Martedì 8 maggio. Novillos di Guadaira di poca casta e poca forza, il secondo il migliore del lotto. David Garzòn (silenzio/silenzio), Carlos Ochoa (avviso e applausi/silenzio), Angel Tellez (silenzio/silenzio).
Bestiame di scarso interesse, solo il secondo ha permesso a Ochoa di illustrare al pubblico qualche brandello di tecnica e valore: cresciuto alla scuola di Madrid e fattosi le ossa qui e là in Francia, Ochoa è tra i tre ragazzi del giorno quello più avanti nella maturazione e l’ha dimostrato nella sicurezza dei quites e in qualche naturale di buona fattura. Condizione diametralmente opposta quella di David Garzòn, per l’aneddotica il primo torero ecuadoregno a partecipare alla feria pù importante del mondo ma arrivato a Madrid senza la preparazione necessaria e presto naufragato. Di Angel Tellez si segnala in particolare la sfortuna al sorteo a la stoccata di buona fattura al terzo.
Mercoledì 9 maggio. Tori de La Quinta di ammirevole presentazione, con poca casta e mansos in generale. Juan Bautista (silenzio/applausi), El Cid (silenzio/silenzio), Morenito de Aranda (silenzio/silenzio).
Prima corrida di San Isidro e primo concerto di silenzi, lo spartito scritto da una lotto di buendìa fuori tipo (il primo sfiorava i 600 kg, assurdo), demotivati e senza un briciolo di quelle qualità che fanno di un animale con le corna un toro da corrida. Una pessima uscita per il ferro di origine santacoloma, lontani i successi in novigliada e il passaggio alla categoria maggiore ha sempre suscitato perplessità tra i più attenti. I tre uomini hanno potuto poco e, depressi da tanto grigiore, hanno esibito performance avvincenti come le prodezze di un ragioniere alle prese con gli eccitanti misteri della partita doppia.
Giovedì 10 maggio. Tori di Fuente Ymbro di bella fattura e astifinos per la maggior parte, diseguali al cavallo, mobile e profondo il primo, di temperamento vivo e vorace nella muleta il secondo. Joselito Adame (silenzio/silenzio), Román (avviso e ovazione/silenzio), José Garrido (silenzio/silenzio).
Hazem Al-Masri è siriano, è banderigliero e correttamente ha optato per l’apodo El Sirio: si sarà forse chiesto, in quelle venti falcate disperate con cui ha cercato di raggiungere la salvezza della staccionata prima che a raggiungere le sue carni fossero le corna del fuenteymbro, perché mai un giorno gli venne in mente di mettersi a combattere tori a migliaia di km da casa? Grosso spavento in pista e sugli spalti, i pugnali di Hechizo a un passo dal corpo del subalterno, salvo per miracolo. Hechizo, il secondo del pomeriggio, era un buon toro: deciso e leggero nei saluti con la cappa, mal piccato, la casta di quella bestia nera emergeva appunto già tutta nel secondo atto e si sfogava definitivamente attirata dai richiami della muleta di Román: faena vibrante, l’animale non disdegnava i grandi spazi e il torero gli dava aria facendolo galoppare per quindici metri all’attacco del panno rosso, le serie vibravano di emozione e intensità, più per le qualità di quel toro instancabile che per quelle dell’uomo, ma Román non mancava certo di decisione e serietà e casomai erano le capacità a non essere all’altezza di tanto avversario. Spada difettosa, i fazzoletti già pronti a sventolare rimanevano nelle tasche degli aficionados, grossa ovazione a entrambi. Di buone doti anche il primo, Holgazán, che con motore e determinazione aveva facilmente la meglio su un Joselito Adame spesso mal collocato e di poca sostanza, travolto dal suo avversario. Due tori superiori in una corrida senza dubbio interessante (due cadute da ascrivere al quarto, che non è certo cosa scontata di questi tempi) , abbassatasi di tono solo nella sua parte finale, e nella quale restava ai margini del tutto un Garrido pallido e svogliato.
Venerdi’ 11 maggio. Tori di Pedraza de Yeltes giganteschi, nobilotti ma deboli e insipidi e senza alcuna classe. Manuel Escribano (silenzio/silenzio), Daniel Luque (avviso e silenzio/silenzio), Fortes (silenzio/due vueltas).
