España Vacía

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Con questo magnifico reportage (che pubblichiamo in due tranches) inizia a collaborare con Uomini e Tori, Roberto Baravalle, scrittore cuneese esperto di Spagna, noto agli aficionados per il suo bel libro Olé! Spagna d’oggi fra modernità e tradizione (2006).


Nel 2016 il giornalista spagnolo Sergio del Molino (Madrid 1979) scrisse un libro che ebbe un immediato successo: la España Vacía: viaje por un país che nunca fue. Il libro uscì nel 2019 in Italia presso Sellerio, con la traduzione di Maria Nicola.

La Spagna è un paese molto esteso , 505.990 Km, con una popolazione di 47 milioni di abitanti, mentre l’Italia ne ospita circa 60 milioni su 302.073 Km.

Sostanzialmente, la penisola iberica si presenta come un quadro che, con l’eccezione dell’agglomerato centrale di Madrid, è abitato principalmente nella cornice del quadro stesso, vicino alle coste,mentre all’interno permangono vaste aree disabitate o addirittura deserte o semideserte. Questa enorme distesa, il teatro naturale delle imprese di Don Chiscíotte, il regno dei bandoleros, rappresenta il 43,7% della superficie della Spagna ma solo il 12,68% dei suoi abitanti. Province come la Castilla y Leόn, l’Estremadura, l’Aragona, la Mancha, il nord dell’Andalusia, la Navarra sono a buon diritto incluse nella Spagna Vuota. Sono paesaggi sovente mozzafiato: orizzonti amplissimi, cieli sconfinati, spesso dominati dalla sagoma di un antico castello o dai ruderi di un convento. L’unica novità può essere costituita dalle pale eoliche o dalle linee dei treni ad alta velocità. Una fauna selvatica varia e indisturbata percorre queste aree dove alberga anche, come un re, il torobravo, il toro da corrida che trascorre i quattro anni che lo separano dall’ingresso nell’arena, ossequiato e riverito all’interno delle bellissime fincas che costituiscono anch’esse un panorama d’eccezione.

Da quando il libro di del Molino è uscito si è affermata una tendenza che sottolinea come la España Vacía sia in realtà una España Vacíada, cioè svuotata, derivando quindi, il vuoto attuale da uno svuotamento.

Questa colossale operazione di svuotamento che ha portato alla sparizione e all’abbandono di una miriade di piccoli medi e grandi pueblos avrebbe una data di inizio: 1959, con il Plan de Estabilización, voluto da Franco con il quale i villaggi vengono abbandonati e le periferie di grandi città come Madrid, Barcelona e Bilbao crescono a dismisura, dapprima con le baraccopoli e successivamente con enormi quartieri dormitorio fatti con l’edilizia a basso costo. Il piano del ’59 aveva alcuni obbiettivi dichiarati: 

  1. La creazione di grandi invasi volti a creare laghi artificiali al fine di portare energia elettrica alle città e soprattutto agli impianti produttivi che si venivano creando grazie all’arrivo di capitali stranieri. Julio Llamazares, nel suo romanzo La pioggia gialla, ha ben descritto il destino del suo pueblo nativo dove il padre era maestro elementare, pueblo sommerso dalle acque di un lago artificiale creato da una diga.
  2. La creazione di progetti macro-minerari, perlopiù nelle mani di multinazionali
  3. La trasformazione dell’agricoltura in concentrazioni macrointensive.

Quest’ultimo punto spiega la ragione per cui, ancora oggi, in tutta la Spagna, è praticamente impossibile mangiare un’insalata decente. Arrivano solo insipidi pomodori grossi come meloni e insalate plastificate. Ne sa qualcosa il mio amico Franz che tenta sempre di mangiare un’insalata a pranzo quando siamo in viaggio. Io stesso, qualche 

anno fa, seduto en la barra di un ristorante di Valencia osservai un turista americano che aveva fatto l’errore di ordinare un’insalata. Colto il suo sguardo di scoramento quando si vide arrivare un enorme piatto colmo di verdure industriali, con due enormi radici che sembravano due bastoni da passeggio, lo salvai facendogli condividere il mio arroz del señorito così chiamato perche il señorito è pigro e i molluschi sono quindi già tritati nel delizioso riso cotto nel brodo di pesce: solo da mangiare col cucchiaio.

