Questo articolo è apparso sul Pais. Ringraziamo l’autore e il suo giornale (traduzione di Luigi Ronda)
Molti di coloro che godono dello spettacolo dei tori sono convinti che la loro condizione di aficionados non ha oggi giustificazione possibile. In ultima istanza si sentono complessati, con vergogna, spaventati, timorosi, peccatori…, e facenti parte dell’ultimo anello di una catena di barbari primitivi. Scorre il veleno della fiesta nelle loro vene nel momento in cui li tormenta il doloroso rimorso di essere partecipi di una funzione di violenza e crudeltà proprio in una società che promuove la convivenza pacifica con gli animali. Si emozionano ai tori, ma non sanno perché e, a volte, si struggono di far parte di una minoranza che loro stessi considerano una specie in via di estinzione.
In verità non esiste un vangelo o un manifesto taurino che siano fondamento della fede nella tauromachia; è vero che l’animalismo si è ormai diffuso a macchia d’olio e condiziona le nostre vite; è vero che i nemici della fiesta sono insolenti e sfacciati, non hanno pudore del nudismo e del tumulto, di insulti o condanne, ma esistono abbondanti ragioni per sentirsi orgogliosi di essere aficionado a los toros.
Riconosciuti intellettuali come Fernando Savater o Mario Vargas Llosa hanno sviluppato reiteramamente i loro autorevoli argomenti a favore della fiesta. Ma ce ne sono altri, più alla buona forse, ma altrettanto validi. Eccone qualcuno.
Non siete torturatori. Spogliatevi di fronte a uno specchio – sì, voi, aficionados – e guardatevi. Vi considerate forse un sadico o una persona violenta? Incline ai maltrattamenti o malata di mente? Godete della sofferenza altrui o alla vista del sangue? Vi commuove il fascismo o il totalitarismo? No, vero? E se qualcuno individuasse nel vostro intimo una qualche predisposizione al male non sarà, senza dubbio alcuno, per motivi taurini. Non siete altro che una donna o un uomo che appartiene a una cultura in cui il toro è protagonista di una forma di intendere lemozione, l’eroismo, lo sforzo, il sacrificio, la gloria, la sconfitta, la belleza… Tranquillizzate la vostra coscienza.
Settarismo. “La spagna è un paese malato di settarismo e fanatismo”, affermava qualche giorno fa Carles Francino su queste colonne, con riferimento al problema politico in Catalogna. Ma la frase può applicarsi alla polemica taurina. Basterebbe ricordare l’atteggiamento vessatorio di Laura, la studentessa di Veterinaria e militante del PACMA, verso Juan José Padilla, il 26 settembre scorso, nel programma La línea roja che l’emittente Cuatro ha dedicato agli spettacoli taurini. Il torero stesso, intimorito e pallido, non riusciva a credere all’offensiva inquisitoria della giovane studentessa.
Antitaurini. Gli antitaurini non solo promuovono l’abolizione della tauromachia, ma addirittura sono sono permessi di separare il mondo tra buoni e malvagi, tra chi si impietosisce per il toro – i fighi – e i violenti e sadici aficionados. Siamo tutti uomini migliori, argomentano, se amiamo gli animali; di conseguenza, i taurini sono barbari. Dimenticano forse che il buonismo non ci fa persone migliori, ma invece sì moderni (è una corrente di pensiero molto diffusa nella società). Essere antitaurino è ben accetto e sinonimo di progressismo.
Gli affari dell’animalismo. Siamo soliti attruibuire a Walt Disney la responsabilità dello smisurato amore per gli animali, ma c’è qualcosa di più: un fiorente commercio mondiale, che fatturò nel 2015 la non disprezzabile cifra di 100 miliardi di euro solo in Europa, Stati Uniti e America Latina, come si legge in un reportage pubblicato nel dicembre 2016 da EPS. Il cibo per animali è la partita principale (884 milioni di euro all’anno solo in Spagna), ma il settore si estende anche alla sartoria canina, a firme di moda, parrucchieri per animali, yoga, crematori e cimiteri (i prezzi delle fosse per gli animali da compagnia oscillano a Madrid ai 2.000 ai 6.000 euro, e la quota annuale di mantenimento è di 60 euro). Stante così la cosa, c’è o non c’è interesse a diffondere l’amore per gli animali?
Più che un amico. L’inchiesta sopracitata insiste: un terzo degli spagnoli considera il suo cane o il suo gatto più importante dei suoi amici, secondo la Fundación Affinity.
L’uovo e la gallina. La gallina esiste perché depone le uova e serve per farci un brodo. Il toro, per essere combattuto. Se non fosse così, la sua esistenza non avrebbe ragione di essere. Per questo trattare bene un toro consiste, precisamente, nel combatterlo in un’arena. E’ il progragonosta di uno spettacolo cruento che non è un esercizio di malignità. Gli spettatori non sono sadici avidi di sangue, ma persone normali, di ogni classe, ideologia e condizioni, che hanno diritto a godere della bravura e dell’eroismo.
Persone migliori? Essere animalista e antitaurino significa essere persone migliori? E’ più umana una società senza tori? “Mai come ora siamo stati tanto sensibili alla sofferenza animale e tanto indifferenti alla sofferenza umana”, afferma il filosofo francese Francis Wolff. E papa Francesco sentenzia: “C’è chi sente compassione per gli animali, ma si dimentica del prossimo”.