Dolores Aguirre, la signora dei tori

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ph José Angulo - Dolores Aguirre a Orthez, 2010

Dolores Aguirre, palabra de ganadera (Servisistem Colección Tauromaquia, 2014) racconta la parabola di una delle figure centrali del microcosmo taurino a cavallo dei nostri due secoli: il suo autore, Eneko Andueza Lorenzo che è tra le altre cose membro del consiglio direttivo del Cocherito di Bilbao, ripercorre i quarant’anni di vita della divisa gialloblu sotto la direzione di questa donna basca generosa e severa, capace di guadagnare il rispetto di aficionados e toreri e impresari e allevatori grazie alle sue doti di rettitudine e coerenza, intransigenza e serietà. Dolores Aguirre Ybarra (Berango (Vizcaya), 1935–Constantina (Siviglia), 12 de abril de 2013) è stata ganadera dalla schiena dritta, mai disposta a contrattare cedimenti o compromessi, e i suoi tori rispecchiavano in pista il carattere fermo e coriaceo della loro signora: il testo di Eneko Lorenzo indugia soprattutto sui grandi pomeriggi con cui negli anni novanta gli atanasios di Costantina hanno incendiato le arene di Madrid e Pamplona, ma è tutta la storia dell’allevamento (dalle origini ai giorni nostri) ad essere narrata con passione e sentimento. L’appunto che si può fare all’opera è che manca di dati: il lettore sente il bisogno, nello sviluppo del racconto, di riferimenti statistici che possano aggiungere una cifra misurabile alla vicenda dei tori di doña Dolores, il numero di corride combattute per anno o quello nelle singole arene, il numero dei toreri che hanno affrontato questo ferro e dei loro trionfi, e poi altro ancora  a rifinire dunque un lavoro che così sì avrebbe potuto dirsi completo.

L’edizione francese dell’opera (Dolores Aguirre, celle qui élevait des toros – Atlantica, 2015) è impreziosita da una ricca appendice a firma di Frédéric Bartholin: si racconta della corrida storica del 2014 a Vic-Fezensac, quando i dolores fecero tremare fino le fondamenta dell’arena con un terremoto di casta e uno tsunami di poder. Il combattimento epico e straziante tra Alberto Lamelas e il sesto del giorno, Cantinillo, fu seguito in apnea da un pubblico scosso e commosso.

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Dolores Aguirre era conosciuta e amata per la generosità con cui offriva sostegno a toreri e aspiranti: tanto le tientas erano momenti di sacrale officio in cui Dolores pretendeva solitudine e inaccessibilità, tanto le porte della Dehesa de Frías, la tenuta di Costantina, erano aperte a chi volesse un’opportunità per provarsi di fronte a una vaquilla o per perfezionare la preparazione per una nuova stagione da matador. Così nel settembre 1984, racconta Endeko Lorenzo, quando José Antonio Campuzano – uno dei toreri della casa – fu drammaticamente ferito a Calahorra da un toro di Rocío de la Cámara, madame Aguirre non esitò a proporre al torero di stabilirsi nella pace di Frías per la convalescenza. La terribile cornata faceva presagire un lungo periodo di riposo e cure ma, si sa, i toreri sono fatti d’acciaio: nel silenzio rigenerante del campo quel corpo martoriato ritrovò velocemente spirito e forza, tanto che dopo solo dieci giorni dal disastro di Calahorra il torero decise di riprendere gli strumenti del mestiere e provare la propria condizione. Con l’obiettivo di indossare di nuovo le luci a Logrogno, a fine mese. Il carattere austero e severo di Dolores Aguirre era cosa nota, ma la signora era anche donna e madre: e fu per spontaneo moto materno che a Campuzano fece recapitare un no! deciso e secco.

Chi ha avuto la fortuna di visitare il ranch di Frías avrà forse notato, tra le reliquie e i trofei che adornano i saloni principali come in tutti gli allevamenti, un traje de luces consunto e un poco sbrindellato: gelosamente custodito in una preziosa teca, è il vestito che Campuzano indossava a Calahorra quando il Rocío de la Cámara andò a visitargli con il corno muscoli e arterie e che il torero offrì in dono a Dolores Aguirre. Non per sdebitarsi della possibilità di trascorrere la guarigione nella sua fattoria, ma per i due tori che questa gli regalò per provare gambe e energie. Sì, la determinazione del matador aveva avuto la meglio sugli istinti dell’allevatrice e già la notizia che Campuzano avrebbe ucciso a porte chiuse chez Dolores si diffondeva nell’ambiente, suscitando incredulità e curiosità.

Quel mattino i due tori furono isolati e alloggiati negli stalli della placita. Si percepiva nell’azienda una tensione nervosa insolita, e Dolores non nascondeva certo il malessere che la pervadeva. Gli uomini si preparavano, il cavallo indossava la protezione, il sole piano si raddrizzava. D’improvviso una visita fu annunciata: la ganadera si affrettò a verificare di chi si trattasse e presto si rese conto della sorpresa. Alla porta stava Francisco Rivera Paquirri: il torero salutando comunicò che era nelle campagne a fare esercizio fisico e che si era fermato per portare un saluto a Campuzano. Dolores Aguirre intuì che allo spirito di cameratismo e solidarietà si univa la curiosità di conoscere le reali condizioni di un torero di successo e rivale e disse schiettamente a Paquirri che avrebbe avvisato della sua presenza lo stesso Campuzano. Era suo desiderio evitargli qualsiasi elemento di distrazione e disturbo in una giornata così critica e delicata: il maestro fu toccato da tanta sensibilità ma, ringraziando la sua ospite, le disse che avrebbe avuto grande piacere dalla presenza del collega, al quale dopo gli abbracci di rito affidò deciso una cappa chiedendogli di sistemarsi dietro al burladero e stare pronto in caso di necessità.

I due tori morirono della spada di Campuzano, nel silenzio della campagna andalusa, sotto gli occhi vigili di Paquirri e davanti allo sguardo nervoso di Dolores Aguirre.

José Antonio Campuzano fece il suo rientro a Logroño, trionfo importante con un encierro di Felipe Bartolomé. Era il 26 settembre 1984. Quello stesso giorno Paquirri moriva a Pozoblanco, trafitto dal corno di Avispado.

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