Tauromachie italiane: Napoli

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Maschio Angioino - Foto di A. D'Ambra

Le notizie che circolano sulla corrida nel Regno di Napoli riguardano esclusivamente la capitale e sono scarne, ma molto interessanti. Si sa che corride si celebrarono a San Giovanni a Carbonara in occasione della visita di Carlo V il 3 gennaio del 1536 (M. A. Visceglia, Il viaggio cerimoniale di Carlo V dopo Tunisi, 2001); a quanto pare lo stesso vicerè Don Pedro de Toledo era un eccellente toreador, talmente appassionato al mondo delle corride da restar ferito durante una esibizione napoletana nel 1533 (R. D’Elia, Vita popolare nella Napoli Spagnuola, 1971). In certe occasioni ci scappò anche il morto, come nella corrida del 16 maggio 1661 a Largo di Palazzo (I. Fuidoro, Giornali di Napoli dal 1660 al 1680, 1934). Ancora, lo apprendiamo da siti web spagnoli, si tenne una festa taurina il 13 gennaio del 1680, in occasione del matrimonio di Carlo II con Maria Luisa d’Orleans; dal volume Cerimoniale del viceregno spagnolo e austriaco di Napoli 1650 – 1717, curato da A. Antonelli, veniamo a conoscenza che ogni anno, per la festa di San Giacomo, patrono di Spagna, si celebrava una corrida a largo di Castello, l’attuale Piazza del Municipio. Lo stesso testo ci informa di due corride a Castel Nuovo, la prima offerta dal Marchese di Bayona, l’ultima dal Principe di Piombino nel 1681, e d’una corrida a Mergellina il 25 agosto del 1685 per celebrare l’onomastico della regina.

Una traccia interessante del rapporto tra Napoli e la tauromachia si conserva a Castel Nuovo. Il dipinto, che copre interamente la lunetta della controfacciata del secondo atrio dell’Arco di Trionfo di Alfonso d’Aragona, rappresenta una veduta di Plaza Mayor durante una corrida. L’immagine riproduce un modello pittorico parecchio diffuso sia in Italia che in Spagna. Corride a Plaza Mayor sono, infatti, raffigurate in dipinti conservati al Museo di Storia di Madrid, al Museo Archeologico di Madrid ed al Museo del Teatro la Scala di Milano. Le ragioni che portarono a commissionare quest’opera sono ignote, così come il nome del suo autore, ma è evidente che la raffigurazione pittorica crea, con le sue linee prospettiche, un sorprendente collegamento tra Napoli e Madrid, qualcosa di talmente moderno che potremmo definire “virtuale”, una strabiliante connessione col centro imperiale di irradiazione di potere e cultura.

In quei secoli si plasmò indubbiamente una strettissima compenetrazione culturale tra il Regno di Napoli e la Spagna, col mescolamento e l’assorbimento di tradizioni ed usanze, e gli spettacoli di tauromachia ne sono testimonianza.

In Feste celebrate in Napoli per la nascita del serenis.mo Prencipe di Spagna, si legge una interessante descrizione di corrida che sviluppa un continuo parallelo con le feste della Roma pagana. Il parallelo è così stretto che risulta quasi difficile distinguere la descrizione della corrida napoletana dalla ricostruzione di quella dell’antica Roma. Ci sono dei particolari molto interessanti, anzitutto il nome d’un torero, Emanuele Carafa, figlio del Duca di Nocera, poi notizie sull’impiego di soldati, fuochi d’artificio, mastini e di un fantomatico “gatto mammone” che dovrebbe essere un grosso felino, forse proveniente dall’Oriente. Era il novembre del 1657 e, al cospetto del Vicerè García de Avellaneda y Haro, Conte di Castriglio, presero il via le celebrazioni per la nascita di Felipe Próspero, Principe delle Asturie, terzo figlio nato dal matrimonio fra il re Filippo IV e la sua seconda moglie Marianna d’Austria, destinato poi a morire a soli quattro anni. Spogliata dei riferimenti alla letteratura classica vi proponiamo questa lettura a conclusione del nostro scritto:

“Al mantenimento di queste Corone, ed al conquisto dell’altre, a cui è destinata la Casa d’Austria, è necessario formare Esserciti di Soldati valorosi, che al confronto de’ nemici, sprezzando la morte, trà lo spargimento del sangue si avvalorassero a più magnanime imprese, onde a somiglianza de Romani, Idea altissima di Politica, fù necessario mantenere in usanza il gioco de’ TORI, acciò in quel combattimento si accendessero gli animi de’ suoi Campioni alla guerra. E perche la Spagna, qual Cavallo Troiano, partorisce le militie, che per tuttp il Mondo, o guerreggiano, o difendono, o conquistano, con somma raggione doveasi nella Spagna celebrare con Pompa il GIOCO DE’ TORI.

