Ogni torero è il ritratto concettuale di se stesso. Quando José Tomás dice che prima di toreare lascia il corpo in albergo, non è una spacconata, sta affermando una filosofia del corpo che gli permette di fare nell’arena quello che solo lui sa fare: agire di fronte al toro come se ciò che deve ancora accadere fosse un déjà-là. Non provocare eventi, o controllarli, semplicemente constatarli in una specie di trance. Ben oltre il distacco glaciale o la totale avventatezza, Tomás pensa che le cose stanno per accadere proprio come le pensa lui: lui le pensa e le cose erano.
Non bastano tecnica, controllo e sangue freddo, ciò che davvero conta è un’idea di corpo completamente diversa da quella che l’Occidente contemporaneo ha ereditato dal paniere culturale greco-cristiano. Il fatto di essere stato incornato molte volte, e di aver rischiato di morire o di ritirarsi dalla professione, non l’ha distolto dal sondare questa ipotesi che forse più di ogni altro torero ha saputo incarnare. Tomás non grida, non esulta, ha perfino perso negli anni la sua aria malinconica. Quello che gli è rimasto è un corpo solo immanente, pieno di soglie aperte in via meccanica o simbolica dalle corna del toro, un corpo attraversato da vettori e intensità, un esperimento, come un qualcosa che è giustapposto agli organi che fisiologicamente lo compongono, un organismo indeterminato che non può essere incornato dal toro, anche se il toro può incornare gli organi ben determinati del torero, intestino, cuore, polmoni, occhi, cervello, testicoli, arterie. Il corpo-Tomas, uscito da una concezione animista del toreo, accetta per sé quello che si imputa al toro: essere un luogo di transiti.
Sulla corrida si scrive moltissimo. Soprattutto in rete. E tante parole in rete sono la diretta conseguenza di una certa imprendibilità fenomenologica della corrida, non solo difficile da conoscere nelle sue innumerevoli sfumature tecniche, ma in qualche modo irrappresentabile a livello visuale. Alcuni toreri, consapevoli dell’unicità del gesto effimero che pongono in essere, vietano che le loro performance siano riprese in televisione, perché l’immagine atrofizzata dello spazio allontana la partecipazione del corpo. Come José Tomás, appunto. Ma dal momento che al giorno d’oggi può bastare un cellulare per tradire le aspettative del Maestro, ecco che il sottobosco di chincaglierie taurine si arricchisce di DVD pirata che, a bassa definizione, cercano di rubare l’invisibile. Ovviamente questi video sono utili per vedere e rivedere. Ma vedere che cosa? Il volumi senza prospettiva? La massa mancante e la costruzione/decostruzione dello spazio man mano che corpo umano e corpo animale si incontrano? La fisica senza la chimica?
Ecco allora il bisogno della parola. Della tertulia. Perché la natura effimera del toreo rifugge gli apparecchi di cattura del visibile e si annida, provvisoriamente, nelle increspature della lingua.