Il dio toro a San Augustín

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Il 5 maggio scorso l’afición torista europea (spagnoli, naturalmente, ma anche francesi e un piccolo gruppo di aficionados italiani di cui mi onoro di far parte) si è data appuntamento a San Augustín de Guadalix, un piccolo pueblo a 40 chilometri da Madrid, per assistere alla seconda edizione della Feria dell’aficionado

La Feria di San Augustín è promossa da un’associazione di aficionados, il Club 3 Puyazos, che nel nome stesso sintetizza la propria mission: rivalutare e attribuire un’importanza assoluta al primo tercio della corrida de toros, il tercio de varas, il tercio fondamentale per valutare la casta e la nobiltà del toro. Nella piccola plaza de toros di San Augustín del Guadalix il toro deve ricevere almeno tre puyazos. Oltre al tercio de varas altri due elementi caratterizzano la filosofia dei 3 Puyazos e dell’afición torista: valorizzare la varietà degli encastes e l’integrità del toro bravo.

A San Augustín, un po’ il contraltare spagnolo della francese Céret, la star della plaza non è il matador, ma il picador. E direi che l’attenzione maggiore, dopo il picador, è riservata al banderillero che, a differenza del matador, affronta il toro a cuerpo limpio, senza neanche la difesa del capote o della muleta.

Ho scritto “afición torista” e non semplicemente “afición” perché questa feria ha l’obiettivo di venerare il toro integro, encastado, opponendosi alla tendenza dilagante che vede il toro “commerciale”, generalmente di encaste Domecq, dominare le principali plazas dell’universo taurino, a partire da quelle di Siviglia e Madrid, dove dilagano animali quasi ammaestrati, creati per brillare nel tercio de muleta e per assecondare quello che viene chiamato “il torero artista” che va tanto di moda. 

Quella che si raduna nelle poche ferias toriste è un’ afición quasi clandestina, che si riconosce con uno sguardo mentre attende il bus che, da Madrid, ti porta in un angolo sperduto della Spagna. Seguaci romantici di una corrida in via di estinzione, disposti a vedere matadores di seconda linea affrontare tori encastados come i Dolores Aguirre, i José Escolar o i D.na Paloma Sanchez Rico, raramente presenti nei carteles delle grandi ferias perché difficilmente le figure riescono a trionfare affrontando questo genere di tori. Animali incredibili dal trapío di gran lunga superiore a quello richiesto nelle plazas di prima categoria e, certamente, più pericolosi di quelli che, a San Isidro, affrontano le venerate star del toreo. Tori che si orientano facilmente nel ruedo e non permettono al matador il minimo errore. 

A San Augustín abbiamo assistito a corride, di quelle che non ti fanno staccare lo sguardo dall’arena perché l’imprevisto può arrivare in qualsiasi momento, in cui il toro bravo brilla nella sua indomita casta, nella fierezza e nell’imprevedibilità. Di fronte a animali simili non vedi quasi mai le grandi star dell’escalafón (la graduatoria dei matadores) ma combattenti dal piglio eroico che rispondono ai nomi di Sanchez Vara, Octavio Chacón, Damien Castaño o Fernando Robleño, che solo raramente calcano le arene di prima categoria.

La feria di quest’anno si è aperta con una novillada mattutina di tori Barcial e Paloma Sánchez Rico de Terrones, in cui ha destato un’ottima impressione il novillero portoghese Joao D’Alva, costretto ad abbandonare il ruedo dopo aver ucciso il primo toro che gli aveva inferto una cornata di 20 cm. nella gamba destra, per proseguire con due corride molto attese: quella dei Dolores Aguirre e José Escolar, lidiati da Joselillo, Damian Castaño e Ángel Sánchez e, soprattutto, la corrida domenicale dei Reta de Casta Navarra, lidiati da Sanchez Vara e Octavio Chacón.

Quella di Dolores Aguirre e José Escolar è stata una corrida emozionante, in cui quasi tutti i sei tori hanno brillato al cavallo. È stata tagliata una sola orecchia, da Ángel Sánchez a un toro di José Escolar, ma la tarde è stata caratterizzata dall’intensità in cui il pubblico ha vissuto tutti e tre i tercios della lidia e dall’emozione trasmessa dalla nobleza ed imprevedibilità dei tori. 