Nel contesto attuale, la España Vacía corre il rischio di avere come unica chance la carta del turismo, anch’esso massivo. Riempite le coste di turismo balneare e le città d’arte di visitatori ciabattoni, ai luoghi remoti e semiabbandonati non resta che tuffarsi in un improbabile Medioevo, lontano e spesso inventato, all’ombra del castello, sovente benissimo conservato, circondato da una pletora di ristoranti che espongono menù scritti in caratteri gotici e di mercatini pseudo medioevali. I Paradores sono alberghi di ottima qualità, spesso ospitati in palazzi storici, castelli e conventi che non di rado costituiscono la maggiore attrazione del pueblo.

Sono un’invenzione dell’epoca franchista, intuizione geniale che ha salvato un sacco di monumenti splendidi fornendo contemporaneamente servizi alberghieri di qualità all’allora nascente turismo internazionale.

A 60 km di autostrada dal madrileno aereoporto di Barajas si incontra lo stupendo castello di Oropesa, all’interno di un piccolo borgo perfettamente conservato che ospitò nel ‘57 il set del film hollywoodiano con Sophia Loren, Cary Grant e Frank Sinatra “Orgoglio e Passione” le cui foto di scena decorano ancora adesso i corridoi ed i balconi dell’antico maniero. A Oropesa si consumano i pasti in una sala da pranzo che era un tempo la chiesa del castello, sotto una volta alta 20 metri. Quando ci soggiornai l’ultima volta, arrivai alla reception mentre i due addetti stavano esaminando con ponderata attenzione un bel prosciutto: nulla di più castizo, cioè autenticamente ruspante, era possibile immaginare.

A proposito di prosciutto anche i paesaggi che fanno da sfondo al celebre film di Bigas Luna del ’92, Jamόn Jamόn con Javier Bardem, Penélope Cruz e Stefania Sandrelli sono paesaggi da Espaňa Vacía: non c’è neanche più il pueblo, solo un bar sperduto in una pianura traversata dai camion che corrono sull’autostrada e la villa di un cattivo imprenditore locale. Il tutto all’ombra della sagoma di latta di un Toro Osborne, pubblicità di una casa vinicola, diventata un must del paesaggio spagnolo nei decenni trascorsi. Si veda in proposito anche il romanzo Vida sentimental de un camionero di Alicia Giménez-Bartlett, amori e drammi di un camionista in continuo transito par la España Vacía di un paio di decenni fa, su strade punteggiate da bar-postribolo, dove procaci signore dell’Est offrivano le proprie grazie in periodo ancora pre-Unione Europea. 

La Spagna profonda e vuotissima ha culturalmente e iconicamente una lunga tradizione. Nel 1952 un regista attento come Luis Berlanga firmò Bienvenido Mr Marshall. Siamo appunto nel periodo del Piano Marshall e nella posada sonnolenta e piena di mosche di un paesino qualunque arriva la notizia che gli americani passeranno da lì a portare un sacco di soldi. Sotto la classica testa di toro tarlata che fa bella mostra di sé sopra il bancone, l’animazione cresce. Il sindaco decide di tassare tutti per ridipingere e rinnovare il pueblo al cui ingresso viene posto un enorme striscione di benvenuto per Mr Marshall. Naturalmente, il giorno convenuto, un lungo corteo di macchine americane passerà a spron battuto per il villaggio lasciando nuvole di polvere e un sacco di debiti da pagare. Questo esempio di neorealismo gentile che piacque tanto al nostro Zavattini, dice sempre la stessa cosa, che non c’è speranza per la Spagna profonda.

