«Infiniti e tristi, come quelli di una bestia appena nata. Sognano gigli, angeli e cinture di seta. I suoi occhi sono fondi di bottiglia. Occhi di bambino scemo, bruttissimi e bellissimi. I suoi occhi da struzzo. I suoi occhi umani nell’equilibrio sicuro della malinconia». (da: “La passeggiata di Buster Keaton”, Federico Garcìa Lorca, 1928)
E’ nel 1960 che viene pubblicata negli Stati Uniti “My Wonderful World of Slapstick”, l’autobiografia di Buster Keaton scritta con Charles Samuels. Il libro, poco più di 200 pagine, scorre (o meglio scivola, trattandosi pur sempre di splapstick) veloce attraverso mille aneddoti: dagli esordi teatrali a nemmeno 4 anni insieme ai genitori – “The Three Keatons” – alle prime apparizioni cinematografiche nel 1917 al fianco del gigantesco, in tutti i sensi, Roscoe “Fatty” Arbuckle; poi gli anni del successo planetario, prima con le comedy two-reels (così venivano chiamate quelle che in Italia conosciamo come “comiche”, due rulli appunto la lunghezza della pellicola impiegata che ne determinava la durata: approssimativamente tra i 20 e i 25 minuti), poi con i lungometraggi degli anni ’20. Dodici in tutto, questi, da “Three Ages” del 1923 a “Spite Marriage” del 1929, poco più di una decina d’anni per cambiare per sempre la storia del cinema fino al terribile declino innescato da un contratto scellerato con la MGM e dal definitivo avvento del sonoro: Buster aveva si una bella voce ma questo non gli permise di salvare una carriera e soprattutto una modalità del tutto personale di fare cinema ritenute a torto una sorta di capitolo chiuso per i nuovi orizzonti espressivi, al ribasso, cui l’impiego del suono aspirava. Esemplare di quella terribile stagione fu la frase di Stan Laurel che meglio di ogni altro così sintetizza: “Non vedo perché dovremmo iniziare a parlare per il solo fatto che ora ci possono sentire”.
Da Keaton, che pure visse anni di progressiva emarginazione dagli Studios confrontandosi dolorosamente con alcoolismo, divorzi e oblìo, mai una parola di rivalsa e quasi un senso di stupore al momento di ricevere, vecchio e stanco, quei doverosi tributi che infine arrivarono ad attestare la grandezza della sua opera.
Eppure.
Eppure il susseguirsi delle pagine risulta in qualche modo deludente: Keaton non ci rivela mai la formula magica per la realizzazione del gag comico perfetto, nulla svela su come quelle impeccabili composizioni meccaniche, quelle geometrie in cui, per la prima volta, si era chiamati a osservare con attenzione tutto lo schermo e non chaplinianamente solo il corpo comico al suo interno, quei tempi e controtempi di precisione abbagliante, potessero funzionare come la più ingegnosa delle macchine, la più efficace ed efficiente fabbrica della risata mai concepita.
Buster Keaton ha cambiato il cinema, è stato regista e attore modernissimo, probabilmente il più grande gagman nella storia dello spettacolo novecentesco, sicuramente il più dotato tra le fila di quell’incredibile piccola orda anarcoide di saltimbanchi che vedeva arrivare dal teatro di vaudeville d’Europa e Stati Uniti un numero di interpreti così vasto che sarebbe impossibile qui elencarne la metà, eccoli arruolati per dar vita con ritmo inaudito a una produzione che tra gli anni ‘10 e la seconda metà degli anni ‘20 fu seconda per numero di titoli in catalogo solo alla realizzazione di documentari. Ha girato, in ultima istanza, alcuni dei film che dovrebbero rientrare di diritto in un’ipotetica selezione delle opere più importanti del ‘900: amare il cinema senza conoscere Keaton è poca cosa.
