Goya di Luciano Emmer è un cortometraggio uscito nel 1951 che passa in rassegna alcune delle opere del grande pittore che ritraggono momenti della ricorrenza di San Isidro, una selezione di fogli della Tauromachia eseguiti tra il 1814 e il 1816 e l’ingresso dell’esercito di Napoleone a Madrid.
La narrazione vive nelle inquadrature dirette sui particolari dei dipinti, esplora le espressioni di un popolo che sembra appagato sulla distesa del prato in festa vicino alle rive del Manzanarre. I movimenti della camera esaltano le azioni dei giochi tramandati, indugiano sui corpi mobili che chiamano lo spettatore in scena. Segue il racconto della corrida, dal minuto 3:58 al minuto 5:42: il torero Costillares va a matare il suo trecentocinquantesimo toro, così si evince dalla didascalia che introduce il segmento taurino. In realtà le incisioni che vengono mostrate riguardano un repertorio di grandi toreri che si sono avvicendati nell’arena, ma questo poco importa nella narrazione di Emmer, non è l’irripetibilità della personalità del torero il vero centro dell’attenzione, piuttosto è la profondità del chiaroscuro dei disegni che diventa tridimensionale, s’inspessisce di vibrazioni senza mai liberarsi dalla potenza onirica delle gesta del paso doble. L’aspetto che emerge è l’urgenza di far uscire dall’inquadratura il senso del tumulto, la pressione della carne nell’azione, lo sconvolgimento del destino e la fine, qualunque essa sia. Le sequenze acquisiscono un ritmo ipnotico con le pennate e gli arpeggi di Andres Segovia che incidono sullo scenario apocalittico degli eventi successivi, in cui la guerra deforma i corpi di uomini e animali, plasmando mostri che oltraggiano arti e organi. Un viaggio breve verso la morte che ingoia tutto e riverbera nell’immaginario.
Alcune didascalie eloquenti nella pellicola:
La Spagna canta la gioia, canta Aragona e più canta;
se il mondo si affonda, che affondi; la Spagna va sempre avanti.
Siamo in un mondo così strano che vivere non è che sognare.
Goya, regia e soggetto di Luciano Emmer, 1951, Italia. Placca d’Argento per il miglior film Artistico/Scientifico al Festival di Berlino del 1951.