Specchio della tauromachia di Michel Leris (Miroir de la tauromachie, 1938) nasce dal coinvolgimento totale che l’autore ebbe con la corrida sin dal momento in cui vi assistette per la prima volta nell’arena di Fréjus, nel sud della Francia, una domenica d’agosto del 1926. Da quel giorno ebbe inizio la sua afición che si sviluppò per tutta la vita impregnando le sue produzioni letterarie del mistero di ciò che egli stesso definiva una “vera tragedia”, trasfigurata nei toni visionari e catartici del Surrealismo di cui fu esponente. Leiris non fece mai a meno dell’artificio poetico per descrivere le forze benigne e maligne insite nella corrida, secondo il suo piano prospettico, né tantomeno dell’acume saggistico di taglio antropologico: entrambe le forme di scrittura convivevano necessariamente. La questione che Leiris sentiva urgente era rendere intelligibile il collegamento tra la potenza evocatrice della sacralità del rituale e le fluttuazioni passionali emergenti dai gesti e dalle posture del toro e del matador. Secondo la sua visione, destro e sinistro sono assolutamente intercambiabili e risiedono in entrambi gli attori della tragedia, conducendo la loro tensione e quella degli spettatori su binari dirottanti che incrociano le dimensioni benefiche e malefiche dell’umano e del semidio, rappresentato inizialmente dal toro, per lasciare che gli equilibri vengano ristabiliti con l’atto finale, la stoccata nel tercio de muerte , in cui i ruoli si invertono e l’uomo si proclama eroe conquistando il destro e la bestia viene ricomposta nella sua dimensione sinistra con l’avvento della morte. Questa dinamica ha un movimento circolare: il toro, perché si generi un’altra tragedia, deve uscire di nuovo dall’abisso in cui è confinato per riassumere le vesti dell’avversario di matrice destra, e così via.
In quest’opera Leiris indaga le connessioni e gli slittamenti tra erotismo e rapporto uomo-bestia; il superamento del concetto della tauromachia come sport e come arte in quanto “macchina” rivelatrice dei doppi e degli sdoppiamenti insiti nelle passioni umane.
Il libro è diviso in cinque parti, eccone alcuni frammenti. Nella prima, Lo spettacolo rivelatore, l’autore sostiene:
Analizzata l’angolazione dei rapporti che essa intrattiene, specialmente con l’attività erotica, l’arte tauromachica rivestirà, si può presumere, l’aspetto di uno di quei fatti rivelatori che, in virtù di una specie di simpatia o di somiglianza, ci illuminano su certe parti oscure di noi stessi il cui potere emotivo dipende dall’essere specchi che racchiudono, già oggettivata e come prefigurata, l’immagine stessa della nostra emozione.
Nella seconda parte, La tauromachia è più di uno sport, afferma:
Ciò che, in confronto ad ogni alto esercizio fisico realizzato secondo regole precise e con rischio di un incidente grave, conferisce un valore singolare all’esibizione del torero, è, senza dubbio, il suo aspetto essenzialmente “tragico”: tutte le azioni compiute sono preparativi tecnici o cerimoniali per la morte pubblica dell’eroe, quel semidio che è il toro.
Nella quarta parte l’autore analizza il rapporto tra l’amore e la tauromachia:
Tutta la corrida e i suoi dintorni esalano un odore erotico al punto che , per l’aficionado, andare alla corrida è un po’ come andare a un appuntamento: stessa impazienza, stessa ansia per il modo in cui la cosa si svolgerà – tutto è imprevedibile: il comportamento dei tori non meno di quello dei matadores, essi pure, e anche i più grandi, sempre soggetti ai loro giorni di panico o di sfortuna -; quando si esce da una cattiva corrida si ha la stessa sensazione di cosa sporca e deludente che si prova in occasione di un’orgia mancata.
Nella quinta e ultima parte, I costruttori di specchi, Leiris scrive:
Se tutto, nell’arte, è interazione di contrasti (bellezza geometrica e deviazione, valori forti e valori deboli, tensioni seguite da distensioni), la tauromachia, come l’erotismo, obbedisce alle leggi di un movimento analogo. Tutta la corrida, come un sacrificio, tende verso il parossismo: la messa a morte, e solo dopo il compimento di questa può prodursi quella distensione che un amore tiene dietro al possesso dell’oggetto desiderato, e in una tragedia alla catastrofe dell’eroe. Quella morte che, durante i diversi passaggi, sembrava logicamente riservata al torero, in virtù della stoccata si sposta sul toro. Così, con l’uccisione di quest’ultimo, l’ordine viene ristabilito e ogni cosa torna al suo posto.
Il libro:
M. Leiris, Specchio della tauromachia, Bollati Boringhieri, Torino 1999 (ultima edizione italiana).
L’autore:
Michel Leiris (1901 – 1990), scrittore, poeta, critico d’arte, dopo aver partecipato al movimento surrealista negli anni Venti, divenne etnologo prendendo parte nel 1931-33 alla missione Dakar-Gibuti diretta da Marcel Griaule. Lavorò al Musèe d’Ethnographie pur continuando la sua attività di scrittore. Fra le sue opere tradotte in italiano: L’Africa fantasma (Rizzoli, 1984), L’età d’uomo (Mondadori, 1991, nuova ed.), Biffures e Carabattole (Einaudi, 1979, 1998).
Il disegno in copertina:
Tauromachia di André Masson