Dopo il successo di “Fiesta” e l’esperienza nella Guerra Civile, Hemingway rimise piede in Spagna nel 1959 per tornare a scrivere di corride. Seguì da vicino il mano a mano tra i due cognati toreri Dominguín e Ordóñez e sfornò Un’estate pericolosa, un’immersione nel mondo dei tori che invelenì gli aficionados. In questo reportage narrativo dal sapore romanzesco, infatti, Don Ernesto si lasciò andare a giudizi poco onorevoli sul grande Manolete, morto in una corrida in cui era presente lo stesso Dominguín.
Mai l’aveva visto toreare, eppure l’accusava di servirsi di trucchi, di imitare il pericolo, di abbindolare il pubblico, d’evitare di affrontare i tori con coraggio e lealtà. Molta poca stima anche per il Maestro Dominguín. Un acceso sostegno al giovane Ordóñez condizionò ogni suo parere; si potrebbe dire persino che fu egli stesso a inventare quella rivalità familiare e, dopo il ferimento di Dominguín a Bilbao, a proclamarne il vincitore, celebrandone le gesta e la perfezione del modo di toreare.
Quando tornò nel Nuovo Mondo, Hemingway precipitò in uno strano malessere che, di lì a poco, lo spinse al suicidio.
Jurij M. Nagibin, nel racconto intitolato L’ultima corrida di Hemingway, immaginò che all’origine dell’inquietudine che colpì l’americano ci fosse la scoperta di essere stato ingannato. Ordóñez il vincitore s’era ritirato dalle plazas, Dominguín, ripresosi dalla cornata, continuava a trionfare. Tutto ciò gli parlava chiaro. Ogni momento del mano a mano era stato calcolato dai due toreri per sfruttare la fama dello scrittore e godere del clamore che un suo libro avrebbe loro garantito. Hemingway aveva sempre osannato l’autenticità di un duello con la morte, l’attimo eternale della stoccata, la verità della corrida nell’epoca della menzogna e dello svigorio, denunciando i presunti espedienti di toreri come Manolete e Dominguín, ma Ordóñez l’aveva raggirato e lui c’era cascato. Scoperto che anche la corrida era diventata un gioco di carte truccate, non gli era rimasta che “una sola verità, la verità dell’ultimo colpo in canna”.
La finzione letteraria del russo coglie così l’aspetto più incomunicabile della tauromachia, la sua ragione, la sua essenza e gli olé e la turbabilità di ogni tendido: l’intera cifra della verità.
Il volumetto, pubblicato nel 1986 dalla Biblioteca Reverito Editore, è curato da Evelina Schatz, con la traduzione di Eugenio Alberti. A corredarlo c’è un interessante saggio di Vittorio Strada sulla fortuna di Hemingway in Russia.