In effetti bastava saltare direttamente ai titoli di coda, per capire: produttore esecutivo della pellicola è Alejandro Iñarritu, classe 1963, from Mexico.
Il quale Iñarritu, fra i migliori registi nel mondo di questo ultimo decennio, è abituato a trattare temi duri e difficili, e a farlo senza concessioni: chi non conosce Babel o 21 grammi, due clamorosi capolavori, corra velocemente ai ripari.
Qui, la mano del maestro messicano si sente eccome: Toro Negro, uscito nel 2005 per la regia di Carlos Armella e Pedro Gonzalez-Rubio, è un pugno nello stomaco.
Dimenticate il cinema taurino patinato, quello delle storie d’amore tra il giovane torero e la bella andalusa; dimenticate i documentari rigorosi e appassionanti di francese fattura; dimenticate le sperimentazioni di El Brau Blau e anche il neorealismo de Il momento della verità di Rosi.
Toro Negro è neo-iper-iper-realismo, crudo, senza redenzione, senza alcuna salvifica via d’uscita.
La macchina da presa segue, nella vita di tutti i giorni, le gesta di Fernando Pacheco: siamo nella penisola dello Yucatan, a un centinaio di km dalle spiagge dorate di Cancun, e nella comunità maya della regione Fernando, con il soprannome de El Suicida, si esibisce in qualità di torero nelle feste di paese.
Il problema è che El Suicida di torero non ha niente: né i vestiti, esibendosi invero più spesso con qualche camicia di fortuna e con pantaloni rattoppati mille volte; né i tori, ché quello che affronta Fernando è bestiame di vario genere, con o senza corna, e che di bravura nel sangue non ne ha vista alcuna goccia sin dalla creazione del mondo; né, infine, le capacità: El Suicida è più che altro un disperato buffone, un saltimbanco affascinato certo da toreri e corrida ma che sopravvive esibendosi in spettacoli a metà tra il circense e il cabaret.
Soprattutto, El Suicida non è torero.
La regìa lo riprende ubriaco prima di entrare nell’arena, lo segue nelle liti con la donna che presto gli darà un figlio e che lui omaggia riempiendo di botte, nella sua vita fatta di espedienti, umiliazioni, miseri traffici.
Toro Negro è una discesa in apnea nella disperazione del Suicida, nella povertà assoluta di quelle terre dove si festeggia e ci si ubriaca per sfuggire a una vita di miserie, dove con quattro assi in croce si allestisce un’arena ridicola che per quel giorno diventa il centro del mondo, dove tutto sembra la copia imperfetta e triste di una vita normale.
Toro Negro sta a Sangue e arena come i flim di Lars Von Trier stanno a Harry ti presento Sally.
Straordinario.
(originariamente pubblicato su Allecinquedellasera)