Aurelio Hernando

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(ph) Ronda

“Venite a vedere la piccinina, prima venite a vedere la piccinina!”
“Ma no, non vogliamo disturbare, e poi siamo qui per i tori”
“Hombre, vieni a vedere che meraviglia la piccola!”

Non possiamo declinare, evidentemente, il rifiuto a vedere la piccola non è contemplato.
Riponiamo le macchine fotografiche, slacciamo la giacca, mettiamo dentro i primi timidi passi.

“Sono io! Sono con i francesi: vogliono vedere la piccolina!”

Ah ecco, adesso siamo noi che vogliamo vedere la piccola. Noi nel senso che pure io sono iscritto automaticamente nelle fila del contigente aficionado gallico venuto in visita, in questo caldo mese di marzo qui nella campagna a pochi passi da Colmenar Viejo.
Siamo definitivamente in casa, e mi colpisce il mobile all’ingresso, uno di quei mobili di una volta, che fanno da specchio, portaombrelli, attaccapanni, cappelliera. Ecco, cappelli: ce ne sono appesi almeno venti, forse venticinque, quasi tutte coppole a quadrettini, di quelle che identificano subito il ganadero, il bovaro, l’addetto ai lavori. Ce n’è anche un altro paio, quei cappelli grigi a tesa larga che vanno insieme al traje corto, per i giorni importanti. Un’esposizione orgogliosa di cappelli, giusto all’ingresso, e qualche vorace singulto che arriva dalla stanza lì accanto.

“Forza, venite”.
Siamo accompagnati, o meglio trascinati, in cucina. La piccola in effetti valeva la sosta: una topolina di qualche mese, non di più, splendida, avidamente attaccata al seno della madre. Sul tavolo un paio di bicchieri, un biberon e qualche altra cianfrusaglia, un pò di frutta.
Aurelio Hernando, il padre, ha gli occhi che brillano.

Prendiamo il fuoristrada e ci avviamo verso il verde brillante del campo a primavera, passiamo un paio di cancelli e siamo in mezzo ai suoi tori.
Parecchi jaboneros tradiscono le ascendenze veragua, l’aria è frizzante e là in fondo c’è la neve sulle montagne.

Cosa c’è di più grande?, mi chiedo, mentre respiro quei profumi e comincio a fotografare.

 

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