Quindi l’Eccellentissimo Signor Vicerè saio, e generoso volle con questa pompa di Tori rassomigliar le Feste di Napoli alle Feste di Spagna, sollenizzate con l’incontro de’ Tori; ed ai Giochi di Roma Trionfante… A questo paragone l’Eccellentissimo Signor Conte, havendo racchiuso più Tori in un Theatro, non solo comandò li eccitassero gente del volgo di sperimentate forze, ma ancora Soldati e Cavalieri di sommo valore; tale fu D. Emanuele Carafa, figlio del Duca di Nocera, rinomato per gloria, e vanto nelle guerre, e nell’otio Cavaleresco, stimato assai valoroso. Sedeva S.E. trà Cavalieri, e Dame, che concorse erano con nuove gale, onde lo stesso Theatro di Sabato si vidde risplendere con nuova pompa, tanto più ragguardevole, quanto più bizzarra: e dispacciato il Campo, due Capitani di giustizia pigliando l’ordine di S. E. entrarono i Cacciatori del Toro.

Prima di ogni altro entrò la Guardia di S.E. e marciando con il suo Capitano, e Tenente con più gale bizzarramente adorni, disoccuparono questi la piazza e poi D. Emanuele Carafa, non tralignante dal paterno valore, e coraggio Hispano, accompagnato da XXIV. Staffieri vestiti di panno verde, guarniti riccamente di argento, con goliglia, e fogge Castigliane, passeggiò il Campo sopra un superbo Cavallo alla ginetta, e diede a vedere il Theatro, simile alla Piazza Maggiore di Madrid…

Entrò il primo Toro, e come spaventato per vedere tanta gente, e le trave della sua felua, con la pompa dell’apparato, e con il fiore del Popolo, Nobiltà Napoletana, mentre solitario errato havea tra boschi vagabondo, allora posto al confronto d’innumerabile popolo sgomentato, come persona stupida per maraviglia, fermò il piede, ed irritato non hebbe ardimento incontrare il Cavaliero, quindi fatto scherzo de’ Caciatori, diede a vedere, per magnificenza del spettacolo, quel Gioco di TORI DOMITI, che nel gran Theatro di Pompeio dar soleano i fanciulli, assaltandoli, ferendoli e prostrandoli…

Morto questo e levato via, uscì un’altro temerario Toro assai feroce e furibondo…

Torva la fronte havea, e le orecchie altiere, e spargendo polvere in alto, flagellavasi co la coda, per eccitare più fiero orgoglio…

Contro a questo, corse la turba de’Cacciatori, & assaltandolo da varie parti, esperimentarono tutti, che il valore di un solo è bastante contro cento timorosi assalitori; Comparve del volgo una turba accinta a combattere, e formando una siepe di pali, o Canne, pareva volesse imprigionare, ed insieme trafigere al Toro, quando l’indomita Bestia di Colco, fumando con fuoco di sdegno, fattosi incontro alla gente, che mancante d’industria, seza valore aspettava, e tremava, subito senza atterrarla se la vidde a piede prostrata su’l campo supplicar la vita. Credo questi non sapessero l’antico costume de’Romani, che nel Teatro di simile armi avvalevansi contro le fiere, però il Genio destinolli a tale impresa con le antiche maniere di combattere per nobilitare questa festa tanto famosa…

Era cosa riguardevole vedere tante haste, e tante lancie tutte drizzate a ferire, ed irritare il Toro…

Alcune dunque l’irritavano, ed altri lo ferivano; onde la Bestia divenuta ferocissima, correva apportando stragge per tutto il Campo con sommo horrore de’riguardanti…

Stavasene trà tanto D. Emanuele, aspettando il Toro, il quale furiosamente correndo, ora urtava con uno, ora atterrava un altro, e tutto furibondo, co’ muggiti, sfidava al paragone delle forze anco gli Hercoli…

D. Emanuele però senza correre aspettava il Toro, poco curando del suo pazzo furore; e questo divenuto frenetico, per troppo sdegno, contro tutti del Campo, urtò, ferì, formando più circoli, e parendoli viltà combattere con gente vile, chinò il campo, e designando un colpo horribilissimo, qual animato Cannone, si fece indietro, e poi velocissimo corse ad incontrare l’inimico, nobile suo Campione; La polvere, che destava il piede, il fumo delle narici, ed il fuoco vibrato dagli occhi tramezzati dal tuono de’ muggiti, formava una horrenda tempesta, mossa contro un solo Cavaliero, il quale provvisto di Cavallo non usato a simile combattimento, mostrava al parere di ogni uno, gravemente pericolare.

