Murciélago e Ferdinando: due tori

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In questa storia c’è un solo toro vero e il suo nome è Murciélago. In castigliano significa “pipistrello”, ma la cosa è poco significativa perché ai tori vengono dati i nomi più strani. Molto spesso, oggi viene loro assegnato un nome che ricorda quello della madre, perché è lei a portare per nove mesi in grembo il nascituro; è lei a partorire e dunque a trasmettere al piccolo futuro combattente, nel primo anno di vita passato insieme, le sue note di carattere, di coraggio e di intraprendenza. Il padre, il semental, ha il piacevole compito di coprire le vacche dell’allevamento, e per questo semplice motivo sarà padre di innumerevoli figli di innumerevoli madri. La mamma dunque è sempre la mamma, anche fra i tori.

In questa storia, però, c’è anche un torero. Fatto ovvio, visto che si tratta di tauromachia. Il nostro torero si chiamava Rafael Molina, ed era soprannominato Lagartijo, cioè lucertolino, a causa della bassa statura e della vivacità nei movimenti. Era di Cordoba. E sarebbe diventato uno dei cinque “Califfi” del toreo, uno dei cinque più grandi toreri cordobesi di tutti i tempi, insieme a Manolete, Machaquito, Guerrita e Cordobés.

In questa storia, infine, abbiamo una città. Cordoba, appunto. Una città andalusa dalla bellezza accecante, con le sue case bianche, le strade polverose, l’incredibile Mezquita, il grande Guadalquivir che la attraversa, e che noi appassionati di tori ammiriamo dal ponte romano che ci porta di là, dove andiamo a passeggiare dopo un pranzo sontuoso, per digerire un po’ prima che inizi la corrida.Del resto, la corrida inizia tardi nel pomeriggio, perchè a fine maggio, quando a Cordoba è tempo di feria, fa un caldo infernale.

Nel 1879, però, la corrida del 5 ottobre cominciò un po’ prima. E probabilmente non faceva così caldo. Murcielago era arrivato già da giorni. Era nato quattro o cinque anni prima in un allevamento in Navarra, parecchio lontano da Cordoba, su a nord. Rappresentava perfettamente una delle razze fondamentali da cui originano i tori da combattimento attuali: la Casta Navarra. Gli incroci di sangue che nei secoli si sono susseguiti a partire da queste razze originarie, hanno portato al toro attuale. I tori Navarri erano temutissimi dai toreri. Animali piccoli, veloci, aggressivi, molto rapidi a capire chi era l’avversario da combattere, ossia l’uomo anziché l’insulso panno rosso che gli veniva sventolato davanti. Con il tempo, tori così difficili sono scomparsi dalle arene, perché l’evoluzione dello stile del combattimento li ha resi inadatti alle mode che cambiano. E tuttavia gli allevamenti esistono ancora, e prima o poi, bisognerà andare a visitarli.

Ma il nostro è un racconto antico e a fine 800 i tori Navarri venivano combattuti eccome. Lagartijo peraltro era un grande, grandissimo torero, e nella sua Cordoba combatteva anche i temuti toritos rojos, i piccoli tori rossi. Ah, dimenticavo una cosa fondamentale. Il colore del pelo di questo toro. Murciélago era di pelo rosso, come tutti quelli della sua razza. In termine tecnico si dice colorado oppure colorao, alla andalusa. Tori di questo tipo si vedono ancora in giro, ma non sono tantissimi. A me piace molto il toro colorado, pelo rosso acceso, magari con le cerchiature bianche intorno agli occhi (ojo de perdiz, occhio di pernice) e alla bocca (bociblanco). Certo, anche quando entra in pista un jabonero, di pelo bianco sporco, o un sardo, a tre colori, è emozionante, ma non divaghiamo.

Siamo quindi nell’antica plaza de toros di Cordoba, che ora non esiste più. Un più funzionale coso in cemento armato fu costruito negli anni 60. Penso che la plaza antica fosse assai più bella, non so nemmeno dove era, ma è già un miracolo che si tengano ancora corride in generale, quindi accontentiamoci. Insomma, entra Murciélago. Entra veloce, al galoppo, senza guardarsi troppo intorno. Immagino che i tori della sua stirpe entrassero così. Murciélago peraltro non è grandissimo, ma è certo di impressionante trapìo. Trapìo è un termine intraducibile, come molti altri che riguardano la tauromachia, ma può essere così riassunto: la sensazione di paura o meglio di rispetto che suscita l’animale appena lo vedi. Il trapìo non è quindi legato alle dimensioni dell’animale alle sue corna.

