Il giornalismo italiano, la destra, la corrida

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Quel giornalismo italiano che negli ultimi mesi ha sferrato un attacco davvero devastante alla destra di Giorgia Meloni, portando argomenti incontrovertibili circa la sua inadeguatezza, come la fede calcistica sconfessata, i proclami giovanili, o altre notevoli chicche scoperte da inchieste epocali (talmente potenti da assicurare al nemico un successo inaudito), è tornato alla carica, ieri, mostrando a tutti la vera natura degli amici spagnoli della futura Premier, ossia la destra di Vox. 

Niente di meglio, per raccontare al pubblico televisivo il pericolo di questa destra sovranista, che partire da ciò che è meno accettabile nel nostro tempo di correttezza e di animalismo antiumanista, ossia i tori, la corrida, quel rito che in Spagna ancora è chiamato Fiesta nacional, su cui negli ultimi anni Vox ha cercato di costruire una fortuna elettorale, approfittando dello sdegno che ormai alla corrida riserva qualsiasi altra forza politica, timorosa di perdere consensi.

Abbiamo più volte raccontato questa drammatica deriva sulle pagine di Uomini e Tori. La corrida è patrimonio culturale che non ha in alcun modo carattere politico, benché molti siano stati quelli che, durante la sua storia, hanno cercato di lucrare su di essa, approfittando dei suoi successi o dei suoi insuccessi pubblici, strumentalizzando una dimensione artistica, che come ogni dimensione artistica non porta segni politici, ma semmai porta domande, e genera inquietudine e spinge alla critica e all’autocritica e, in breve, alla trasformazione e alla crescita personali.

Ovviamente tutto questo è ignoto a Salvatore Gulisano, autore dell’imperdibile servizio andato in onda ieri sera su La7. Non che Gulisano debba conoscere nulla della corrida, per carità. Ma se si parla o si scrive di un argomento sarebbe bene testare le proprie informazioni. L’apertura del servizio è geniale. Siamo a Las Ventas prima di una delle ultime corride della stagione e Gulisano indica un bar, “un bar di tori dove si mangia il rabo de toro”. Interessante. Suo malgrado, il giornalista dà un’informazione a molti ignota: il toro da corrida è animale che si mangia, muore perché si mangia. Ma sant’iddio, il rabo de toro, ossia la coda di toro, si mangia ovunque in Spagna, e non è certo soltanto la coda di un toro da corrida, anzi. La sua diffusione è pervasiva, assai più massiccia di quella della coda alla vaccinara che mangiamo prevalentemente a Roma. E vabbe’ quisquilie, ma come incipit folgorante, si poteva fare di meglio. 

Il meglio però viene dopo. Perché inizia lo spietato racconto su Vox, un partito bestiale che si alimenta delle pulsioni più orrende dell’essere umano. Attorno all’arena infatti gli attivisti si danno da fare vendendo ventagli, e dentro la plaza (giustamente ripresa quando il pubblico ancora non l’ha riempita, tanto per farla vedere semivuota, alimentando la menzogna che la partecipazione pubblica alla tauromachia sia ormai in declino) sta per toreare nientemeno che Morante de la Puebla, il torero di maggior richiamo, quello che anni fa ha pubblicamente preso parte per l’amico Santiago Abascal, patron di Vox, astuto nell’impadronirsi della tradizione più bersagliata dalla correttezza politica nel momento in cui il suo partito era in cerca di una dimensione identitaria. 

La corrida ha inizio e Gulisano commenta immagini in cui “il toro viene stordito”, falsità plateale per chiunque conosca le fasi della lotta, e soprattutto Morante de la Puebla fa “finte degne di Cristiano Ronaldo”, frase di per sé incommentabile. Ma perché non tacere su ciò che si ignora e dedicarsi invece a una seria inchiesta sui segreti di Vox, sul suo effettivo pericolo, sulla minaccia di legami con il passato franchista e tutto quel che ha già suggerito chi si è dedicato con un po’ di attenzione al fenomeno? No, Gulisano vuole il consenso popolare, il consenso di tutti quelli che trovano indegna e immorale e barbara e crudele la corrida. E allora giù! Passiamo alle feste di Vox in cui i bambini sono educati alle terribili tradizioni sfidando finti tori, allenandosi insomma a quel “rosso sangue” che Gulisano ha evocato come il segno di quei riti a cui Vox si rifà, mentre le telecamere inquadrano un Ezio Mauro atterrito, nella cupezza dell’atmosfera che sta calando sul Paese e sull’Europa intera.

È davvero interessante come un rito laico che mette al centro la morte (terribile tabù dell’Occidente), venga strumentalizzato da una e dall’altra parte politica. Da quegli spagnoli che se ne impossessano per conquistarsi il consenso degli appassionati ormai orfani di qualsiasi guida o appoggio culturale. Così come dagli stranieri che invece approfittano della pessima fama che ormai aleggia attorno a un mondo ricchissimo: una cultura basata sulla complessità, una dimensione che esalta lo spirito critico, ossia il più alto e nobile dei caratteri che costituiscono la venatura profonda della storia del pensiero occidentale.


Se esistesse una sinistra, nel nostro Paese, se esistesse un giornalismo attento, la complessità e la critica sarebbero esaltate. Rappresenterebbero lo strumento più potente per scardinare proclami, dogmatismi, rivendicazioni. Ma da un pezzo, ovunque, si rincorre la facilità, la velocità, la verità da esibire con disprezzo. E nel nulla della superficialità, dimensioni di arte e di rito vengono annichilite, lasciando praterie immense aperte al trionfo dell’ignoranza.

***

(Ovviamente, privo di tv dal 1994, non avrei mai seguito il servizio, se non fossi stato avvertito da un amico aficionado che, mentre Gulisano, nella plaza de toros, si faceva inquadrare, ha visto me alle sue spalle. Ebbene sì, ero lì fra gli altri assetati di sangue. Ero lì con amici (alcuni dei quali alla loro prima corrida), per seguire Morante de la Puebla, grande torero, enorme artista, a prescindere dalle sue frequentazioni e dalle sue idee politiche, che piacciano o meno. Personaggio interessantissimo, questo torero che cerca il futuro nel passato e che esalta l’effimero in quanto eterno. Geniale andaluso, Morante de la Puebla – tutti gli aficionados lo sanno. Del resto, ne abbiamo spesso parlato in questi anni di crisi. Purtroppo, è stata una brutta corrida la sua, l’altra sera a Las Ventas, a parte il capote con il primo toro, quello di Uceda Leal. Ma, diceva Pepe Bergamín (intellettuale comunista e cattolico, a lungo in esilio durante gli anni di Franco, straordinario poeta e narratore del mondo dei tori): a qualsiasi corrida s’impara qualcosa, anche e forse soprattutto durante una serata noiosa. Grande verità. La potenza di questo mondo, infatti, sta proprio nella sua continua capacità di stimolare la riflessione, la discussione, la comprensione. Roba che Gulisano ovviamente non poteva che ignorare mentre era impegnato a farsi riprendere sugli spalti della plaza pur di mostrare al pubblico il cronista, come si fa oggi, sovvertendo quelle regole giornalistiche che prevedono la centralità dell’autore proprio nel suo scomparire. Ma il problema è un altro, nel tempo dell’esibizione costante di sé. Che quando si è impegnati a guardare così tanto se stessi cercando esclusivamente la conferma delle proprie attese, si diventa incapaci di vedere anche solo un brillio della poesia e della verità che qua e là, inevitabilmente stellanti e fugaci, fanno mostra di sé in questo tempo assassino).

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