La corrida dei Reta de Casta Navarra era forse la più attesa, un vero regalo fatto agli aficionados dal Club 3 Puyazos. 

La Casta Navarra è una delle sette caste fondative del toro de lidia, probabilmente la più antica, con un’identità genetica che la differenzia da tutte le altre e dalle razze bovine europee. Fu molto in auge nella seconda metà del secolo XIX e vanta tra le sue fila il toro Llavero che è considerato uno dei più bravos della storia (è morto nel 1860 nei corrales della plaza de toros di Saragozza dopo essere stato indultato e aver subito ben 53 puyazos. La sua testa è conservata nel Club Taurino di Pamplona). Questi tori, duri e valorosi, caddero in disgrazia e cominciarono a essere esclusi dalle arene quando si cominciò a selezionare il toro moderno, meno nobile e più toreabile.

Miguel Reta, allevatore, famoso pastore degli encierros di Pamplona e tecnico dell’Istituto Tecnologico Industriale Agroalimentare del Governo di Navarra, da 25 anni insegue il sogno di far tornare la Casta Navarra nelle plaza de toros, da cui è scomparsa da oltre un secolo, e non solo nelle feste popolari.

La corrida dei Navarra è stata un misto di emozione, incertezza e paura, una corrida di altri tempi che ha dimostrato tutta la grandezza a cui può arrivare l’arte del toreo. Dopo la delusione suscitata dalla corrida di due anni fa a Céret, i tori di Miguel Reta hanno dimostrato a San Augustín di essere sulla strada giusta: quasi tutti sono stati reattivi al cavallo e hanno permesso ai due matadores, Sanchez Vara e Octavio Chacón, più di un muletazo largo e limpido, una vera impresa con tori che erano considerati finora inadatti alla lidia. Una corrida diversa, quasi unica, anacronistica per alcuni, ma che ha fatto vivere lo spirito primigenio della tauromachia: il confronto tra l’intelligenza e l’eroismo del matador e la forza belluina del toro che tenta di sottrarsi al dominio umano.

La due giorni di San Augustín, per concludere, è stata un trionfo del toro e della corrida vera, di quelle che non si dimenticano, fondata sulla casta dei tori e sull’emozione che si vive in tutti i tercios, e non solo nel tercio de muleta. Se tutte le corride fossero come quelle a cui abbiamo assistito in questo piccolo pueblo alle porte di Madrid non ci sarebbe da preoccuparsi per il futuro della tauromachia.

4 COMMENTI

  1. E così, grazie al bel racconto di Stefano, veniamo a conoscenza di un altro baluardo del torismo duro e puro, noi che credevamo di aver visto il massimo a Ceret e Vic. Le date della Feria di San Augustìn del prossimo anno sono già sbarrate sulla mia agenda. Penso al denaro e al tempo sprecato a Madrid a vedere i cardenos di La Quinta (Santacoloma come gli Escolar, anche se della linea Buendìa, ma forse i toristi del 7 non lo sapevano) e alla concurso di Jerez, dove un piccolo Juan Pedro ha permesso a Morante quella esecrabile, anche se sommamente artistica e memorabile faena che ancora mi passa davanti. Se ci fosse stato un toro di Casta Navarra, pensa un pò che ne sarebbe uscito…niente, perché è un ossimoro, nessuna faena è possibile con un toro del genere, che a parte schiantarsi alcune volte contro il muro di cavallo, peto e picador, non può fare altro. Qui, un altro equivoco: si pensa veramente che i tori di Reta, visionario e meritevolissimo allevatore di un encaste antico, siano uguali ai piccoli e velocissimi “toritos rojos” che già Guerrita si rifiutava di combattere? Anche allora, come si vede, chi comandava nel toreo dettava termini e condizioni, esattamente come le figure di ora. E già allora i toreri di secondo piano, come Mazzantini o Il Papa Negro, si adattavano a combattere con i tori che capitavano, proprio come ora, e, come ora, non erano meno meritevoli di rispetto e onore. Ma quello che, con tutta la mia buona volontà, non riesco proprio a capire, è come si può pensare che i problemi della tauromachia (quali, nello specifico?) potrebbero essere risolti se nel ventunesimo secolo si tornasse a combattere come nel diciannovesimo, negando quindi secoli di adattamento dell’animale al combattimento e alla sua evoluzione. Per postulare ciò, addirittura si parla di tori “ammaestrati”. Il toro di Madrid, di Pamplona, di Bilbao, di Siviglia come un mansueto esecutore di evoluzioni da circo. Vorrei chiederlo Ivan Fandiño o a Victor Barrio cosa ne pensano, ma non mi è possibile. Però il torista duro e puro potrebbe parlarne con Escribano ricordando la terribile cornata di Alicante, che mi “gustai” in diretta, come se prendere e vedere cornate sia un merito.
    Bene, chiudo, ricordando come già Joselito veniva maledetto a Madrid il giorno prima di morire per tori “indegni” di quella piazza, o che anche Manolete è stato infamato post mortem perché Islero, che lo uccise, aveva le corna accorciate.
    Già negli anni sessanta Cabañate prevedeva la fine della tauromachia, si era al tempo di Ordoñez, Paco Camino, del Viti, Antoñete, De Paula, Curro Romero, dei mitici tori Pablo Romero, Osborne, Salvador Guardiola, Conte de la Corte, Sanchez Cobaleda, tutto l’encaste Nuñez…questa tauromachia agonizzante da più di cento anni per colpa di Joselito e Belmonte…

