Terceira, l’isola dei tori

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(ph) Mauro Tesolin

TERCEIRA

Una vecchia station wagon percorre senza tregua l’isola da nord a sud, attraversa foreste e villaggi, costeggia l’oceano, dalle strade eleganti di Angra do Heroismo fino agli altipiani prossimi al cratere vulcanico, centro ideale di ogni isola qui nell’arcipelago: è ricoperta di manifesti, un vetusto megafono montato sul tettuccio diffonde sempre lo stesso stridente pasodoble e annuncia la prossima corrida in programma alla Praça de Toiros.

Siamo a Terceira, arcipelago delle Azzorre, spalle all’Europa e sguardo sull’Oceano Atlantico. Da maggio a ottobre qui si tengono oltre 200 festeggiamenti taurini, in gran parte touradas a corda, poi vacadas, bezerradas, corride a la portuguesa, ma questi sono solo i numeri del calendario ufficiale, la realtà, si fa fatica a crederci, è ancora più ricca di avvenimenti, quasi non si potesse andare avanti, affrontare la giornata, senza mettersi davanti a un toro. Questa è l’isola dei tori. Proverò a raccontarla.

Tutto ebbe inizio, si racconta, con la battaglia di Salga combattuta il 25 luglio del 1581 quando gli isolani, per difendersi dagli equipaggi di 10 navi spagnole sbarcati sull’isola con brame di conquista, risolsero lo scontro a loro favore convogliando sulla spiaggia una mandria di 400 tori. Gli spagnoli sorpresi e impreparati alla gigantesca corrida vennero, almeno i superstiti, ricacciati in mare. E’ una storia questa che qui conoscono tutti e che in qualche modo sembra motivare storicamente e culturalmente l’esistenza di una tauromachia così peculiare, equidistante tanto da Madrid quanto da Lisbona dove gli snobismi equestri di Campo Pequeno (pur sempre arena di riferimento nell’universo taurino portoghese), così come la sacralità indiscussa del cavallo lusitano, paiono lontanissimi.

PORTO JUDEU

La festa ha un segnale d’inizio inquietante: sin dalla mattina gli uomini del villaggio che ospiterà la tourada del tardo pomeriggio erigono barricate. Nello spazio che accoglierà i quattro tori niente può considerarsi al sicuro, si riesumano vecchi bancali, assi e tavole di legno già segnate dall’impatto di precedenti corse, vengono messe al riparo porte di casa e finestre ad altezza strada, cancellate e recinti, si improvvisano burladeros di fortuna, impalcature precarie dall’alto delle quali godersi lo spettacolo, si accostano cassoni aperti di vecchi camion, diventeranno barriere e tribune al medesimo tempo, tutto viene messo in sicurezza eppure, come scoprirò da lì a qualche ora, niente può dirsi completamente protetto, non esiste sbarramento che non possa essere divelto o sfondato non c’è ostacolo che non possa essere aggirato. Touros por mulheres vengono chiamati, “tori da donne”: quelli che indifferenti agli uomini pronti a sfidarli sulla strada puntano le corna su quegli spalti improvvisati dove appunto le donne sono in gran parte assiepate. “Il mondo sta morendo per mancanza d’imprudenza” scriveva Jacques Brel, qui malgrado le contromisure, l’imprudenza sembra non essere mai troppa.

Terminati i lavori la città prossima all’assedio ripiomba nella tipica sonnolenza isolana, le strade che percorrerò nei prossimi 20 giorni saranno costantemente libere dal traffico, silenziosi i villaggi, semideserte le piscine naturali dove bagnarsi nelle fredde acque dell’oceano, pochi i turisti, qui non ci sono stabilimenti balneari, discoteche, ristoranti stellati, pub alla moda, solo vecchi bar dagli arredi spartani e démodé immutati probabilmente da quaranta o cinquant’anni dove se appena c’è in dotazione una pentola puoi mangiare fino a scoppiare; poi arriva, lentamente, arrancando, il camion della ganaderia con il suo carico insofferente e tutto improvvisamente prende vita.

