La Pasqua di Arles: un bilancio sintetico

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Thomas Joubert e Almanaque (ph. El Tico)

Il silenzio che ha salutato Andy Younes, arrivato al limite dei tre avvisi con quel pedraza smisurato che chiudeva il pomeriggio, ha abbassato il sipario sulla féria pasquale della città più taurina di Francia, Arles la romana, Arles la capitale dei tori, Arles che come da tradizione sfila per prima tra le grandi feste del paese gallo. JB Jalabert aveva confezionato un ciclo che sulla carta aveva comunque qualche motivo di interesse, considerando che in tempi di vacche magre non è facile costruire programmi completi come un tempo: il cartel della città provenzale si è ridotto, rispetto a soli dieci anni fa, di una corrida e due novigliade, la crisi si fa sentire anche nel mondo dei tori. Il bilancio della féria è tutto sommato positivo, non sono mancati elementi di insuccesso o ragioni di sconforto (la presentazione dei ferri commerciali) ma gli abbonati hanno potuto anche godere di prestazioni e momenti da ricordare. Vediamo in una breve carrellata quanto successo sulla sabbia di quello splendido anfiteatro romano.

Sabato 20 aprile. Tori di Garcigrande e Domingo Hernández (1 e 2), inconsistenti e fiacchi tranne il volenteroso secondo. Morante de la Puebla (silenzio/silenzio), JM Manzanares (orecchia/due orecchie),
Álvaro Lorenzo (orecchia/ovazione).

Coraggio, disposizione e un bagaglio tecnico già confortante sono gli argomenti con cui il giovane Álvaro Lorenzo, classe ’95 e prima porta grande della stagione madrilena 2018, ha convinto il pubblico francese: il trofeo al suo primo toro è guadagnato grazie ai passaggi naturali più eleganti e sinceri del giorno e a quella serie di manoletinas chirurgiche in chiusura; con l’ultimo del pomeriggio, meno incline alla collaborazione, il ragazzo ha dato fondo agli studi invernali nelle lunghe sessioni di campo per far fronte ad un avversario non del tutto simpatico. C’è da scommettere che lo troveremo di nuovo al cartel della prossima Pasqua. Primo trionfo del ciclo per un JM Manzanares apparentemente ritrovato dopo quella pallida stagione dell’anno passato: con il secondo del giorno, l’unico del lotto a poter giustificare una qualche associazione al concetto di bravura, per quanto in questo caso non certo esplosiva, il belloccio di Alicante ha saputo ben canalizzare le cariche franche di un toro che, dopo essersi ben comportato alla picca, metteva nella muleta energia e una certa classe. Il premio maggiore arrivava però al quinto del pomeriggio, un Garcigrande disordinato e scomposto che riceveva da Manzanares un trattamento serio e capace, il toro pian piano si ritrovava e l’uomo regalava agli aficionados una serie a sinistra profonda e potente. Musica, recibiendo della casa, due orecchie. Arles non è il regno di Morante e Morante non è torero di Arles: qualche singolo ed isolato dettaglio profumato di torerìa d’altri tempi è poca cosa per chi si pretende genio e figura.

Domenica 21 aprile (mattino). Novigliada francese con bestie di François André, Le Lartet, Giraud, Camino de Santiago, Domaine de Malaga, Taurelle et fils. Tibo Garcia (ovazione), Maxime Solera (orecchia), Baptiste Cissé (ovazione), Carlos Olsina (orecchia), El Rafi (orecchia), Adam Samira (orecchia).

Mattinata più che riuscita per questa novillada 100% tricolore. Purpanito e Intrepido, rispettivamente portatori dei ferri di Lartet e Malaga, meritavano alla morte il giro d’onore dopo aver favorito due combattimenti veri, il noviglio di Lartet guadagnava a fine corsa il premio al migliore esemplare del giorno. Apprezzabili e confortanti le qualità mostrate dai sei ragazzi, e se era El Rafi a tornare in hotel con in tasca il premio conferitogli dalla Jeunesse taurine du Pays d’Arles, era Maxime Solera che ancora una volta soprendeva per le sue doti non comuni: Purpanito era accolto a puerta gayola e poi affrontato con stoicismo e classicismo, Solera già ben conosce il segreto del dominio e la scienza dei terreni, la faena era a tratti elettrizzante e l’uccisione era suicida e commovente, la muleta lasciata a terra. Maxime Solera, un ragazzotto che arriva all’arena suonando dall’autoradio del furgoncino il paseo di Céret, segnatevi questo nome.

