Il nuovo numero di Confronti, mensile di religioni politica società, è dedicato agli animali, al rapporto fra uomini e animali. Intitolato Gli animali che dunque siamo – il religioso, l’immaginario e il politico, approfondisce questioni oggi decisive, arrivando al cuore di uno dei più attuali paradossi che avvolgono in una spirale di controsenso l’Occidente opulento. Il rapporto fra uomo e toro selvaggio si presta bene a fungere da esempio, assieme al vecchio e al suo marlin cantati da Ernest Hemingway.
Pochi giorni fa, un’amica mi ha chiesto di accompagnarla in una pasticceria per cani. Lì per lì sono rimasto spaesato, quasi afono, e ho finito per seguirla. Ma, mentre i clienti giravano per il locale con i rispettivi cagnolini in braccio per evitare che si sporcassero le zampette offrendo loro scintillanti gelati, le ho detto con chiarezza che mi pareva il sintomo di un mondo malato. “E quale sarebbe un rapporto sano con gli animali?” ha domandato lei “forse quello che piace tanto a te? il torero che uccide il toro?”. Esatto. Nel momento in cui il torero si confronta con il toro per l’ultima volta, prima di dargli la morte, ossia in quello che è chiamato “momento della verità”, risiede oggi ancora uno spiraglio per guardare a una relazione alta dell’essere umano con gli animali e con se stesso.
Non si trattava di una provocazione ma ovviamente non era affatto semplice spiegarlo. Tentavo di liberare il campo dagli equivoci ricorrendo alle prime spiegazioni necessarie che per gli amanti di corrida sono ormai una specie di minestra pronta da riscaldare ogni volta pur di far piazza pulita dell’ignoranza che regna sull’argomento. Il toro da corrida è animale del tutto diverso dal toro domestico. Nelle sue vene scorre ancora il sangue del bos taurus primigenius. Non si è estinto solo grazie agli allevamenti immensi dove viene cresciuto per quattro o cinque anni prima di affrontare l’uomo nell’arena. Ciascun esemplare ha a disposizione almeno due ettari di spazio. Cresce lontano dagli esseri umani e poiché è aggressivo con chiunque ne metta in discussione il dominio, i suoi terreni sono veri e propri parchi naturali sottratti alla devastazione immobiliare. La corrida non è uno sport. Non è una lotta a armi pari perché non è una lotta. Si tratta di un rito laico, una cerimonia in cui l’officiante dà la morte rischiando a propria volta la vita. Chi partecipa al rito non cerca il sangue né la sofferenza. Non si può parlare di tortura. Tutti gli studi veterinari sono concordi nel ritenere la morte del toro selvaggio di gran lunga meno drammatica di quella che gli altri animali d’allevamento devono affrontare nei macelli. Muoiono circa 3000 tori da corrida all’anno mentre nel mondo si uccidono quasi 900.000 bovini al giorno. Eccetera eccetera eccetera. Argomenti che non colgono mai l’altezza del rapporto fra animale e uomo che la corrida mette in scena come una tragedia in tre atti. Argomenti difensivi. Mi annoiavo. Volevo spiegare davvero le altezze che si raggiungono nell’estasi di animalità che si può dischiudere con la corrida. Allora ho spinto la mia amica e il suo cagnolino a entrare in una libreria per tornare su un breve romanzo che tutti hanno letto e pochissimi hanno compreso. Un racconto apparentemente lontano dalla dimensione tauromachica: Il vecchio e il mare.