La España Vacía era anche il luogo d’elezione del Franchismo. Dal profondo delle sue terre riarse venivano l’energia e la tempra del Movimiento Nacional, sotto un sole implacabile e un cielo tersissimo garrivano nel “loro” immaginario le bandiere in oro e rosso. In realtà, se si studiano le opere del pittore favorito di Franco, Ignacio Zuloaga (1870-1945), si vede ritratta un’umanità spesso derelitta di subnormali, nani e mendicanti che popolano le terre riarse con lo sfondo di paesi remoti come Calatayud in Aragona o Supùlveda vicino a Segovia. Il truce nano Gregorio, protagonista di alcune opere di Zuloaga, rappresenta la quintessenza di una Spagna che non vuole piacere, bastante a se stessa, autarchica e impenetrabile. Toreri enigmatici vengono ritratti assieme alle loro quadriglie nella cappella di qualche plaza, prima dell’incontro fatale con la Bestia. Per arrivare a qualche faccia gentile, a qualche signorina ieratica, a qualche eleganza di panni e di gioielli bisogna scendere all’arabeggiante Andalusia o rifugiarsi nei salotti delle grandi città di Madrid e Barcellona. I grandi musei mondiali, dall’Hermitage al Metropolitan ospitano ancora oggi quelle testimonianze ispaniche che, per non fare la figura di un cane in chiesa, spesso vengono associate ai progenitori Velázquez e El Greco. Zuloaga passò diversi anni nel cuore della Spagna più vuota, in un castello nei pressi di Segovia dal programmatico nome di Pedraza de la Sierra . Anche lì, orizzonti sterminati con qualche paesuccio parzialmente rianimato dall’attuale moda del senderismo.

Un’amica, originaria di Zamora, cittadina ai margini della Castiglia verso il Portogallo, mi ha sempre detto che il suo luogo di nascita era uno dei più brutti di Spagna ma quando ci andai, scendendo al magnifico parador, ebbi un’impressione opposta, corretta però immediatamente la mattina seguente quando uscii nel colossale mercatino medioevale che assediava lo storico edificio. Lo stesso del Molino racconta che a Zamora tentò invano di trovare un ristorante che avesse il menù scritto in caratteri non gotici.

A cento chilometri da Salamanca verso Sud-Ovest, a ridosso di una catena di montagne, si trova il comprensorio di Las Hurdes che per secoli è stato ritenuto uno dei luoghi più reietti della Spagna, abitato da una popolazione quasi subumana, abbruttita dalla miseria e dall’isolamento, minata da tare e malattie. Il regista Luis Buñuel, nel 1932, dedicò a Las Hurdes un film-documentario dal titolo Tierra sin pan, zeppo di scene raccapriccianti come quella di un asino mangiato dalle vespe e lacrimevoli come il funerale di una povera bambina. Tierra sin pan fu poco visto in Spagna, accusato di esagerazioni, poco amato anche dai soloni della Seconda Repubblica come il dottor Gregorio Marañon ( 1887-1960) che fondò molti dei suoi studi di endocrinologia proprio sulle indagini da lui condotte nelle Hurdes. Marañon rimase piuttosto defilato durante la guerra civile ma dovette superare in scioltezza anche il ritorno della democrazia al punto che una delle maggiori stazioni della metropolitana di Madrid è ancora oggi a lui dedicata. Nel remoto 1922 il dottore aveva accompagnato il sovrano Alfonso XIII proprio in visita alle Hurdes. Esiste una foto che li ritrae ai bordi di un ruscello, il re completamente nudo e il dottore in cerca di refrigerio che guarda da un’altra parte. Tutti i reali si fecero un punto d’onore di visitare le remote e disastrate Hurdes. Juan Carlos vi si recò nel ’98 assieme alla regina Sofía, fino all’attualmente regnante Felipe VI che ha visitato quei luoghi assieme alla regina Letizia il 12 maggio di quest’anno. Circondati da scolaresche festanti, hanno potuto constatare che le Hurdes con i loro 7.000 abitanti divisi in sei municipi sono molto cambiate. L’apicultura e il turismo sembrano essere anche per loro le risorse principali. I quotidiani dell’Estremadura pubblicano in continuazione foto delle migliorie che vengono apportate ai sentieri attrezzati con la creazione di nuove passerelle e miradores. Con l’autunno, spentosi il tradizionale incendio boschivo che ogni estate si mangia qualche ettaro di selva, il turismo termina. Le poche seconde case si chiudono e il vuoto ritorna sulle Hurdes. Quest’anno, poi, l’incendio a Las Hurdes non è stato un incendio qualunque. Si è infatti mangiato 3.800 ettari di bosco. In tutta la Spagna, mentre scrivo questo articolo a metà di luglio sono già andati in fumo 360.000 ettari di bosco, più del doppio della media estiva degli ultimi tre anni e molti fuochi non sono ancora spenti. Anche il mutamento climatico sta contribuendo a fare terra bruciata (nel senso letterale) della Spagna vuota.