Manca un’ora all’esplosione del mortaretto che segnerà l’uscita del primo toro, le donne sciamano di casa in casa con enormi vassoi: torte, biscotti, dolciumi di ogni genere da scambiare e portare in dono alle famiglie che possono vantare dalla loro abitazione i migliori punti di osservazione per godersi lo spettacolo, sui muretti a secco vengono stese coloratissime coperte fatte a mano: addolciranno le sedute e vestiranno a festa il paese, cortili e balconi iniziano a riempirsi, non c’è bisogno di un invito ufficiale, chiunque vi aprirà la porta di casa per condividere la festa e offrire riparo; giovani uomini a piccoli gruppi convergono verso le quattro celle per assistere al lavoro dei pastores, molti hanno un ombrello sottobraccio, piove spesso in queste isole, piove almeno qualche minuto tutti i giorni ma nessuno ha intenzione di ripararsi, l’ombrello aperto sarà cappa e muleta, l’ombrello chiuso, alla bisogna,  picca e banderilla: affrontare un toro di 500 kg senza ombrello è da autentici irresponsabili. Arrivano i venditori ambulanti, un moto perpetuo che insegue i tori ad ogni occasione: pannocchie bollite, frutta, gelati, birra, sangria, avanti e indietro senza sosta fino all’ultimo secondo utile per poi infilarsi veloci da un pertugio fin dentro al primo cortile  quando in strada non saranno più gli uomini a decidere i percorsi; ai margini si cuociono carni e patate su furgoni attrezzati e irrimediabilmente segnati da mille touradas. Gli anziani del paese occupano indisturbati le prime file, alcuni li rivedo ogni giorno, di tourada in tourada, di paese in paese, spalle dritte, mani di pietra, pelle bruciata dal sole e scavata dal sale, spesso portano sul lobo orecchini d’oro ad anello. Lupi di mare, volti che nemmeno il più realistico dei film sulla filibusta potrà mai restituire. La vecchia station wagon ha già lanciato il suo gracchiante promemoria almeno una dozzina di volte: “DOMINGO 22 JULHO – 6 DA TARDE – CORRIDA MISTA – CAVALEIROS LUIS ROUXINOL e JOAO PAMPLONA – MATADOR EL FANDI – PRACA DO TOIROS ILHA TERCEIRA!”…toccherà andare a vedere El Fandi. I pastores in abito tradizionale sono affaccendati intorno alla gayola per gli ultimi preparativi, ancora qualche minuto per assicurare la corda, stenderla per un centinaio di metri e serrare le bolas, dall’interno l’animale fabbrica suoni sinistri squassando le anguste pareti della gabbia, rimango a pochi metri dalle operazioni, poi viene dato fuoco alla miccia. Primo toro.

A meno che non si sia saliti sull’altipiano lungo la “rota do toiro” che costeggia il vulcano e vede sfilare una dietro l’altra le ganaderias dell’isola e non si abbia partecipato alla preparazione e alla scelta degli animali, non si sa mai che toro uscirà dalla cella, di rigoroso ci sono solamente le tabelle veterinarie che premiano ogni esibizione con almeno 20 giorni di riposo assoluto negli infiniti pascoli dell’isola,  a volte un novillo, poco più che un becerro instancabile e strafottente, altre magnifici esemplari adulti dal morillo possente e ampie corna che non sfigurerebbero in un’arena di prima categoria, altre ancora vecchi esemplari dalle dimensioni imponenti, reduci di mille battaglie che come vecchi pugili di giro chiamati a infiammare incontri di contorno o a difendere titoli già persi in partenza, sono ormai incapaci di danzare sulle gambe ma possono ancora sorprendere l’avversario con un montante omicida o un jab fulminante, sono naturalmente i più pericolosi, non c’è ombrello che tenga.

Il mio primo toro è un esemplare giovane, forte e ben armato, i pastores sono in un bagno di sudore dopo solo pochi minuti. Una tourada a corda non è sinonimo di toro al guinzaglio, i cinque uomini all’estremità della fune e i cinque a metà percorso possono provare ad assecondare la bestia, frenarla per quanto possa essere possibile farlo a mani nude, indirizzarla fallendo più della metà dei tentativi ma il compito principale è proprio “dare corda”, non salveranno nessuno dalla prima cornata, forse riusciranno in parte a mitigare l’accanimento poi eventualmente sarà lavoro per gli infermieri pronti nei pressi dell’ambulanza parcheggiata là in fondo a motore acceso. Ho trovato riparo arrampicandomi su un muro di pietra senza voltarmi indietro, un ragazzo talentuoso (ce n’è sempre uno) affronta l’animale con una vecchia muleta stinta cercando di deviarne il percorso e salvando di fatto tutti quelli che in strada tentano la sfida contando solo su buone gambe e via libera. Decido, il richiamo è irresistibile, con una paura fottuta scendo in strada, ho cinquant’anni: meglio una morte nera che una morte bianca, mi dico con una certa inclinazione al melodramma, poi smetto di pensare e comincio a correre cercando di evitare imbuti o zone senza uscita, mi scopro capace di menare fendenti a destra e sinistra pur di farmi largo e creare uno spazio di fuga e mi accorgo in prima persona di un paio di cose che credevo di sapere ma che evidentemente qui assumono significati di peso diverso: la prima è che se non ti chiami Morante non capirai la direzione della carica finché questa non è già cominciata, quindi troppo tardi, la seconda è che la velocità di un toro è impressionante, la distanza di sicurezza è un’illusione e ritrovarselo addosso è un attimo.

