Ancora sangue e arena

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Foto Redazione

Ci sono libri così noti da finire nell’oblio, un po’ come la fotografia della moglie e dei figli sulla scrivania dell’ufficio: a forza di tenerli sempre sotto gli occhi, i loro volti diventano invisibili. Questo libro è forse IL classico, l’archetipo che ha generato un mondo, un immaginario, un flusso narrativo. Ci piace parlarne ancora una volta, per accenni, per stimoli.

Dalla quarta di copertina (Gherardo Casini Edizioni, 1965):

L’autore

Vicente Blasco Ibañez (1867-1928) è uno dei più popolari narratori spagnoli moderni. La sua vastissima produzione è per la massima parte ambientata nella Spagna, di cui coglie i lati più caratteristici, non solo di colore e di costume, ma l’animo, la psicologia, le violente passioni e i grandi slanci.

L’opera

Sangue e arena è un romanzo celebre in tutto il mondo. La vita dei toreri, gli amori e gli odi, il sangue della corrida e il travolgente entusiasmo della folla che popola l’arena, vi sono resi con una efficacia che rivela la mano di un grande artista. Celebre è rimasto il film che ne fu tratto nell’interpretazione di Rodolfo Valentino.

I protagonisti

Juan Gallardo, il torero impavido, idolo delle folle, diventa un timido fanciullo dinanzi allo sguardo di una donna che si invaghisce di lui, e finisce tragicamente la sua vita. Doña Sol, la bella moglie di un diplomatico, donna capricciosa e volubile, attratta dalla celebrità, s’innamora del torero, e poi lo abbandona per altri amori, rovinando l’esistenza dell’uomo semplice e istintivo. Carmen, la moglie del torero, che gli rimane fedele in tutta la vicenda, lo perdona e gli sarà immutabilmente vicina al momento della sua tragica fine.

Dalla prima pagina:

«Come in tutti i giorni di corrida, Juan Gallardo fece colazione per tempo. Un pezzo di carne arrosto fu la sua unica pietanza; vino non volle nemmeno assaggiarne e la bottiglia restò intatta innanzi a lui. Doveva mantenersi sereno. Bevve due tazze di caffè nero e denso, ed accese un enorme sigaro, restando con i gomiti sulla mensa ed il mento appoggiato sulle mani, a guardare con occhi sonnolenti gli avventori, man mano che entravano nella sala da pranzo…».

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