Lunedì 14 maggio. Tori de Las Ramblas, grassi e grossi, corretti nei tre atti, e un sostituto (4° bis) di José Cruz applaudito alle mule. David Mora (ovazione/silenzio), Juan del Alamo (ovazione/silenzio), José Garrido (silenzio/silenzio).
Anche Madrid è andata, e ci si chiede quante arene siano ormai rimaste a conservare fiducia in una pratica taurina seria e rigorosa, nel rispetto della grandezza che le compete. E’ successo che lunedì 14 maggio, nell’arena più importante del mondo, un tempo metro di ogni misura, è stato rispedito nelle stalle un toro manso. Un toro manso. Cada toro tiene su lidia: lo sanno anche i bambini e pure i giapponesi con l’ombrellino e le cento macchinette digitali che siedono con nipponico stoicismo sui gradini dell’arena di calle Alcalà, ma pare che il presidente abbia deciso di entrare nella storia come il primo a cambiare per mansedumbre un toro da corrida. Opaco, castano di 601 kg, marchiato col numero 10 e nato nell’ottobre di 5 anni fa, era un toro codardo, con paure istintive non appropriate ad una bestia da combattimento, che fuggiva da ogni presunto pericolo. Meritava un confronto idoneo alle sue qualità, meritava un cavallo che lo andasse a cercare, nel caso le banderiglie nere e alla bisogna qualche passo di costrizione e una spada nella schiena. Opaco ha avuto invece l’illusione della salvezza prima e una pallottola nel cranio dopo, perché giudicato inadatto alla corrida. Chissà se Jesús Maria Gómez Martín, il presidente del giorno, era consapevole di stare scrivendo le prime lettere di una nuova e oscura pagina della tauromachia nel momento in cui ha esibito quello scandaloso fazzoletto verde.
Il resto della corsa era fatto di ordinarietà trascesa in diversi momenti in mediocrità, portata più da tre toreri apparsi pallidi e leggeri più che da un bestiame nel complesso dignitoso.
Martedì 15 maggio. Tori de El Puerto de San Lorenzo, di buone qualità in generale, con una mansedumbre trasversale ma in un paio di esemplari propizi al trionfo, il secondo del giorno un toro superiore. El Fandi (silenzio/silenzio), Paco Ureña (avviso e ovazione/orecchia), López Simón (avviso e silenzio, avviso e silenzio).
Paco Ureña si è fatto scappare il toro della sua prima porta grande e della sua consacrazione definitiva a Madrid, e la cronaca del giorno potrebbe finire qua. Una nuova volta truppe caraibiche resistevano ad un tentativo di conquista nemica: in questa inedita baia dei Porci in salsa taurina, Cuba II – negro meano di 585 chili – aveva un arsenale fatto di casta vera, potenza animale, mobilità felina, e il torero murciano che pure come suo costume non mancava certo di serietà e dedizione veniva pian piano vinto da quell’avversario che dettava i tempi, imponeva i ritmi, sceglieva gli spazi. Faena vibrante, olé gutturali e profondi, ammirazione per quell’uomo così vero, ma di fatto (grande) occasione sprecata. Raffica di pinchazos, spada traditrice, ovazione per i due. A parziale compensazione arrivava però un trofeo al quinto, toro che certamente non aveva le qualità di Cuba II e al quale però Ureña somministrava un lavoro più ordinario approfittando dell’ordinata nobiltà di quello: l’orecchia cadeva per un’entrata a uccidere apocalittica, il corpo gettato alla mercé delle corna, commozione sui gradini, pañolada.
El Fandi per sua fortuna trovava l’alibi di un lotto di poco valore e passava a Madrid senza farsi fischiare troppo. López Simón è in un momento di pallore preoccupante e si faceva sfuggire dalle mani un possibile successo, con due tori che offrivano qualità e buone intenzioni ma che il giovane madrilegno trattava con asettica svogliatezza.
Mercoledì 16 maggio. Tori di Núñez del Cuvillo, con tutti gli accidenti del toro commerciale. Antonio Ferrera (orecchia/applausi), José María Manzanares (silenzio/orecchia), Alejandro Talavante (orecchia/ovazione).