Resisto fino alle due esplosioni che annunciano la fine delle ostilità, giuro a me stesso di non rifarlo mai più, falso, lo rifarò ogni sera vittima di una febbre inestinguibile. Ci si riversa di nuovo sulla via, tra un toro e l’altro gli ambulanti riprendono i loro affari, si beve e ci si avvicina alle gabbie cercando di immaginare l’irruenza della prossima bestia semplicemente da quanto riesce a rendere la vita difficile ai pastores. Andrà avanti così fino a sera tra donne dispettose e bambini  di ogni età pronti a  richiamare l’attenzione dell’animale con ogni sorta di chiassoso espediente, uomini armati di ombrello capaci di passaggi maestosi per  sfacciataggine e ineleganza, giovani di indiscusso valore  in grado di bloccare una carica con una logora muleta a brandelli e poi ancora corse, musica, assi divelte, muri sbrecciati, corpi nell’aria, urla, risate e paura. Così ogni giorno, per sei mesi, in un’isola il cui intero perimetro non arriva a 90 km.

ANGRA DO HEROISMO

Arrivando da est e seguendo le indicazioni per il centro di Angra do Heroismo è inevitabile trovarsi di fronte al monumento al toro più grande del mondo, lasciando ad altri il giudizio sul valore artistico dell’opera va detto che l’impatto, viste le dimensioni, non può che destare stupore; sulla sinistra la piazza che ospita l’arena e i locali della Tertulia Tauromaquica Terceirense, l’associazione di impresari, allevatori e aficionados che presiede all’intera attività taurina dell’isola, un altro monumento, più recente e dalle dimensioni più sobrie, celebra la figura del forcado. Questa mattina però è dedicata alla visita della città, mi concedo mezza giornata da turista ma scoprirò presto che qui ai tori non si sfugge e si fa sempre più netta l’idea che per gli isolani la convivenza con l’animale più che una passione si sia mutata nel tempo in ossessione vitale. Raggiungo l’Igreja da Misericòrdia, uno degli edifici più antichi e riccamente decorati di Angra, una donna elegantissima mi si fa incontro per illustrare le meraviglie artistiche e architettoniche della struttura, resiste 5 minuti poi chiede a bruciapelo se sono interessato ai tori, annuisco, sono qui per questo, consiglia di correre alla biglietteria di Praça Velha dandomi indicazioni su come raggiungerla: domenica è giorno di corrida ci saranno tutti, assicura.

In Spagna di regola mi tengo ben lontano dalle corride miste e il Fandi non è il tipo di torero che prediligo ma sono qui e sento che sarà diverso: una corrida mista in Portogallo è l’incontro, quasi l’abbraccio tra due tradizioni taurine e il matador chiamato a officiare l’evento ne sente tutto il peso e comunque a rinunciare nemmeno pensarlo. I locali della biglietteria odorano del legno di cui sono ricoperti, un tavolo sgombro, un costume liso da forcado e vecchie fotografie di touradas d’inizio ‘900 completano l’arredamento. Mi informo sulla posizione di toril e presidenza e a prezzi popolarissimi mi assicuro i biglietti, li scelgo a ridosso di una via di fuga che mi possa consentire di far uscire le mie figlie senza dover disturbare nessuno qualora mostrassero segni di impazienza, non è la prima volta per loro ma sono piccole e io non ho mai trovato le parole giuste, se esistono, per dare un’adeguata spiegazione su quel che avviene in un’arena, ho rinunciato lasciando che fossero loro a definirlo con risultati sempre sorprendenti. In una caffetteria chiedo caffè e pastel de nata, al momento di pagare la donna al bancone mi domanda se ho un’automobile e se ce l’ho non capisce perché stia perdendo tempo: c’è una festa di tori nella foresta! Museo e cattedrale possono aspettare, non rimane che partire al seguito di quattro anziane signore su un fuoristrada…