Domenica 21 aprile. Tori di Jandilla e Vegahermosa (secondo e terzo), di presentazione al limite e di gioco prevedibile. Chamaco (silenzio/orecchia), Sebastián Castella (ovazione/due orecchie), M.A. Perera (ovazione/vuelta)

E’ il turno di Chamaco, torero rock’n’roll e sui generis che negli anni ’90 per qualche breve stagione si era ricavato un posto nel cuore dell’aficiòn francese grazie a un’intepretazione eccentrica e blasfema dell’arte del toreo, di tornare per un giorno a vestirsi di luci. Diciassette anni senza toreare, uno stuolo nutrito di piccoli fan acritici lasciati per tanto tempo senza i suoi show fatti di grottesca caricatura e coraggio suicida, Chamaco è di nuovo in pista. E Chamaco fa Chamaco al suo secondo del giorno, la recita è quella che ci si attendeva: interlocuzione continua con il pubblico, passi sgraziati ma potenti, la voltereta immancabile e il delirio sui gradini, orecchia protestata e giro d’onore molto festeggiato. Forse travolto egli stesso da tanto inattesa energia, Perera brindava l’ultimo del giorno a Chamaco stesso: lavoro serio che andava in crescendo e si chiudeva con serie ben disegnate e una catena di luquesinas ben fatte, il palco si rifiutava di far calare il fazzoletto bianco, vuelta sonora per l’uomo. Il trionfatore del giorno, almeno a stare al pallottoliere, era la maggior figura francese del momento, quel Sebastián Castella che attento a tenersi lontano il giusto dai riflettori sta costruendo una seconda parte di carriera rotonda e apprezzabile (Miura per lui a Siviglia). Estoconazo sin puntilla al quinto del giorno, dopo una faena made in Castella che aveva però il merito della completezza, due orecchie.

Lunedì 22 aprile. Tori di Pedraza de Yeltes (1 e 6), El Tajo y la Reina (2 e 5), Torrestrella (3 e 4), eleganti nella presentazione, difformi come logico nella prestazione, superiore il terzo, Almanaque di Torrestrella, un toro completo nei tre atti e premiato con la vuelta al ruedo. Mano a mano per Thomas Joubert (orecchia/ovazione/ovazione) e Andy Younes (silenzio/orecchia/silenzio).

Thomas Joubert è un torero unico. La figura fragile e ieratica, l’espressione in volto solenne e malinconica, la verticalità, l’abbandono, la romantica devozione all’arte e al toro. Chissà se un giorno di là dai Pirenei qualche impresario vorrà offrirgli l’occasione che egli oggi merita più di chiunque, e chissà se quel giorno i fantasmi che hanno abitato i suoi pensieri e indebolito la sua spada, il suo toreo delicato ma assurdamente vero, la sua muleta così poetica e struggente vorranno permettergli di coglierla, quell’occasione. Thomas Joubert è un torero d’altri tempi e moderno che combatte con grazia e canta un toreo raffinato e leggero e vero. Indossando lo stesso costume blu e oro squarciato lo scorso agosto a Bayonne quando non la sua carriera ma la sua vita il toro mise a rischio, dedicato il suo primo avversario all’équipe medica che quel giorno lo miracolò mantenendolo tra noi, il giovane di Arles lunedì pomeriggio ha colato sulla tela immaginaria pennellate di grazia e di bellezza, di autenticità e forza, di sogno e coraggio. E’ mancata la spada, che avrebbe reso trionfale il suo ritorno alle piste e che forse gli avrebbe guadagnato qualche contratto in più, ma Thomas Joubert è di nuovo di luci e quei dieci minuti di battaglia e eleganza servite al magnifico burraco di Torrestrella rimarranno tra i ricordi migliori dei presenti. Orecchia anche per Andy Younes ma il confronto, in equilibrio nello score, è stato impari nella dimensione.


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