Due giri d’onore nel clamore assordante di un’arena che per metà osannava Fortes e per metà ululava all’indirizzo della presidenza, rea di quello che con ogni probabilità rimarrà Il Grande Furto di questa feria di San Isidro: terminava così la serata del giovane malaguegno, a passeggiare trionfante la circoferenza della pista, un occhio agli spalti e l’altro al suolo, attento a schivare i mille cuscini piovuti sulla sabbia. Era successo che al sesto del giorno, il più potabile del lotto, il torero andaluso aveva deciso di inchiodare i piedi per terra e aguantar, semplicemente aguantar: faena di grande intensità, corta ed essenziale, il torero malamente scaravoltato si rialzava come se niente fosse e picchiava colpi di muleta ancora più decisi e fermi, il vestito ormai completamente rosso del sangue dell’avversario che gli era stato addosso, serie brevi e secche, i piedi sempre a terra, uniti, fermi. Colpo di spada da manuale, e logica tempesta di stoffe bianche. Ma il presidente decideva che lo status di prima piazza del mondo è cosa seria e passa anche dal rigore assoluto e cieco, giudicava la richiesta non maggioritaria e la faena non meritoria di un’orecchia, e insomma negava il meritato trionfo al torero. Bronca da sismografo. Il resto della corsa era di poco interesse. Ci dev’essere qualcosa nell’acqua di Madrid che va di traverso ai Pedraza de Yeltes: tanto in Francia la divisa salmantina riscuote regolarmente trionfi rotondi (storiche le corride di Dax nel 2014 e nel 2015), tanto nella capitale quei colorados si sgonfiano e svuotano. Così, di fronte a un lotto smisurato – 622 kg la media del peso, omogeneo nell’afflosciarsi nell’ultimo tercio, i tre uomini potevano solo metterci un pò di buona volontà. Escribano superficiale al primo e spettacolare con le banderillas al quarto e poi più nulla, Luque corretto e ordinato ma con nulla davanti.
Domenica 13 maggio. Tori di Baltasar Ibán di buona fattura, corrida interessante per la condizione delle bestie: superiore e completo il terzo, con casta vera secondo e quarto. Alberto Aguilar (silenzio/silenzio), Sergio Flores (ovazione, silenzio), Franciso José Espada (orecchia, silenzio).
La prima orecchia della kermesse finisce nelle giovani mani di Espada, ragazzotto della provincia con al contatore una sola comparsata qui a Las Ventas: la conferma dell’alternativa, l’anno scorso, non fu troppo fortunata con il toro della cerimonia che lo prendeva al momento dell’uccisione e spediva l’uomo dritto all’infermeria impedendogli di rientrare. La sua faena a Mexicano, quattro anni e mezzo, 570 kg, ovazione alla spoglia, non aveva certo il tono di intensità e la profondità e nulla del resto di quella firmata da Fortes due giorni prima: Espada attaccava bene imbarcando con decisione la bestia a destra in un paio di sequenze di valore, ma presto il toro capiva il giochino e si ricordava di avere il dna contreras nel sangue e muscoli forti e esplosivi, il torero provava a passare a sinistra ma Mexicano gli mangiava terreno e annichiliva le velleità. Mezza spada fulminante e il presidente decideva di non correre rischi e faceva cadere il fazzoletto bianco. Baltasar Ibán viene da un paio d’anni di buone prove (Arles, Madrid) e ha confermato in questa giornata che i suoi tori portano in dote oggi fierezza e peso specifico, peligro e durezza, e poi casta, quella casta che può essere ostacolo insormontabile o occasione di trionfo. Oggi era ostacolo, troppa la richiesta di dominio e fermezza che i sei Ibán facevano a una terna non ancora (o ormai non più) attrezzata. Alberto Aguilar, obbligato a salutare alla rottura del corteo d’apertura, ha dovuto sudare parecchio in questa sua ultima esibizione a Las Ventas. Se ne va un torero piccolo ma coraggioso, che ha oggi avuto grossi problemi con entrambi i suoi avversari e che ha potuto solo provare a reggere l’urto di quelle cariche. Sergio Flores infine si è dimostrato valoroso e fermo con Gallito, il secondo della giornata, lasciando una buona impressione di serietà e giusta attitudine.
Triste coincidenza, proprio il 13 maggio Las Ventas celebrava il suo idillio con il compianto Iván Fandiño dedicandogli una placca nel pantheon dei più grandi, nel corridio del tendido 1: in un’atmosferia di nostalgia e commozione, tra le tante lacrime dei presenti, il padre del torero basco si incaricava di scoprire la targa di maioliche dedicata a Ivan, “che offrì la vita per la gloria del toreo”. Proprio il 13 maggio, a quattro anni esatti dalla sua porta grande di Madrid, proprio la stessa domenica in cui, poche ore dopo, sulla pista dell’arena sarebbero sfilati i cugini di Provechito, il Baltasar Ibán che lo ammazzò un anno fa.