ROTA DO TOIRO

La strada dei tori si snoda al centro dell’isola immersa in una vegetazione rigogliosa, muri di ortensie ne segnano il tracciato, le ganaderias si susseguono una via l’altra, i cancelli sono aperti ovunque e ovunque ci si scopre benvenuti. Questa mattina è Rego Botelho, divisa azul e branco, a ospitare la festa nel cerchio di una placita in pietra, alle spalle pascoli a perdita d’occhio, oggi saranno i bambini a divertirsi con quattro becerri, gli adulti sono già di buon’ora impegnati in grigliate senza fine, la foresta lentamente si riempie, arrivano anche gli ambulanti, una banda di ottoni prende posto sui gradoni in pietra e attacca un paso doble disturbato a tratti dal fragore lontano della vecchia station wagon. Sotto lo sguardo vigile dei fratelli maggiori e ben posizionati in prossimità del burladero, bambini di non più di 4 anni richiamano l’attenzione di agitatissimi torelli per poi mettersi in salvo non appena l’animale sembra cogliere la provocazione E’ un giocoso rito d’iniziazione in un luogo e un’atmosfera straordinari e io non vorrei essere da nessun’altra parte.

LA MONUMENTAL

I locali della sede della Tertulia Tauromaquica Terceirense adiacenti all’arena in un giorno di corrida sono pieni già dal primo pomeriggio, sono puliti e spaziosi, oltre al consueto corredo di vecchi manifesti, fotografie e teste impagliate, tre grandi sale video dove gli avventori commentano a ciclo continuo prodezze a la portuguesa e veroniche ispaniche. E’ amata la corrida spagnola: a giugno, durante i quattro giorni della Feira de Sao Joao, sono stati invitati a esibirsi Manuel Escribano, Daniel Luque, Tomàs Campos e Roca Rey e qui in pieno oceano le cronache da Las Ventas sono seguite con passione. Oscillando perennemente tra le suggestioni equestri di Campo Pequeno e i passaggi sublimi del toreo a piedi ad avere la meglio sono i forcados  innalzati al rango di autentici eroi della Monumental. Bevo una birra e mi attardo tra le sale fino all’apertura dei cancelli. Ci sono davvero tutti, alcune parrocchie hanno addirittura organizzato piccoli pullman per non far perdere lo spettacolo ai più anziani e all’entrata ai bambini viene offerto un gelato, la banda degli ottoni accompagna l’ingresso dei cinquemila, la cerimonia del paseo è interminabile, poi finalmente si comincia. El Fandi – come speravo – non indugia in alcuna ostentazione circense, piazza le banderillas in modo rigoroso e torea, bene, senza quegli orpelli che l’hanno reso insopportabile agli aficionados più ortodossi, il momento della verità, qui solo simulato con una banderilla, è accompagnato da un urlo ben scandito dagli spalti: MATALO, cui segue un applauso che ha il sapore del tributo, i cavalieri si divertono e i forcados affrontano il lavoro sporco raccogliendo le ovazioni più calde, i sei tori, neanche a dirlo, superbi. Liquidato il terzo si rifà la pista, i bambini corrono a salutare i toreri e ad ammirare i cavalli lungo i corridoi esterni, ragazze appena adolescenti fanno capannello intorno al giovane Joao Pamplona che dal canto suo, ultimo cavaliere romantico, si presta gentile. Poi anche questa corsa finisce, per la prossima bisognerà aspettare una settimana, l’arena si svuota, la station wagon si allontana annunciando il prossimo cartel.

SAO SEBASTIAO

Henrique ha passato tutta la vita nell’arcipelago, mi ha guidato alla scoperta dell’isola, mi ha indicato luoghi e riti, ha cercato di spiegarmi lo spirito di questa comunità aperta e accogliente. Siamo diventati amici nel modo più semplice: seduti a un tavolo appagati dai piaceri del vino e della cucina, guardiamo la piazza affollata di São Sebastião bevendo una birra in equilibrio precario su delle assi pericolanti, la gente è assiepata ovunque, la festa è al culmine,  il colpo d’occhio straordinario. Henrique è nato a Pico, l’isola più prossima navigando verso ovest, mi racconta che fino a 30 anni fa da una piccola torre di avvistamento un uomo scrutava l’oceano a occhio nudo, al comparire dei capodogli lanciava un razzo di segnalazione e 20 uomini si precipitavano sulla spiaggia da dove con velocissime barche a remi, una fune e un pugno di arpioni forgiati a mano, partivano in caccia. Niente navi, nessuno strumento di navigazione o cannoni esplosivi. Venti uomini, una balena. Ci campava tutta l’isola. Evochiamo quasi all’unisono il nome di Melville a mezza voce e ci salutiamo, il mio tempo a Terceira è finito. Grazie di tutto Henrique, arrivederci a Pico.

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