Difesa del picador

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Ho visto bambini giocare ai tori, chi fare l’animale, chi impugnare un panno. Non ne ho visti, magari in sella alle bici ed armati di ramazza, divertirsi ad impersonare picadores. Le aspirazioni dei giovanissimi sono altre. Sognano di fare i toreri, di arrivare nelle plazas, snelli ed aggraziati, al termine di un elegante soggiorno in hotel di lusso. I picadores, invece, escono direttamente dai quadri di Botero, spaccandone le cornici a forza di gonfiarsi. Senti il botto della deflagrazione: bububum! Non è un colossale tamponamento, è un picador che si prepara per andare alla plaza. Le scuole di tauromachia si nutrono di ragazzi che struggono per divenire toreri, nessuno di loro vuole entrare in un’arena per beccarsi fischi e improperi nel lavoro più difficile e più incompreso della fiesta. A che servono allora questi goffi omaccioni col castoreño e la vara? Che assieme alla Picassiana e alla Goyesca, si inventi una Boteresca che dia ai picadores il riconoscimento che gli spetta!

E invece la tauromaquia è nata intorno a loro, nelle attività quotidiane col bestiame, secoli fa, prima che la scintillante puya, la punta ferrea, si evolvesse nell’odierna affilata piramide triangolare, col noto fermo di legno, rivestito di corda.

A che serve il picador? A far sì che il toro affondi le corna nell’impatto, serbando una soddisfatta sicurezza, e a fargli abbassare la testa, a temprare insomma l’animale perché segua in modo armonico la linea che la muleta gli offrirà. Il picador deve ahormar al toro, regolare l’incornata. Questo lo si è scritto centinaia di volte. Non è vero, invece, che il suo lavoro serva a garantire la fuoriuscita di sangue, o meglio non è vero che sia necessario far fuoriuscire sangue per evitare il congestionamento delle arterie dell’animale. Ciò è stato smentito da diversi studi. Non è vero nemmeno che il picador sia grasso e grosso, è una figura fiera e altera, ben protetta dal suo vestiario, e Botero fa tutti ciccioni, anche i toreri (affacciatevi alla finestra, il fragoroso “bububum!” di prima era un tamponamento). È falso anche che il cavallo debba essere pesante, anzi. Più o meno deve raggiungere i cinquecento chili, tra i cinquecento e i seicento, di percheron e padre andaluso perché sia agile, facile da manovrare, eppure ostinatamente radicato nel terreno del ruedo, un animale robusto, imponente, in realtà equilibrato ma inamovibile all’impatto dei tori come fosse di roccia.

Penso a Tito Sandoval e Juan José Esquivel, penso a Santiago Morales “Chocholate”, José Palomares e Gabin Rehabi. Il buon picador comprende i tori, capisce il loro comportamento, conosce il loro corpo e sa come colpire per salvarne le facoltà muscolari. Sa che se l’animale torna a caricare significa che è un buon toro, che la sua voglia di vincere è più forte della sua paura del dolore, ma dovrà pure sapere come gestirlo, senza danneggiare muscoli e colonna vertebrale, senza infiacchire l’animale e sminuirne la potenza con colpi inutili e male assestati. 

Dovrebbe essere in grado di ferire l’estremità del morrillo prima della croce, quella gobba grassosa, la zona superiore del trapezio cervicale, sulla quinta vertebra circa, con la vara posta quanto più verticalmente possibile. Un affondo rapido e netto, esattamente lì. Solo così si colpiscono i muscoli estensori della testa, i muscoli epiassiali. Sono due e sono simmetrici. Si aprono gradualmente verso la fronte, così se il toro ha una certa tendenza a colpire con un corno piuttosto che con un altro allora si può intaccare l’epiassiale di quel lato, correggendo la tendenza dell’animale. Il pubblico, però, fischia e non sa perché fischia, crede di riconoscere picador maldestri dal loro apparire nell’arena, teme colpi pesanti di puya che influenzino negativamente il movimento corporeo dei tori. E ce ne sono di picador malaccorti e se ne vedono di tori che si fermando dopo un avvio esuberante, ma la realtà è che si è costruito un toro meno completo, con meno casta, meno nobiltà, inadatto ai tre tercios, un toro muletero. Di tori bravi che beccano tre castighi se ne legge solo nei libri ormai. Tutto questo non può che disgustare gli aficionados, ma resterà sempre più facile fischiare il picador, trasfigurarne la fierezza in una sagoma deforme, puntare l’indice contro la suerte de varas e giocare a sentirsi toreri.

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