Fernando de los Ríos, socialista e futuro ministro agli affari esteri della Repubblica, fu tra gli artefici della fallita sollevazione antialfonsista del dicembre 1930. Nelle ore concitate della repressione, trovò riparo nella casa del romanziere Ramón Pérez de Ayala, ma, prima che la polizia giungesse anche lì, dovette darsi da fare per trovare un rifugio più sicuro. Un suo amico aveva una finca fuori Madrid e gli offrì aiuto. Si trattava però di lasciare la città senza dare nell’occhio, un’impresa pericolosissima se non impossibile perché i soldati del generale Berenguer pattugliavano ogni strada della capitale. Era una mattina di freddo pungente, de los Ríos si sedette sul sedile posteriore, avvolto in una lunga e pesante clamide, mentre il suo amico si mise al volante. L’auto imboccò strade secondarie e si diresse verso la campagna, ma non bastarono certe avvedutezze e incappò in un posto di blocco. Seguirono attimi di panico per i due viaggiatori, Fernando de los Ríos rischiava la libertà e la vita, il suo amico l’accusa di complicità e favoreggiamento. Quando la portiera anteriore si aprì, però, le guardie arretrarono inaspettatamente coi visi imbarazzati, labbreggiando uno sciacquio di scuse. Pochi cenni, la portiera si richiuse e l’auto riprese la sua corsa fino alla finca. Lì de los Ríos rimase al sicuro per una settimana, sino a quando volle spontaneamente consegnarsi alle autorità per unirsi ai suoi compagni in cella. Prima, non poté che ringraziare ancora una volta l’amico che lo aveva aiutato, correndo rischi altissimi per condurlo fuori città e accogliendolo in casa propria, quell’amico era Juan Belmonte.
Particolari come questi sono presenti nelle memorie della guerra civile redatte dall’ambasciatore statunitense Claude Gernade Bowers, pubblicate in Italia col titolo Missione in Spagna. 1933-1939: prova generale della Seconda guerra mondiale dall’editore Res Gestae.
Il libro è una fonte interessante per comprendere l’evoluzione della Seconda Repubblica, la vittoria del franchismo e le impressioni del mondo diplomatico. L’autore espone una sorprendete sequenza di conversazioni con personalità di spicco della politica e della società spagnola e momenti vissuti in prima persona. Bowers ha una lucida consapevolezza della sconfitta della democrazia in Europa e dell’ascesa tragica delle destre. Un testo del genere, però, non può mancare nella libreria di un aficionado.
L’ambasciatore, infatti, rivela grande interesse per i tori, per la fiesta di Pamplona, soprattutto per “el Pasmo de Triana”. Con l’attrice Ruth Chatterton, fu suo ospite durante un tentadero nella sua finca sivigliana, dopo la Settimana Santa del 1935, lo vide pure toreare in diverse occasioni e ci lascia le su impressioni su una corrida tenutasi ad Aranjuez: «Contro un toro veramente ottimo egli lavorò in modo superbo; a un certo punto, combattendo molto vicino come era sua abitudine, fu colpito a una gamba da uno zoccolo del toro e prese a camminare zoppicando verso la barriera. La folla si mostrò preoccupata che il suo idolo fosse stato ferito gravemente: subito Belmonte smise di zoppicare e con aria noncurante si inchinò per rassicurare i suoi adoratori. Un’altra volta combatté tanto vicino che fu travolto e ancora si sentì un brivido percorrere la folla: ma subito Belmonte balzò in piedi e allargò le braccia per far capire che tutto andava bene. Poi seguì l’esibizione più spericolata che io abbia mai visto fare con la cappa: Belmonte attirò il toro vicino a sé, facendolo girare a contatto del suo corpo, poi di colpo fece voltare l’animale infuriato nella direzione opposta, tanto rapidamente che non mi resi conto di costa stesse accadendo. Il suo secondo toro fu ancora una volta “cattivo”, poiché rifiutava di caricare la cappa e se ne stava immobile a guardare con curiosità il drappo rosso. Alla fine, disperando di cavar qualcosa da quel toro, Belmonte si preparò a uccidere, ma dalla folla sorse un clamore di disapprovazione. Belmonte si fermò, guardò la folla, poi con un sorriso tentò ancora con la cappa, senza miglior successo; finalmente quando il toro fu vicino alla “barriera”, Belmonte si fece avanti con la spada, ma il toro la fece volar via con uno scossone rabbioso della testa. Belmonte si chinò a raccoglierla facendosi scuro in volto. In quella stessa stagione un altro dei tori di Belmonte aveva lanciato la spada nelle tribune, ed uno spettatore era rimasto ferito: quel giorno il matador aveva pianto come un bambino. Questa volta, prima di provare ancora, condusse il toro lontano dalla “barriera”».
Diversi altri piccoli aneddoti taurini contribuiscono a rendere suggestivo quest’affresco di anni altrimenti tanto drammatici.