    • Ciao Marco, innanzitutto ti ringrazio per aver letto l’articolo e per averlo commentato con accuratezza e competenza. Amo vedere i tori e i toreri, ho visto tori e toreri nelle plazas de primera e li ho visti, finora, a Céret e San Augustin, che non definirei plazas de segunda o tercera ma luoghi in cui due gruppi di aficionados spinti dalla passione e non dall’interesse economico tentano di valorizzare encastes duri che non trovano sufficiente spazio nelle grandi arene.
      L’idea che mi sono fatto è che a Madrid e a San Augustin si assista a due forme completamente diverse di tauromachia: a Madrid si cerca l’arte e l’eleganza del matador, a San Augustin il combattimento e la conquista del dominio sul toro. La corrida “torerista” è quella che coinvolge la maggior parte del pubblico, perché la gente vuole vedere toreare, il che non sempre è possibile con tori duri che non accettano di essere sottomessi. Ma, a mio avviso, questo ha innescato un processo di selezione che ha portato alla creazione di un toro prevedibile e troppo incline a seguire la muleta, nonché alla quasi scomparsa del tercio de varas. Questo non è accaduto, come scrivi tu, “perché l’animale si è adattato al combattimento e alla sua evoluzione”, ma è accaduto in virtù di precise scelte di carattere commerciale. Ho visto quasi tutte le corride di San Isidro finora, e pochissime hanno trasmesso emozione. Naturalmente so bene che anche un Domecq può essere nobile e encastado, così come so bene che l’opera d’arte eccelsa creata da Morante il 26 aprile a Siviglia sarebbe stata irrealizzabile di fronte a un José Escolar, ma si è trattato di un evento raro e sporadico. La norma è la troppo frequente noia generata dalle corride monoencaste. Ed è questo che minaccia la sopravvivenza della corrida, una forma di arte già di per sé anacronistica (la sua lunga durata, per dire, non attrae i giovanissimi, per i quali finanche una partita di calcio è troppo lunga).
      Infine, due piccole osservazioni: chiunque si metta di fronte a un toro rischia la propria vita e va, quindi, ammirato, rispettato e venerato; lungi da me l’idea di screditare le figuras che esprimono la loro arte quasi solo con tori “commerciali” (peraltro sono stato un “poncista” e sono un morantista). Concludo con una annotazione più “tecnica” sui Casta Navarra visti a San Augustin: è vero, come scrivi tu, che i tori di Reta non erano i Navarra di due secoli fa, ma un “torito rojo” piccolo e velocissimo si è visto. E’ stato il quinto (terzo per Sanchez Vara), salido come secondo sobrero (il primo era morto nel corral) e accolto, inizialmente, da qualche fischio perché sembrava più un novillo che un toro. E invece era l’esemplare più vicino ai Navarra originari, ed ha dimostrato una buona reazione al capote, caricando poi per ben tre volte al cavallo senza indugiare.
      Ti saluto con l’auspicio di conoscerti personalmente in qualche plaza de toros. Mia prossima tappa: Céret, dove quest’anno ci aspetta una feria entusiasmante (una novillada e 3 corride, Peñajara, Saltillo e José Escolar). Magari ci vediamo lì.

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