che sa di essere nano sotto le spalle di un gigante, che abdica, fugge, sciupa.
Ascolta Bene ha ancora rabbia, forza, voglia.

Oye Mucho.
Ascolta Bene le fruste che schioccano per far correre le mule, quando trascinano fuori le carcasse.
Le senti?
No?
Chiaro, non le senti.
Non servono, per questa carcassa la vuelta è lenta, rotonda, a prendere gli applausi, gli applausi di tutti, il tributo degli uomini al Toro.

Ascolta Bene.
Oye Mucho.
E’ Ceret.
Sono i Tori.
Oye Mucho, un toro bravo.

 

* * * * *

Céret, 11 luglio 2010. Novillada di Fidel San Román, di trapio smisurato, brava al cavallo, eccessiva per i mezzi dei novilleros. Vuelta al ruedo per il sesto, Oye Mucho, un toro bravo che ha giganteggiato nei tre tercios. Arturo Saldívar (saluto e silenzio), Paco Chaves (silenzio e fischi), José Maria Arena (silenzio e fischi).

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