Il nostro toro richiede una tecnica differente da quella che può servire per altri encastes e inoltre occorre avere quel certo valore per saper reggere le sue cariche. E’ un toro che non ti permette il minimo errore. Antonio Ferrera, El Fundi, Fernando Robleño e Manuel Escribano sono tra i toreri che più hanno combattuto o meglio capito il nostro encaste
Adolfo Martín Gómez
Corrida ineguale di Adolfo: i primi tre più complicati e poco inclini all’accondiscendenza, nella seconda parte correvano invece tre bestie più interessanti e maggiormente articolate e ancora brillanti nell’ultimo terzo. Lotto deludente al cavallo, contro il quale certamente si protendeva ma altrettanto certamente non combatteva, di presentazione difforme andando dall’esile portamento del primo alla testa spaventosa del quarto, con un fondo di casta sorda che quando emergeva ha prevalso sul gioco e sugli uomini.
Manuel Escribano sarebbe l’orgoglio del Capitano, e si intende qua l’amabile uomo immagine dell’omonima pasta dentifricia e non certo quell’altro capitano specializzato a stalkerizzare gli italiani a colpi di selfie con pane e nutella e a bullizzare quei poveri disperati che cercano da noi il sogno di una vita normale. Il sorriso di Escribano è generoso e genuino, esattamente come il suo toreo: non si cerchino nel polso del sivigliano né le fioriture dell’artista né la fermezza del dominatore, Escribano è imperfetto e incompleto ma sostanzialmente disinteressato, di fatto sincero. Puerta gayola, quiebro por dentro e poca cosa poi con il panno rosso, ché Aviador aveva nient’altro in testa che difendersi e non avere rogne. Altra musica con il quarto del pomeriggio, Español, il toro del giorno: smisurato di corna, l’animale era allegro alle banderiglie e permetteva a Escribano di dare il suo abituale show, di entusiasmo ce n’era ancora nell’ultimo atto e il torero decideva di approfittarne iniziando la sua opera con due passi cambiati al centro dell’arena, in un momento di autentica emozione. Español aveva nelle gambe carica e morale per due serie, che così risultavano franche e profonde, ma già dalla terza si disarticolava e senza remore cominciava a mandare messaggi non troppo cifrati all’uomo. Stanco di non avere riscontro da questi, Escribano continuando con molto cuore e molta dedizione a voler imporsi al suo avversario riuscendo anche a tirare alcuni passaggi di vera suggestione, il toro decideva che il meglio da farsi era piantare 25 centimetri di corno nella gamba di quell’uomo, muscolo passato da parte a parte, corsa in infermeria.
Román Collado Gouinguenet, in arte Román, ha un sorriso da famiglia Bradford e un’acconciatura vaporosa ma ordinata che lo penseresti appena uscito a fine mattinata da uno dei migliori licei borghesi della capitale. Il punto è che né quei capelli da figlio di papà né quel sorriso stars & stripes cedono alle spigolosità della contingenza e rimangono inalterati e giusti anche in un giorno di corrida, e pure di corrida di Adolfo. Del suo primo, fischiato alle mule, si ricorderà solo di quella punta che metteva nella chiappa sinistra del torero. Dopo essersene liberato con un descabello preciso Román entrava sulle sue gambe in infermeria, uscendone claudicante una mezz’oretta dopo per andare a stoccare il toro di Escribano. Mentiroso, il quinto del giorno, non aveva alcun interesse per la lancia del picador e pure non era privo di qualità. Faena maschia del torero, senza dubbio superiore all’animale, faena decisa e robusta, fatta di serie corte e di passi profondi e di dominio, faena rabbiosa che conquistava Mentiroso e il pubblico. Spada notevole per ingaggio e riuscita, orecchia meritata e vuelta felice.
Andrés Roca Rey invece proprio non sorride. Mai. Ventitre anni, limeño, nemmeno quattro stagioni di alternativa e trionfi roboanti ovunque sia passato: il suo toreo bulimico, valoroso, incosciente e differente ha rivoluzionato le gerarchie e conquistato i favori di pubblico e arene, Roca Rey è l’uragano che in questi ultimi anni è venuto a movimentare un mondo stagnante e stanco. Abituato da subito a sedersi alle tavole migliori, il ragazzo decideva lo scorso inverno di fare un passo in avanti e di iscrivere il proprio nome tra quelli per il sorteggione di Casas. Dea bendata apparentemente in grande forma, Adolfo e Roca Rey uscivano insieme dai bussolotti: da quel giorno è stato chiaro a tutti che era questo l’appuntamento dell’anno a Madrid. E’ bene dunque dirlo subito: se era questo l’esame di maturità per il giovane torero, se passava da questi tori in questa arena la consacrazione definitiva in figura, la giornata è stata nefasta. Ad essere benevoli, rimandato a settembre. Non un passo con la cappa in tutto il pomeriggio, faena a tratti disorientata e a tratti altezzosa a Sombrerillo, il terzo del pomeriggio. Dieci minuti di noia, passi dati con sufficienza, non un’idea per andare a fondo di quella sfida, julipié per finire. Madroñito, che chiudeva la giornata, era il toro annunciato per il trionfo annunciato: carica onesta, testa bassa, riflessi pronti, albasserrada light, i più complottisti (sorteggio pilotato? copione già scritto?) avevano pane per i loro denti. Ma Roca Rey scialaquava tutto: a Madroñito non era riservato altro che un lavoro volgare, fuori dalle traiettorie del valore, senza alcuna profondità, irrispettoso della genetica e della condizione dell’animale, nessuna ambizione di verità, nessuna aspirazione di toreria. Serie meccaniche con la destra, superficiali, invero rotonde e lunghe ma prive di vera emozione, come se quello fosse uno dei tanti tori commerciali che il peruviano vince facilmente in arene di prima o seconda o terza categoria indifferentemente. Passi incatenati e null’altro, né lidia né arte né valore. Ma replicare lo stesso schema a tori diversi non è detto che funzioni: per esempio, a un albaserrada non conviene lasciare troppo tempo, c’è il rischio che mentre il torero si atteggia tra una serie e l’altra, attira l’attenzione del pubblico, finge drammaticità, il toro invece faccia due cose, o capisca il giochino e prepari uno scherzo oppure si annoi e del giochino gli passi ogni voglia. E così era per Madroñito, che finalmente sul corno sinistro perdeva di interesse e la faena si abbassava tristemente di tono. Spada sull’osso una prima volta, stoccata imperfetta la seconda, petizione di orecchia che sembrava maggioritaria ma il presidente non concedeva alcun trofeo. Roca Rey ha perso l’occasione per una consacrazione importante, esame fallito.
Madrid, 30 maggio 2019. Corrida di Adolfo Martín di differente fattura e comportamento, il quarto un toro encastado e con qualità, ovazione all’uscita. Manuel Escribano non ha potuto stoccare il suo secondo per una cornata di 25 centimetri nella coscia sinistra che l’ha costretto a partire per l’infermeria, Román ha sofferto una cornata di 5 centimetri nel gluteo sinstro. Manuel Escribano (silenzio), Román (ovazione, ovazione nel toro ucciso per Escribano, orecchia), Roca Rey (silenzio, ovazione)