Buster Keaton andava ai tori. La temporada è quella del 1930, Keaton è in viaggio in Europa insieme alla moglie e all’attore madrileno Gilbert Roland, e così ce la racconta:
<<(…) Un altro momento interessante fu quando andai alla corrida con un appassionato come Gilbert Roland. Fino a quel momento avevo visto solo corride di terza categoria in città messicane sul confine come Tijuana e Juarez. Gilbert, invece, aveva studiato il più audace di tutti gli sport sin da quando era bambino, in Messico. Fu felice di spiegarmi tutti i particolari. Mia moglie non venne con noi all’arena, perché considerava crudeli le corride. Andammo solo io e Gilbert Roland. Vedemmo tutte le corride e cominciammo da quelle di San Sebastian. (…) non mi dispiacque quando, in quella folla a San Sebastian, qualcuno mi riconobbe e sparse la voce che “Pamplinas” era in tribuna. Si cominciò a sentire il bisbiglio “Pamplinas, Pamplinas…” diffondersi in quell’anfiteatro. E in un attimo l’arena risuonava del canto “Pamplinas! Pamplinas!”. La cosa più bella nel ricevere un saluto come questo in Spagna, è che i fan non si aspettano niente da te. Forse non è sorprendente, in una nazione in cui la dignità è considerata la cosa più importante in un uomo. (…) Un altro onore che mi fece molto piacere fu la dedica del secondo toro che mi fece il primo torero della corrida: “Al vecchio, impassibile Pamplinas”>>.
“Pamplinas” era il soprannome con il quale in Spagna si identificava il personaggio interpretato da Keaton sullo schermo, spesso veniva utilizzato anche per i titoli che più nulla avevano a che vedere con gli originali: in Italia era conosciuto come “Saltarello”, “Malec” in Francia.
<<(…) Ebbi la stessa accoglienza anche alle altre corride cui andammo. Ma la più memorabile esperienza di questo sport la ebbi a Toledo, la cui plaza de toros era la più pittoresca di tutta la Spagna. Per i toreri fu un giorno tremendo, tutti e tre erano andati male ma il peggio attendeva il matador principale. Il suo primo toro era così scarso che non riuscì a metter su un’esibizione decente. Il secondo non fu possibile convincerlo a caricare il drappo rosso, non valse a nulla irritarlo, attirarlo, stuzzicarlo. Un torero non può far niente, in queste circostanze, per stimolare lo spirito combattivo dell’animale. I tifosi di Toledo, ovviamente, lo sapevano bene. E nonostante questo non ebbero alcuna pietà. Urlarono, fischiarono, protestarono e tirarono addosso al povero matador cuscini e tutto ciò che non fosse inchiodato. Chiesero che il Presidente lo buttasse fuori dall’arena. E questa fu la prima richiesta. Prima della fine del pomeriggio stavano già chiedendo di far rinchiudere l’uomo in un castello dove sarebbe stato castrato dal fabbro ferraio. (…)>>*
L’episodio si concluderà pacificamente: il pubblico di Toledo, non avendo alcun espada da portare in trionfo, ripiegherà su Buster riportandolo a hombros fino all’albergo. Gli appassionati alla corsa quindi ben conoscevano e molto amavano il comico americano e forse è arrivato il momento di riformulare il vecchio adagio secondo cui gli spagnoli, all’insegna della tristezza come denominatore comune, usano passare le loro giornate andando la mattina in chiesa, il pomeriggio ai tori e la notte al bordello: sembra che tra una funzione religiosa, un tercio de banderillas e un incontro mercenario trovassero il tempo, almeno negli anni ‘20, di stemperare tanta gravità con una visita al cinematografo.
Al netto della traduzione questi e altri piccoli episodi taurini presenti nel testo mi sono sembrati godibilissimi, si intende che l’intera autobiografia è una ghiottoneria irrinunciabile per chiunque riservi a Buster Keaton un piccolo posto nel proprio cuore cinefilo. Keaton calcherà le scene fino all’ultimo senza rimpianti o rivendicazioni, si lascerà alle spalle l’epoca dorata della slapstick comedy per tornare a frequentare i piccoli polverosi palchi di provincia che avevano ospitato, bambino, i suoi esordi, passerà anche da Milano, al Teatro Puccini, dove all’interno di una rivista riporterà in scena alcune clownerie di repertorio: le cronache dell’epoca, pur evidenziando il lato patetico e malinconico dell’esibizione del mostro sacro che fu, ne sottolineano la “bravura agghiacciante”.
In quegli anni Pamplinas tornerà in qualche modo all’arena, non sugli spalti di una plaza de toros spagnola o messicana, non ad ammirare tori e toreri, ma esattamente al centro di un altro cerchio magico circondato da fiere di diverso tipo, saranno gli anni delle tournée con il circo Medrano, lui che in 60 anni di carriera non userà mai una controfigura mostrerà ancora al mondo, con la precisione di un congegno a orologeria, come scivolare su una buccia di banana rovinando al suolo per poi rialzarsi impassibile e tra le risate ringraziare.
Torero.
*Buster Keaton con Charles Samuels, “MEMORIE A ROTTA DI COLLO” (titolo originale: My Wonderful World of Slapstick (1960), Edizioni Theoria s.r.l. 1992