Nell’ultimo libro a cui lavorò – pubblicato postumo con il titolo Un’estate pericolosa – definì la Spagna “il paese che amavo più di ogni altro al mondo, a parte il mio”. Madrid la chiamò “la capitale del mondo” e ne attraversò le strade, conoscendone ogni angolo, tante volte che è impossibile fare un calcolo, fra il 1923 e il 1960, poco prima di dire addio a ogni cosa. Conosceva ristoranti e camerieri, alberghi e concierge, stanze e ascensoristi, bar e creatori di cocktail, politici e sale del potere, ruffiani, toreri, affettatori di prosciutto, impresari bolsi e fosforosi, allevatori, bigliettai, bagarini, giornalisti, critici e poeti. Conobbe ogni luogo di Madrid, Ernest Hemingway, ma elesse i suoi favoriti tra quella decina di cui scrisse e di cui parlò ovunque. In gran parte esistono ancora e il turista aficionado può rintracciarli come in un tour letterario, continuando a destare invidie fra gli esclusi, tanto che c’è chi tenta di capovolgere l’assenza di memoria con cartelli come quello ormai celebre, esposto fuori da un ristorante, dove si legge: “Hemingway qui non mangiò mai”.
Negli anni Venti, con la prima moglie Hadley, Hemingway dormiva in un alberghetto in carrera de San Jeronimo: l’Hostal Aguilar. Quando al mattino scendeva, dopo aver scritto il necessario, passava da Lhardy, due portoni più in là, da sempre uno dei ristoranti più noti di Madrid. Di giorno, come ancora oggi, da Lhardy prevaleva la vita nella sala su strada: era un punto di ritrovo fra gli appassionati di tori e bastava entrare, piluccare qualcosa dai piattini sulle mensole scintillanti, bere un vino di Jerez e, con le informazioni giuste, andarsene verso Plaza Santa Ana. Lì si entrava a pieno titolo nel mundillo taurino, tra toreri falliti e matadores sulla cresta dell’onda. Per la feria di San Isidro, che si svolge ogni anno a maggio, ci si trovava nell’albergo Victoria. Ma era la Cerveceria Alemana (1), con la “birra più buona di Spagna” ad alimentare le chiacchiere, i racconti, i retroscena. Poi si andava tutti verso calle Alcalà, per raggiungere la “Scala della corrida” come la chiamò nel suo Morte nel pomeriggio, ossia la plaza de toros de la carretera de Aragòn che chiuse i battenti negli anni Trenta (oggi, al suo posto c’è il Palazzo dello Sport), per essere sostituita, poco più in là, dalla monumentale plaza de Las Ventas (2). Per cena poi si andava da Botìn (3), il ristorante in cui lavorò Goya come lavapiatti, uno dei più antichi del mondo. C’è ancora il tavolo dove Hemingway scrisse molti racconti, al primo piano, lo stesso in cui ambientò l’ultima scena di Fiesta, con Lady Brett Ashley che prega Jake di non bere troppo in un’atmosfera di malinconico addio.
Negli anni della guerra civile, i tori scomparvero dall’orizzonte hemingwayano. Madrid divenne il bastione da salvare all’avanzata franchista e lo scrittore tentò di dar seguito alla sua certezza che “la capitale non sarebbe caduta mai”. Nei suoi quattro soggiorni fra il ‘37 e il ‘38, il luogo più citato si trovava sulla Gran Via, costantemente bombardata. Era il locale di Perico Chicote, barman con cui Hemingway nonostante la guerra discuteva di cocktail. Si chiama Museo Chicote (4) oggi e si può visitare per incontrare le star che ancora lo frequentano, oltre a ritrovarvi l’ambientazione di molti racconti, uno su tutti: La farfalla e il carro armato, giudicato da Steinbeck fra le vette del Novecento. Per il resto furono gli Hotel. Hotel trasformati in quartier generale della stampa estera, come il Florida, in plaza del Callao, dove oggi sorge un grande magazzino; o dei repubblicani di ogni fazione, come il Ritz e il Palace, i due più celebri alberghi del tempo, l’uno di fronte all’altro a sfidarsi sulla fontana di Nettuno in Paseo del Prado. Ma il fronte di guerra, le colline dove si combatteva e si resisteva, erano a ovest, e Hemingway vi andò quotidianamente a girare un documentario. Oggi Casa de Campo (5) è l’arteria verde di Madrid, il parco dove ancora vanno gli aspiranti toreri di giorno e dove di notte, fino a qualche anno fa, le trincee divenivano meta di appuntamenti promiscui. Quando tornò a Madrid negli anni del declino, tra il ‘56 e il ‘60, Hemingway cercò di ritrovare, con la quarta moglie Mary, i luoghi della sua vita eroica. Ma tornare è sempre difficile. Ciò che non lo deluse e rimase una specie di oasi dove passare l’intera giornata, aldilà di tori, cocktail, soldati, coraggio e morte, era il Museo del Prado (6). Lì lo scrittore ritornava umile come in gioventù. Davanti ai dipinti di Goya si ricordava di poter ancora imparare. Aveva sempre detto di aver appreso, quanto a metodo di scrittura, molto più contemplando quelle opere che sui libri dei più grandi scrittori.
- Cerveceria Alemana. In plaza Santa Ana, da sempre luogo taurino per eccellenza, era una sorta di ‘ufficio’ per Luis Dominguin, celebre torero che sedusse fra le altre Ava Gardner, Lana Turner, Rita Hayworth, Lauren Bacal e Lucia Bosè.
- Plaza de toros “Las Ventas”. Su calle de Alcalà, ospita le corride più importanti del mondo. Un museo taurino e una visita guidata all’arena. Fuori, la statua del Dott. Fleming, per la penicillina che ha salvato la vita di molti toreri.
- Restaurante Botin. Dal 1725 in calle Cuchilleros 17. Secondo il Guinness, il più antico del mondo. Imperdibili il maialinoMuseo e l’agnello alla brace.
- Museo Chicote. Dal 1931 al numero 12 della Gran Via, strada che ha appena festeggiato il suo secolo di vita. Serate, musica, cocktail.
- Casa de Campo. L’arteria verde di Madrid, un tempo tenuta di caccia reale. Ospita uno zoo, un Parco Divertimenti, l’Arena di Madrid per concerti e spettacoli.
- Museo del Prado. Ideato da Carlo III a fine Settecento, è una delle pinacoteche più importanti del mondo.