Generalmente si pensa che il titolo del libro con cui Hemingway si conquistò il Nobel alluda ai due poli in cui la storia è strutturata. E che essi siano i seguenti. Da una parte il vecchio, ossia l’essere umano. Dall’altra il mare, ossia la natura e gli animali che in essa vivono e in primo luogo il famoso pesce, l’enorme marlin che il vecchio riesce a uccidere dopo tre giorni di dura battaglia. Non stanno così le cose. Il breve romanzo risplende nella forma perfetta di semplicità, quella che scaturisce dalle più profonde complessità. Il vecchio durante la sua lotta parla costantemente al pesce trattandolo da amico e fratello, come parla all’uccello che viene a posarsi sulla barca e alla propria mano ferita nel momento in cui il pesce dà lo strappo con cui apre la battaglia finale. Come disse per primo William Faulkner, in questa storia Hemingway ha cantato la pietà, la pietà che unisce tutti gli animali destinati a breve vita e immersi in quel kosmos che è la natura, ovvero il mare. Il mare rappresenta dunque non gli animali tutti che in esso e su esso vivono ma il cosmo immortale sia che esso venga considerato nemico e assassino, sia che venga considerato amante (come da celebre definizione hemingwayana: el mar o la mar, maschile o femminile per i cubani a seconda del ruolo attribuito alla natura in cui viviamo le nostre brevi vite). Il libro quindi mette di fronte tutti gli animali e la natura in cui essi vivono. E infatti racconta l’amore fra il vecchio e il suo pesce, un amore che deve necessariamente concludersi con la morte (perché la morte sempre è destinata a interrompere i nostri amori terreni), e dunque la pietà che unisce il vecchio al pesce che egli deve uccidere. “Pesce, resterò con te fino alla morte”. Quel che il vecchio mormora all’animale, ripetendolo in molte varianti, è il vero manifesto di questo libro perfetto in cui tutti gli animali sono uniti da un destino di finitezza e solo all’essere umano è data la possibilità di dire e pensare, attraverso il logos, quella stessa finitezza all’interno del kosmos immortale in cui siamo gettati. Del resto, proprio parlando, proprio utilizzando il proprio logos, l’uomo ha la possibilità di arrivare al punto in cui quella sua prerogativa che lo distingue da tutti gli altri animali può essere spazzata via, riuscendo a affacciarsi oltre la propria individualità in quel regno animale in cui il logos non ha più senso. Hemingway sembra qui realizzare perfettamente l’ideale tragico di Nietzsche secondo il quale il coro della tragedia (la musica dionisiaca) spinge l’essere umano a perdere il proprio principium individuationis per abbandonarsi alla superiore animalità di cui fa parte. L’uomo può quindi usare il logos e portarlo agli estremi per liberarsene e affondare nelle correnti di quell’animalità in cui il logos stesso non ha più senso. Il vecchio di Hemingway, parlando al pesce e a se stesso, spinge il lettore fino al limite dell’umanità, oltre il quale c’è soltanto la nostra animalità e dunque il silenzio.
Stilisticamente, Il vecchio e il mare realizza l’ideale di scrittura a cui Hemingway si era votato fin dagli inizi, ossia quella teoria dell’omissione passata alla storia con il nome di “teoria dell’iceberg” perché la scrittura, come un iceberg, deve mostrare solo un ottavo della storia, lasciando i restanti sette ottavi sotto alla superficie del mare, nel silenzio in cui il lettore si cala. Proprio con la sua ultima prova conclusa in vita, Hemingway riuscì a dare a quella teoria stilistica una realizzazione completa perché la riempì dei contenuti su cui prima aveva sempre esitato. E riuscì perché mise la pietà al centro del libro, la pietà che unisce tutti i mortali di fronte alla natura eterna, ossia la pietà che ci spinge a sentirci parte di un’animalità superiore, in cui non valgono più le regole dell’individuazione ma prevale la fratellanza in cui siamo gettati. È questo quel che capita al torero e al toro quando si incontrano in un circolo artistico nell’ultimo terzo della corrida. Il torero parla al toro, entra in simbiosi con l’animale e cede a esso la propria umanità, mentre il toro cede all’uomo la propria animalità. Nel balletto finale, che nella sua realizzazione perfetta, assomiglia a un abbraccio, uomo e toro si uniscono nel riconoscimento reciproco della finitezza di tutti gli animali che noi siamo. Si uniscono nella morte che l’uomo deve dare al toro e che rischia a sua volta di ricevere dall’animale. E unendosi i due attori della tragedia formano la figura mitica del Minotauro, di quell’umano gettato nella propria animalità, costretto quindi a riconoscere le altezze di quell’animalità priva di logos a cui è stato consegnato.
Niente di più lontano da chi spende paroline affettuose per il proprio cane, porgendogli un cono gelato multicolore, previo posizionamento di un bavaglino al collo. L’antropomorfizzazione degli animali domestici, la disneyzzazione degli animali in generale, l’attribuzione di parola a chi parola non ha, è uno dei sintomi più violenti di un’epoca in cui si è perso il rispetto innanzitutto per la nostra stessa animalità e per la sua altezza proprio quando si rivela nell’assenza di logos. Un’epoca in cui, per dirla in una frase, prevale la compassione sulla pietà. Ma di tutte queste cose mi è stato difficile parlare alla mia amica. In libreria, ho scoperto subito che Il vecchio e il mare è stato ripubblicato in un’edizione per bambini e adolescenti. Molto raffinata per certi versi. Corredata da un’introduzione che decanta la pura semplicità del libro, nonché la velocità con cui Hemingway lo scrisse. Ignorando che la storia rielaborata nel libro era nota all’autore già quindici anni prima. E soprattutto che per scrivere quella perla sulla pietà animale, Hemingway aveva impiegato in realtà tutta la sua vita di uomo prima che di scrittore.
Lei, caro Nucci, delira. Le Sue argomentazioni sono assurde, pescate pari pari dalle teorie di Francis Wolff, quel pazzo immorale che insegna filosofia alla Scuola Normale di Parigi e che è un individuo pericoloso.