Ansiosa duque la gente mirava, e temeva, e come no usata a giochi saguinolenti, dubitado nell’incontro del Toro, incontrasse il Cavaliero la morte, senza respiro attonita sospirava le civine sventure: quando ecco D. Emanuele vedendo venire il Toro, volle veloce dar òa vpòta, e schernire con il giro la gran BEstia, ma si avvide nell’istesso tempo, che il Cavallo adombrato tra tanto horrere, s’impaurisce, batte, e ribatte l’istessa orma, nè si mosse; e spronato al fine si diede a dietro facendosi bersaglio incuitabile al Toro, il quale urtando lo feì e squarciogli gran parte del ventre.

Allora il Toro insuperbito, e fatto maggiormente feroce… poichè usando il Cavallo, vidde tinto di nemico sangue il Campo, per coprire di porpora il Theatro, in cui trionfato havea del più generoso animale.

Quindi naturalmente inferocendosi il Toro alla vista del colore rosso, e del sangue, divenne una furia, e si accinse al rincontro; per il che impegnato già il Cavaliero sin d’allora, che il Toro lo toccò, quasi chiamandolo a duello, e sfidandolo al paragone delle forze: conoscendo ancora che il Cavallo cadente, non era valevole al combattimento; pose mano alla spada, ed accoppiando al forza con l’arte, come se armato fosse di fulmine, lo percosse sopra il collo, dove chiamano Cervicone, ed in un subito se lo fece cadere a piedi ginocchione, quasi adorando il suo vincitore…

Fù veramente colpo fatale, a cui ceder devono le prodezze decantate dagli antichi Autori ne Theatri di Roma…

Siche per dargli il meritato applauso, rivolto all’Eccellentissimo Sig. Conte, che mirava, ed applaudeva, dirò quel tanto disse Martiale a Cesare…

Così glorioso il Cavaliero, passeggiando il Campo, con l’istesso Cavallo, che spargeva per tutto sangue, quasi per renderlo proportionato a si brl trionfo, zoppicando ad ogni passo, al pari del vanto di Filippo Macedone, segnava i suoi trionfi.

Alla fine giunto alla presenza dell’Eccellentissimo Sigor Vicerè profondamente se gl’inchinò…

Strascinato dunque il Toro, divenne scherzo del volgo, e cedè il Campo ad altri due, che entrarono ferocissimi contro questi avventati mille dardi, non valsero per altro, che per irritarli a più cieco furore, onde sciolsero i CANI, e si vidde un nuovo combattimento di fiere…

Quei Mastini addentando i Tori, con sorpresa, che gli rendeva inabile l’uso delle corna, dopo haverli fatto correre per tutto il Campo, offrendoli ai Cacciatori disarmati, ciascheduno immergeva in essi il ferro, onde con cento rivoli di sangue bagnando il Theatro, erano spettacolo, e spettatori delle proprie sventure…

Comparvero altri Tori, ed al suo confronto un bravo Soldato al cavallo, valorosamente correndogli incontro, ecco che il Cavallo intimorito si sospese in alto con tanto furore, che gittò a terra il suo Cavaliero, il quale divenuto Anteo con la spada ferendo, e ripercotendo al Toro, gittollo a terra ucciso, e di lui trionfò… Trà tanto si oppose al furore di un altro Toro, che scorreva feroce, un forte Soldato, che seguendolo ovunque fuggiva feroce, co una lancia gli passò la gola, restando il Toro in essa sospeso… Fece ancora vista gioconda un Gatto Mammone, che anteposto al Toro, mentre la gran bestia ferire lo voleva, egli saltandogli sù le spalle lo scherniva, e mordendolo l’eccitava a combattere in danno, fatto oggetto di burla, chi fù portento delle furie.

Alla fine uccisi da Cani, e Cacciatori quelle due Furie: entrarono altri Tori con fuochi artificati nel capo, che gittando fiamme, parevano fossero venuti dalle contrade di Colco… Or questi Tori irritati dal fuoco, correvano pazzi per il Campo, e l’uno accendendo le furie dell’altro urtavano senza sapere qual nemico ferir dovessero; e nello stesso tempo feriti da più parti muggivano con voci horrende e spaventevoli…

Così sparando, e per tutto volando in alto il fumo oscurò il Theatro, ed al cadere del Toro, cadde anco il giorno: l’Eccellentissimo Signor Vicerè si ritirò a festeggiare nella gran Sala Reale…”.

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