“Destino Madrid” di Pietro Motisi

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Da "Destino Madrid - Burladero" di Pietro Motisi, 2015.

Pietro Motisi vive a Palermo. Qualcuno potrebbe pensare che è il lago-Mediterraneo la ragione estetica e culturale che lo ha spinto verso la Spagna taurina. Sappiamo che a piazza Marina, oltre a bruciare streghe, si sono uccisi tori nelle tauromachie importate dagli Spagnoli. Ma in realtà lo sguardo di Motisi si è affinato stilisticamente in Galles, dove ha ottenuto una laurea in Documentary Photography. Poi c’è l’Emilia di Luigi Ghirri, che lo ha tenuto lontano dalla facilità dei bianchi e neri croccanti verso i sottotoni nebbiosi e desaturati. Ma in fondo la sua fotografia non esisterebbe senza il cinico disincanto della Sicilia violata, e proprio grazie a questo le nebbie e i toni scarichi non slittano mai nel romanticismo, nell’evocazione, nella metafisica del silenzio. C’è anzi una sottile violenza fredda nel suo sguardo, che neanche la Capitale spagnola ha potuto scaldare.

“Destino Madrid” è un progetto in tre tempi che dovrebbe chiudersi idealmente con la temporada 2018. I due capitoli raccolti fin qui, Burladero e Recibiendo, hanno l’enorme pregio di smarcarsi da subito dalla retorica rutilante che appesantisce il 99% della fotografia taurina. L’impressione è quella di una Madrid trapiantata nelle brughiere scozzesi. Un cantiere dove la maschera della città si abbassa impietosa, e quello che resta è il volto struccato di una donna che anche così sa rimanere bella. Ma attenzione. Nessuna stanchezza del vivere. Nessuna malinconia. Al contrario, un’energia di vita che è una specie di violenza trattenuta. 

Questo insolito disequilibrio e questa fuga dai cliché Motisi l’ha ottenuta non solo immobilizzando i soggetti in un’asimmetria molto geometrica e in un pantone silenziato, ma anche e soprattutto giustapponendo a Madrid immagini dell’Appennino modenese. La contiguità narrativa, oltre a semplice contingenza di viaggio (che di per sé non significa nulla), è la ricerca di una risonanza, un’affinità impossibile. Suggerita in modo allusivo da morfologie che si citano, da linee soggiacenti derivate da una comune grammatica dell’occhio, ottengono l’effetto di parlare di tori e di arene come se fossero paesaggi iperborei. L’Appennino riposa su un’estetica minore e tuttavia radicale, così Las Ventas catturata in un momento laterale o i costumi vuoti per fotografare i turisti a Plaza Mayor hanno qualcosa di primario. Un unico destino, appunto. Cioè, semplicemente, un’unica direzione.

Infine, ed è forse l’idea più importante, tutto quello che avviene dentro l’arena in verità non finisce mai, non è confinato lì, nell’uovo del ruedo. Come dice Motisi “Il nesso tra Madrid e l’Appennino deve indurre a dissolvere (materialmente e cinematograficamente) i confini dell’arena, tramite la poetica dell’immagine e dell’immaginario dal vero”. 
 

A questi link i due capitoli madrileni di Motisi:

http://www.pietromotisi.it/work/destino-madrid

http://www.pietromotisi.it/work/destino-madrid-recibiendo

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