Una modesta ossessione

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Vincent van Gogh, Les Arènes d'Arles, 1888.

La tauromachia in pittura è sommamente complessa e sommamente abusata. A parte i classici, noti al grande pubblico o agli amanti del genere, a parte qualche occasionale, piacevole scoperta tra gli artisti minori o marginali, esiste e prolifera un sottobosco pittorico con innumerevoli prove artistiche a tema taurino. A navigare in internet si rischia di affogare in una marea di arene gialle, rosse e nere, in uno tsunami di cattivo gusto e di abissale incompetenza pittorica. C’è da chiedersi perché un dilettante possa arrivare a cimentarsi e ostinarsi con un soggetto così difficile e così inflazionato, e la risposta non può non riportare all’inesorabile sex appeal della corrida, una fascinazione che è sempre a doppio taglio: colori, simboli, movimenti, sospesi tra la levità della piuma e la pesantezza più triviale, tra l’arte della sfumatura e l’arroganza delle tinte forti. Non deve dunque stupire che tori, toreri e arene solletichino l’estro di chi le sfumature non le sa proprio coltivare. Tuttavia, scartando l’inguardabile e l’imbarazzante, ho raccolto qui sotto un pugno di immagini di artisti italiani che, nel complesso, registrano a mio parere qualcosa che va oltre la modesta ossessione per i tori di chi prova (e tuttavia non riesce) a fare arte. Qui, insomma, c’è qualcosa di diverso, un’intuizione, un contributo onesto alla riflessione visuale. Ed è proprio questo che alla fine mi interessa. Non le gerarchie dell’estetica e della cultura, ma la polifonia del discorso sui tori, un discorso che passa attraverso tutte le voci possibili, tutte le esperienze singolari, anche le più periferiche.

Lorenzo Garin, olio, 140 x 100.
Michele Montanaro, olio, 160 x 140.
Stefano Manzotti, olio, 150 x 100.
Decio Carelli, olio, 200 x 140.
Angelo D’Amato, tecnica mista, 160 x 160.
Chiara Terraneo, tecnica mista su carta.
Marco Favata, olio, 100 x 100.
Massimo Franzoni, tecnica mista, 150 x 100.
Roberto Altmann, olio su tela.

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