Forse sia Wolff che io amiamo un mondo che conosciamo diversamente da lei. Forse il pericolo si annida fra chi parla di ciò che non sa. Come lei.
P.S. – Le riconosco però un pregio: ha molto stile nelle cazzate che dice
Pur non avendo mai visto una corrida in vita e non ci andrò mai….sono assolutamente d’accordo con quelli che considerano la corrida uno spettacolo barbaro, mostruoso e di inaudita crudeltà!
Come giustamente Luigi afferma:
a) IL TORO NON PUO’ SCEGLIERE SE COMBATTERE O MENO
Infatti viene messo nell’arena, dalla quale non può fuggire, deve necessariamente combattere e morire per il divertimento incivile e barbaro del pubblico!
b) NON E’ VERO CHE E’ UN COMBATTIMENTO ALLA PARI
Il toro viene bersagliato e trafitto dai picadores e dai banderrillas con delle terribili lance che lo dissanguano. Il toro quando si trova di fronte al torero è praticamente dissanguato del tutto e completamente spossato, ha già perso tanto sangue e non ha più forze. Probabilmente se ha ancora la forza viene umiliato ed ulteriormente spossato dal torero con il suo drappo rosso, che cela la terribile spada con la quale verrà trafitto entro 12 minuti sopra le scapole. La spada da lì penetrerà nel suo corpo fino a trafiggergli il cuore uccidendolo!
Questo se il torero è esperto e riesce a trafiggere il toro nel punto giusto, altrimenti il toro sarà solo ferito e quindi dovrà soffrire di più ed affrontare la sua carneficina, fino a che il torero non affonderà la sua spada nel punto giusto, annientandolo!
Inoltre il toro anche quando vince VIENE SEMPRE UCCISO! Si contano sulla punta delle dita i casi di tori graziati dalla folla e dal torero.
D’latra parte si vedano le terribili ferite che producono le lance dei picadores, che gli squarciano la groppa!
QUANTO ALLE DONNE CHE VANNO A GODERSI LE CORRIDAS posso dire che l’essere femminile per natura dovrebbe essere animata da una sensibilità e da un’umanità di gran lunga maggiore di quella degli uomini….trovo che una donna che vede la corrida sia solo un mostro proprio per il suo essere donna, che dovrebbero essere animate da una sensibilità ed umanità superiori e quindi essere disgustata dal vedere un animale soffrire ed essere torturato per il divertimento sadico di un pubblico barbaro e sanguinario!
Sono certo che tutti coloro che provano gusto nel vedere un animale soffrire, essere torturato e soffrire se c’è una giustizia divina pagheranno per la loro crudeltà e malvagità!
Vergognatevi esseri mostruosi che non siete altro!
Pur non avendo mai giocato a scacchi e non conoscendone le regole (e non lo farò mai) sono d’accordo con chi sostiene che sia un gioco orribile e noioso.
Quando si ignora ogni cosa non si dovrebbe giudicare caro signore, né gridare e insultare.
Quel che dice il suo compare Luigi è totalmente falso. Non perderemo tempo a risponderle.
Saluti però. Quelli sempre
Non si conoscono le cose? ma lei che ne sa?
Si legga questo articolo di Lorenzo Spurio, che almeno mi sembra uno scrittore onesto! Questo il link:
https://blogletteratura.com/2011/05/22/la-corrida-ecco-come-si-svolge-los-tres-tercios-610/
SIETE RIBADISCO SOLO DEI MOSTRI!
Posso confutare tutte le vostre affermazioni:
1) NON E’ VERO CHE IL TORO SCEGLIE DI COMBATTERE.
Si documenti BENE. Prima della corrida i tori vengono tenuti in spazi angusti al BUIO. Si urtano l’uno con l’altro procurandosi da soli con le corna già delle ferite per cui arrivano nell’arena già spossati. Inoltre ai suoi zoccoli vengono applicati abrasivi che gli provocano forti dolori alle zampe e ne precludono molto i movimenti!
La maggior parte dei tori quando si arriva dal buio sull’arena è spaventata dalle urla del pubblico e cerca un’uscita per ritornare nel luogo da dove è arrivato, ma non le trova essendo l’arena circolare. Allora cerca di far ritorno dalla porta da cui è entrato ma ovviamente la trova sbarrata!
La maggior parte dei tori rifiutano di caricare tante che il torero deve “chiamarli”
2) NON E’ ASSOLUTAMENTE VERO CHE E’ UN COMBATTIMENTO ALLA PARI!
In primo luogo per una principale legge della tauromachia, IL TORO DEVE USCIRE DALL’ARENA SEMPRE MORTO!