La splendida Segovia, un’ora di autostrada da Madrid, è una delle poche città al mondo che ha dedicato un monumento al maiale. Il cochinillo (maialino da latte) è un pilastro della gastronomia locale . I contadini lo mangiavano una volta all’anno ma oggi è servito in tutti i ristoranti della zona, tutti i giorni che Dio manda in terra, così tenero che, portato in tavola, si deve poter tagliare con il bordo di un piatto.

È bello, la sera, quando i turisti se ne sono andati, discutere sulla piazza di Segovia con la statua in bronzo a grandezza naturale del poeta Antonio Machado che anche qui portò a compimento una tappa del suo travagliato cursus di insegnante delle scuole pubbliche. 

Antonio Machado iniziò la sua carriera di insegnante in un’altra capitale della Spagna vuota: Soria, capoluogo di provincia a un paio d’ore di auto da Saragozza, collegata attraverso una di quelle strade che, lungi dall’essere un’autostrada, sono invece trafficatissime e assai pericolose. Niente autostrada, quindi, per Soria e neanche una radioterapia nel locale ospedale. Queste ed altre manchevolezze, trascuratezze e dimenticanze da parte del potere centrale sono state alla base dell’insperato successo di una lista locale, denominataAdesso Soria (Soria !Ya!) che ha ottenuto alle ultime elezioni autonomiche in Castilla y León, nel 2022, il 42,72% dei suffragi, circa 20.000 voti in una provincia di 89.000 abitanti. La lista faceva esplicito riferimento alle rivendicazioni della Espaňa Vacíada, come altre simili a Jaén, Teruel, Ávila, León ecc…

Soria ha 40.000 abitanti, è situata a 1.000 metri di altitudine, fa un freddo becco ed era il luogo di nascita di Leonor, la moglie adolescente di Machado, da lui sposata nel 1909 e deceduta nel 1912 per la tubercolosi. A Soria tutto era a lei dedicato un tempo dal viale principale all’’auditorium. Lo scrittore Javier Marías veniva a trascorrere a Soria i mesi estivi per scrivere lontano dai tumulti e dal caldo di Madrid. Non ci viene più da quando il sindaco ha tentato di lanciare una pletora di manifestazioni estive per incrementare il turismo. E il turismo diventa davvero pietra di paragone, croce e delizia della España Vacía .

Sì, perché se da noi si tenta di trasformare ogni paese in un borgo con gli inevitabili gerani alle finestre, in Spagna si tenta di trasformare ogni pueblo in un pueblo antiguo. I paesi dell’España Vacía stentano a sopravvivere certamente per mancanza di servizi e di opportunità economiche ma soprattutto per una carenza di comunità, per la mancanza di aggregazione sociale attorno a valori che erano un tempo i valori del campo. Il campo, la campagna, l’agricoltura anche arretrata, anche latifondistica, la ganaderia cioè l’allevamento di animali erano il metronomo che scandiva il tempo, i riti e i miti della popolazione che si agglomerava quindi in comunità attorno alla tempistica stagionale e delle feste (Ferias).

Parlando della crisi del campo non è trascurabile, all’interno di un discorso più ampio che riguarda la nuova divisione del lavoro derivante dalla globalizzazione, la crisi del settore legato all’allevamento del toro bravo, settore messo in ginocchio dai due anni di pandemia. Se la corrida portava un tempo ad arene “piene fino alla bandiera”, le norme anti-covid le hanno svuotate provocando un contraccolpo facilmente immaginabile sull’allevamento di un animale che nasce e viene cresciuto con un solo scopo: quello di portarlo a combattere nella plaza.

(1- continua)

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