“Le figuras nemmeno si spettinano”, sulla corrida del 16 maggio ha già detto tutto Lorca sul Pais: tutto troppo facile anche oggi. Ferrera ha col tempo cartavetrato gli eccessi circensi e la spettacolarità fanfarona a cui troppo spesso si abbandonava, è oggi jefe de lidia autorevole e torero maturo. Orecchia incontestabile alla fine di una faena intelligente con passaggi a sinistra eleganti e di dominio. Il quinto, sostanzialmente non piccato, permetteva a Manzanares una faena facile e standard ma capace di convincere un pubblico sempre meno esigente. Talavante ha qualcosa in più: si respira sentimento vero nei suoi naturali, si ammira la figura quasi ascetica, si apprezza la fantasia al servizio dell’arte: la porta grande gli sfuggiva per il fiasco con la spada al sesto, ma sarebbe stato un trionfo davvero piccolo ché di fronte a questi tori (fiacchi, molli, poveri) il successo può solo essere relativo.
Giovedì 17 maggio. Cinque tori di Juan Pedro Domecq e uno di Parladé (il sesto), scarsi in tutto tranne il terzo – interessato al cavallo, mobile nel secondo atto e vorace nella muleta. Finito de Córdoba (avviso e silenzio/silenzio), Román (silenzio/silenzio), Luis David (orecchia/ovazione).
Che se poi di fronte a tori commerciali e artisti (orrore) non ci si mettono nemmeno le figuras, si potrebbe risparmiare il prezzo del biglietto e dedicare il pomeriggio ad una siesta tonificante, ché le notti di Madrid continuano a restare grosse e già che 34 giorni di toro sono lunghi, lunghi, lunghi. O forse si sarebbe potuto entrare solo per il terzo: Ombù, jabonero, un toro di bella presentazione e seria allure, con prontezza e allegria nelle due cariche al cavallo e con testa bassa e muscoli esplosivi nell’ultimo terzo. Luis David decideva di mettercisi e si meritava un’orecchia per un’esibizione fatta di impegno e decisione, con serie lunghe che sapevano approfittare dell’energia instancabile di Ombù e con la giusta mentalità per confezionare un lavoro efficace ed anche bello. Ovazione convinta per il toro, orecchia festeggiata per il giovane messicano.
Venerdi’ 18 maggio. Tori di Jandilla disomogenei nella fattura e nel comportamento, con gqualche stilla di remota casta nel quarto e nel quinto. Juan José Padilla (silenzio/silenzio), Sebastián Castella (silenzio/orecchia), Roca Rey (applausi/ovazione).
Botteghini chiusi per un pomeriggio con molti punti di interesse: il saluto all’eroe popolare della tauromachia contemporanea, il pirata di Jerez alla sua ultima stagione, la riproposizione di Castella con tori di Jandilla dopo la faena rotonda a Hebreo dello stesso ferro un anno fa, la calata del giovane e vulcanico peruviano Roca Rey. No hay billetes. La clamorosa ovazione a inizio serata, culminata con un Padilla commosso che lasciava le assi e riceveva l’abbraccio di un’arena intera, non portava troppa fortuna al ciclone: primo toro inservibile e secondo che lo spingeva alla deriva. Un’appendice per Castella al quinto, Husmeador, che si catapultava nel passo del pendolo con cui il francese ha per l’ennesima volta iniziato una faena, e successivamente pressava da vicino il torero che conquistava il pubblico per coraggio e aguante. Roca Rey trovava quasi nulla nei suoi due e passava per di qua senza lasciare ricordi di sé.
Sabato 19 maggio. Tori di Alcurrucén (il sesto dei fratelli Lozano), belli e armonici, codardi per la maggior parte. Curro Díaz (ovazione/silenzio), Joselito Adame (ovazione/orecchia), Juan del Álamo (silenzio/silenzio).
22.179 spettatori hanno assistito ad una corrida mansa di Alcurrucén, molti di loro hanno fischiato l’orecchia concessa al messicano, tutti hanno trepidato per Curro Diaz quando Letrilla l’ha scaravoltato vigliaccamente per aria, i più si sono chiesti se ci fosse anche un terzo torero.