Sono rarissimi i casi in cui il toro viene graziato!
Ad ogni modo anche quando ciò accade, il toro muore poco dopo per le gravi ferite riportate in combattimento!
Non è un combattimento alla pari poi perché prima di affrontare il torero l’animale ha già “subito gravi ferite dalle terribili lance dei picadores che gli hanno danneggiato i muscoli del collo, in modo da costringerlo a tenere la testa bassa e non riuscire a vedere bene quando carica! A questo si aggiunga anche il fatto che per le ferite provocate dalle lance dei picadores (i cui colpi si chiamano puyados), che gli hanno squarciato il dorso, e poi dalle banderillas, il toro arriva di fronte al torero praticamente quasi dissanguato e spossato. Infatti le sue cariche sono molto più deboli che all’inizio!
I colpi delle lance che gli hanno danneggiato i muscoli del collo, lo obbligano a tenere la testa bassa e in questo modo offre un facile bersaglio alla spada (estoque) del torero, che dovrebbe se è esperto trafiggerlo a morte.
Anche quando il torero è esperto e riesce a conficcare ed affondare perfettamente la spada tra le scapole dell’animale fino a trafiggergli il cuore, accade spesso che l’animale non muore subito ed anzi passano diversi minuti prima che si accasci al suolo ed anche quando ciò avviene c’è bisogno per finirlo delle puntillas, ovvero pugnalate (anche fino a tre) alla base del collo per finirlo!
Per sua informazione e documentazione si guardi questo link di questo video che fa vedere proprio una recente corrida a Granada se il toro muore subito oppure no!
https://www.youtube.com/watch?v=_qpcd6uXz4E
Nel video di vede chiaramente poi che non basta nemmeno una pugnalata per annientare l’aniamle.
CARO “SIGNORE” LEI E’ UN GRANDE IGNORANTE, ANCOR PRIMA DI UN ESSERE MALVAGIO, E PRIMA DI DARE DELL’IGNORANTE ALLE PERSONE SI DOCUMENTI BENE!
SONO ANCHE ODIOSE PUTTANATE LE CONSIDERAZIONI FALSAMENTE ETICHE DEI SOSTENITORI DELLE CORRIDE CHE DICONO CHE PER I TORI E’ PIU’ ONOREVOLE MORIRE NELL’ARENA PIUTTOSTO CHE IN UN MACELLO. SE NEI MACELLI SI USASSERO SEMPRE LE FAMOSE PISTOLE CHE PIANTANO UN CHIODO NEL COLLO DEL TORO LA SUA MORTE SAREBBE ASSOLUTAMENTE VELOCE E CON POCA SOFFERENZA!
INOLTRE SE TUTTI NOI CI ABITUASSIMO A MANGIARE POCHISSIMA CARNE SEMMAI LO FACESSERO EVENTUALMENTE SOLO I BAMBINI ED IN FASE ADOLESCENZIALE, CHE MAGARI NECESSITANO DI PROTEINE ANIMALI, SICURAMENTE FAREMMO MOLTO A MENO DEGLI ORRENDI MACELLI!
DOVETE AVERE LA DECENZA DI AFFERMARE CHE LA CORRIDA E QUESTA STUPIDAGGINE DELLA TAUROMACHIA ESISTE SOLO PER IL DIVERTIMENTO DI UN PUBBLICO SANGUINARIO E MALVAGIO, CHE RIESCE A GODERE PER LE SOFFERENZE DI UN POVERO ANIMALE.
DETTO CIO’ DAL MOMENTO CHE LEI QUESTE COSE LE IGNORA ALMENO ABBIA LA DECENZA DI TACERE INVECE CHE AFFERMARE STUPIDAGGINI!
Mi scuso se ho usato dei termini un pò forti, tuttavia volevo solo esprimere un civile dissenso, non ritengo di avere offeso nessuno qui.
Nonostante cerchi di aprire la mia mente e venire incontro alle vostre posizioni, trovo che la morte di un essere umano come la morte di un animale siano una tragedia e che pertanto vada fatto tutto il necessario per evitarle!
Mi auguro nei prossimi anni di vedere in Spagna, in Francia, Portogallo, solo rodei o manifestazioni dove l’uomo interagisce con il toro/animale, in modo da minimizzare per entrambi i rischi di ferimento e dove il pubblico non debba assistere alla morte di nessuno dei due!
Spero pubblicherete questo civile commento.
Mai letto tante ca,,,,,volate tutte insieme , dette da questo sig.Fabio , che peraltro ha avuto il grande pregio di farmi fare delle sonore risate leggendolo….mi raccomando continui così e non si curi della storia di un popolo o di una tradizione che si perde nel tempo , vada a braccio come ora che le viene bene….spero di leggerLa ancora …… e grazie