Una serata a Las Ventas

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foto di Michele Saladino

Sono le sei di pomeriggio di domenica 8 ottobre 2023 e io sto per assistere alla mia prima Puerta Grande a Las Ventas, ma ovviamente ancora non lo so. Sono quasi quindici anni che vengo ai tori a Madrid, eppure, a parte una meravigliosa faena con cui El Cid lasciò il segno sulla feria di Otoňo del 2013 (faena purtroppo conclusa malamente alla stoccata), e a parte due clamorosi tercios della cuadrilla di Castaňo con i Cuadri in quella stessa feria, di corride qui non ho ricordi particolarmente felici. Sarà l’importanza della plaza, sarà il peso della pressione sui toreri, ma molto raramente ho assistito a qualcosa che rispecchiasse le aspettative. Il che non ha mai tolto fascino a questa plaza unica. Madrid ha sempre qualcosa di magico e tornare è la parola d’ordine. Quest’anno poi rappresenta per me qualcosa di speciale. Con la mia compagna Caterina ci sono anche i suoi figli, la sedicenne Virginia, e il quattordicenne Antonio all’esordio assoluto. 

Penso a loro, soprattutto, quando arriviamo in fondo a calle de Alcalá e prima di immergerci nella folla svoltiamo in una stradina laterale per la classica tappa al Waniku. L’afición si divide per gusti taurini e difficilmente si va mai d’accordo, ma fra amici ci si divide soprattutto per bar. Il nostro, da molti anni, è questo, dove assieme alla birra fresca ci sono i saluti agli amici aficionados italiani e le chiacchiere con gli amanti del toro toro che qui sciamano di continuo, fra lamentele, esaltazioni, speranze ogni volta diverse. Dopo la corrida, però, è più dolce fermarsi. Prima, non c’è da perder tempo. Entrare nella plaza de toros di Las Ventas infatti è un’esperienza unica.

Fra sigari, bevande che passano di mano in mano e uomini e donne che si accalcano, ci fermiamo per una breve tappa alla libreria, poi emergiamo in terrazza con vista plaza, e andiamo a occupare i nostri posti al sol tendido 6 alto. Quando respiro l’aria frizzante di Madrid osservando gli spalti, mi sento nuovo. Per me essere qui tutti e quattro è già motivo di gioia. Aver creato in loro la curiosità attraverso la mia passione è impagabile. Spesso noi che amiamo los toros siamo guardati male, a volte considerati reietti. Non è facile viverla quotidianamente, in Italia, ma alla fine prevale un’idea che esprimerei così: che importa? Quando accanto hai due ragazzi curiosi, come può importarti tutto il resto? Cerco di rispondere alle loro domande evitando tecnicismi di cui so veramente poco. Per me infatti la corrida è sempre pura emozione. Emozione che arriva attraverso il rito. La stessa emozione che possono provare loro due, anche ignorando i fondamentali, semplicemente lì tranquilli a respirare e gustarsi queste due ore abbondanti. Il timore, certo, è che dopo il primo toro preferiscano abbandonare. Ma non succederà….

Una garanzia teorica è costituita dalla ganaderia. Anche se il toro è sempre un enigma, i ragazzi si troveranno davanti ai Victorino Martin, quelli della corrida del siglo, forse la corrida più famosa di sempre. Certo non esordiscono con il classico toro dei nostri anni. E la difficoltà di questi animali è chiara fin dall’inizio. Román il primo matador della serata,si prende immediatamente una cornata di quelle che non fanno sconti e dopo poco è costretto a lasciare l’arena. I ragazzi, però, non si scompongono. Osservano ogni cosa sereni e sempre più attenti.

Secondo a entrare in pista è Borja Jiménez. Ha fatto bene, quest’anno, ne ho sentito dire cose assai buone, ma certo non è tra i toreri più famosi, ovviamente non è una delle cosiddette figuras e per me rappresenta una grande novità. Mai l’ho visto toreare prima. Nel frattempo, lentamente cala il sole e un tramonto opaco si prende il cielo. Ma è sulla sabbia della plaza che si devono tenere gli occhi. Anche perché il luccichio dei trajes a Las Ventas quando scende la sera è qualcosa di pazzesco. Lo sfavillio di lustrini sembra accompagnare la bellezza delle faenas di questo ragazzo sivigliano venuto a Madrid a dare tutto e che Madrid compensa con un immediato entusiasmo. I miei parametri quando assisto a una corrida sono semplici: tecnicamente me ne intendo poco, mi affido completamente alla fortuna endemica di quel che provo sulla pelle, perché, sì, le volte che il mistero si compie in una plaza de toros io immediatamente lo sento nella pelle d’oca. Non è frequente, certo, ma per fortuna succede, succede ancora, e anzi oggi succederà molto spesso.

I passi al natural di Borja Jiménez coinvolgono tutti e la plaza si trasforma in quel luogo quasi mistico in cui un silenzio sacro si alterna agli olè. Come in un crescendo rossiniano nei suoi tre tori (purtroppo Román non rientrerà) Borja Jiménez trova la serata che potrebbe svoltargli la carriera; la sensazione è quella di assistere all’apoteosi del duende, quando tuttofunziona e tutto emoziona, quando torero e toro sembrano diventare un’unica figura. 

Le tre orecchie (generose secondo gli esperti visto l’errore in una stoccata, errore che a Madrid normalmente non è perdonato), portano Borja Jiménez al trionfo. I ragazzi non hanno parole. Sono i loro volti a raccontare la felicità. Ma io sono più felice ancora. Ho vissuto una serata memorabile e al tempo stesso sento che forse anche in loro è scattato qualcosa oltre alla curiosità. Magari è entrato nelle loro anime quella specie di verme che dà tormento e felicità, quel virus della passione che difficilmente è destinato a scomparire. Evito di ragionare troppo e con Antonio corriamo fuori a vedere l’uscita del sevillano dalla puerta grande.

Sono momenti unici. Momenti che è impossibile raccontare. È buio ormai mentre la folla abbandona la plaza eppoi la piazza riversandosi nei bar. Passiamo di nuovo al Waniku. Non c’è fretta, adesso. Gli esperti spiegano, criticano, analizzano. I meno esperti ascoltano e bevono. I ragazzi seguono ogni cosa in silenzio. Poi, mentre siamo seduti a mangiare orejas e jamón, mi domandano: “allora quando torniamo per la prossima corrida?”

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