È impressionante quanto può cambiare un toro a seconda dell’ambiente in cui si trova. Quello che nel campo sembra un animaletto, magari entra nell’arena e il pubblico fa “ohh” e si alza in piedi, e applaude. È il giudizio, che da singolo diviene collettivo, a cambiare. Un altro miracolo. Si torna al fattore umano. Come diceva il grande Paolo Villaggio, se sei comodamente seduto negli spalti dell’arena ed entra un toro con i fiocchi rosa intorno alle corna, il papillon ed il cappellino a fiori (il toro Ferdinando, dico io), tutti ridono a crepapelle. Ma se quello stesso toro, proprio quello, te lo ritrovi davanti, di notte, in una strada di Toledo deserta, probabilmente non ti viene da ridere. E allora avrai molta paura.

Ma torniamo a Murciélago. Non è grandissmo, non ha corna enormi, ma proporzionate. Ha un impressionante trapìo e un pubblico intenditore come quello di Cordoba, questo, lo apprezza. Murciélago, numero xx, di pelo colorao, ojo de perdiz, bociblanco. Appena entrato, si trova davanti i cavalli, montati dai picadores, e li attacca. Subito. Non ci sta a pensare. Non raspa con la zampa. Non arretra. Carica dritto contro gli animali. All’epoca, il cavallo non era protetto. Era nudo e veniva incornato nel ventre. Contemporaneamente il picador piantava la lancia, la vara, nella schiena del toro. Il cavallo veniva ribaltato, il picador cadeva, spesso mantenendo la vara ben piantata nel toro, che finiva di accanirsi con il cavallo. Questa laocoontica figura veniva poi magicamente sciolta dal matador, che servendosi della cappa distraeva il toro e lo portava via. Magari con un gesto artistico, magari avvolgendosi lui stesso nel capote. Immagino che il grande Lagartijo si sia scatenato nel distrarre Murcielago tutte le volte che caricava i cavalli. Perchè Murciélago si rivela instancabile. Non si cura della vara che lo ferisce, e continua ad attaccare. Il torero lo porta via, lo ricolloca, e lui attacca ancora, e ancora, e ancora. Murcielago attacca ventiquattro volte. E uccide tredici cavalli. Il pubblico è in piedi. Si tratta di un gran toro. Va lasciato vivere. Non va ucciso. Così, Murciélago viene perdonato. È l’indulto. Prima che entrino i banderilleros. Prima addirittura che il torero lo possa affrontare da solo con il suo piccolo panno rosso, la muleta. Oggi sarebbe impensabile indultare il toro prima della fase finale, il tercio finale, che in realtà è il culmine del combattimento. Ma anticamente andava così.

Murciélago può vivere. È libero. Viene in qualche modo riportato nei recinti della piazza, un po’ malconcio. Cosa ci facciamo, ora con questo animale? Fosse stato Ferdinando, un bel fiore profumato, e via. Ma Murciélago è un vero toro, un combattente, un eroe. Così si conviene: è giusto che il torero, Lagartijo il grande, ne divenga padrone. Lagartijo accetta il dono, ne è orgoglioso, ma non è un allevatore, è “solo” un torero. Non si può riportare l’animale in Navarra, terra lontana, e l’animale è troppo messo male, non sopravviverebbe. Ma c’è un giovane allevatore nella zona di Siviglia che potrebbe accettare il dono: si chiama Antonio Miura. Don Miura sta costruendo un allevamento unendo tori e vacche di origine diversa, compra e vende animali, prova varie soluzioni. Perché non mettere alla prova anche Murciélago, toro navarro?

E qui termina la storia. O meglio inizia una nuova storia, stavolta eterna. Perché  padreando nel campo fino alla fine dei suoi giorni, Murcielago trasmette il suo nobile sangue di combattente alle generazioni future. E ancora oggi, dopo più di centotrent’anni, a volte succede che esca un toro Miura colorado! Non è un pelo tipico dell’allevamento: i mitici Miura sono grigi, neri, oppure di vari colori. Ancora oggi, quindi, abbiamo la possibilità di vedere i nipotini di Murciélago andare incontro al loro destino nelle arene di Spagna e Francia.

Sarà vero? Oppure è solo il sogno di un appassionato? Non saprei, però posso dire che ebbi la fortuna, anni fa, di visitare l’allevamento di Miura, nella mitica fattoria di Zahariche. E con un po’ di ingenuo coraggio chiesi all’allevatore attuale, don Eduardo Miura, se questo fosse possibile. Sicuramente, mi rispose lui sornione, nei Miura corre sangue di razza Navarra.

Ma il toro Ferdinando, allora, cosa c’entra con tutta questa lunga storia? Niente. Il toro Ferdinando è solo un cartone animato, una fantasia adattata ai tempi del buono, del finto, del politicamente corretto. Il toro Ferdinando, che ama i fiori e non vuole combattere, non è mai vissuto. Il toro Murciélago, invece, vive ancora.

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