La brigata dei toreri

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“Fascismo ha otto lettere, che sono: 1. Guerra, 2. Distruzione, 3. Furto, 4. Prostituzione, 5. Libertinaggio, 6. Schiavitù, 7. Ignoranza, 8. Egoismo. Questo è il fascismo compagni, per questo appoggiamo la goloriosa consegna del Governo, per vincere per sempre, con le sei lettere di Spagna e le nove di Resistere, queste otto odiose lettere di Fascismo. Viva la Repubblica! Viva la Spagna! Resistenza! Capitano Vilches Parrita.”

Così Manuel Vilches, il capitano Manuel Vilches in arte Parrita, in un articolo pubblicato su En Marcha!, organo della 39° Divisione dell’Esercito Repubblicano, nell’agosto del 1938. Parrita era torero di professione (registrato dal Cossìo come matador de novillos): dopo alcuni trionfi nelle arene andaluse, nel 1926 debuttò a Madrid di fronte a bestiame di Veragua. I suoi contratti andarono regolarmente calando, e nel ’33 decise di farsi subalterno. La Guerra Civile lo vide risolutamente schierato nelle fila delle forze repubblicane, si affiliò al Partito Comunista Spagnolo e dopo un periodo di esilio rientrò in patria nel 1941.

Ci racconta questo Javier Perez Gomez, giornalista e storico, in quell’avvincente e prezioso libro che è La Brigada de los toreros – Historia de la 96° Brigada Mixta del Ejercito Popular (ed. Almena, 2005). Formante parte dela 39° Divisione dell’Esercito Repubblicano, la  novantaseiesima combatté sul fronte di Teruel tra il 1937 e il 1939: in essa si arruolarono spontaneamente, in alcuni casi ricoprendo posti di comando, toreri e subalterni e picadores.Da qui il nome con cui venne identificata: la brigata dei toreri. Il libro è il risultato di una ricerca attenta e scrupolosa che ha obbligato l’autore, per anni, a rincorrere e interrogare testi e documenti, intercettare dispacci e sentenze, raccogliere fotografie, e infine anche incontrare e intervistare alcuni protagonisti della storia della 96°.

Ciò che rende il libro davvero interessante e affascinante, al di là dell’interesse storiografico che ha la ricerca stessa e che si sviluppa nella ricostruzione della storia e delle battaglie della 96° (a cui è dedicata la prima parte del testo), sono i profili e le storie dei toreri che in essa si sono impegnati e arruolati: toreri col pugno chiuso che non esitarono a abbandonare professione e famiglia o abitudini di vita per andare a combattere al fianco dell’Esercito Repubblicano.

A capo della brigata stava Luis Prados Fernandez, detto Litri II: nato nel 1902 a Madrid da una famiglia di industriali, cominciò a esibirsi da maletilla nella prima adolescenza, e mai abbandonò il sogno di vestirsi di luce, anche quando cominciò a guadagnarsi da vivere facendo il barbiere. Dopo una lunga gavetta, all’età di 25 anni riuscì ad accreditarsi tanto da comparire in spettacoli di una certa categoria: collezionò dodici novigliade con picadores quell’anno, nel 1928 fece buona impressione a Barcellona, nel 1929 debuttò finalmente a Madrid con tori di Bernardo Quiros. Un giornalista dell’epoca evidenziò in lui un coraggio impressionante e una certa qual modestia nei mezzi. Forse proprio per questo venne relegato ben presto al circuito delle corse minori: a Robledo de Chabela (Madrid) proprio in occasione di una di queste feste di paese, capitò che uno dei tori riuscisse a fuggire, raggiungendo addirittura la piazza del villaggio dove seminò panico e terrore. Litri II lo raggiunse e lì, nel centro del paese, gli diede due passi e lo fulminò con una stoccata perfetta. Gli anni successivi lo videro galleggiare nelle feste popolari, toreando fino a un massimo di dodici o tredici corse per stagione. Nel 1936, alle prime avvisaglie, non esitò e si arruolò volontariamente: il suo incarico civile di segretario dell’Associazione dei Toreri, e il coraggio smisurato che trasferì dalle arene al campo di battaglia favorirono la sua ascesa: arrivò a integrarsi nel Battaglione Galán, che confluì successivamente nel mitico Quinto Reggimento. Alla creazione della 96° Brigata, nella quale chiamò a combattere colleghi toreri, Prados divenne presto maggiore comandante della formazione, che guidò con spirito combattivo e tenacia. Affiliatosi al PCE durante la guerra, fu in seguito catturato e sottoposto a un lungo e discusso processoTornò libero nel 1943, e riprese una seconda carriera taurina come subalterno in alcune cuadrillas: lavorò anche per Antonio Bienvenida, al quale tagliò la coleta nel giorno del ritiro di questi. Si dedicò dunque alla sua attività commerciale: Litri II teneva due bar a Madrid, il Bar Casa Litri sul Paseo de las Delicias, e il bar El Alcachofo in calle Francisco Silvela. Morì nel 1959.

Di origine basca, Juan Mazquiarán toreò con il soprannome di Fortuna Chico nella provincia di Madrid: debuttò nella capitale il 19 marzo del ’26, e negli anni successivi alternò cornate e sfilate in arene come Bilbao, Alicante, Valencia, Madrid. Nel 1933 la sua carriera si impantanò, e Cossìo imputa questa brusca frenata alle tante cornate ricevute negli anni. Si incorporò volontario nel Quinto Reggimento pur senza aver avuto nessuna militanza politica prima della guerra e, affascinato dalla figura del suo comandante Litri, ben presto raggiunse la 96° Brigata, del cui Battaglione 383 divenne quasi subito capo. Fu con questo incarico che partecipò a tutte le azioni fino alla fine della guerra: in questa stessa brigata combattevano anche suo fratello Raimundo, che era banderigliero e faceva parte della sua squadra, e Cirilo, il fratello minore. Fortuna Chico fu catturato insieme a Litri, in provincia di Murcia. Dopo sette anni di carcere, il ritorno alla libertà: il suo tentativo di reinserirsi nel circuito dei tori fu piuttosto effimero e durò lo spazio di due brevi stagioni. Gli studi di ragioneria gli guadagnarono un posto di lavoro in una fabbrica, dove rimase fino alla pensione: continuò a frequentare il bar di Litri, sul Paseo de las Delicias.

Rafael Barberán, Guillermo Martin Bueno o Luis Mera Sanchez, anche, passarono dalle spade con cui finivano i novigli nelle arene di provincia ai fucili che usavano al fronte. Luis Mera Sanchez, novigliero e banderigliero originario di Badajoz, entrò volontario nella 96°. Finita la guerra, rientrò nella capitale e riprese subito a toreare, formando parte della cuadrilla di Luis Díaz Madrilenito. Fu arrestato il 7 maggio del 1939 sulla Gran Via, poco prima di iniziare una corrida, accusato da un collega di essere un torero rosso.

Silvino Zafòn Colomer nacque a Estrella, nel 1908. Emigrò a 12 anni a Barcellona dove lavorò come garzone in una panetteria. Debuttò come novigliero nel 1928, toreando quell’anno 16 novigliade nel nord della Spagna e in Francia: si presentò a Madrid nel 1930. Le stagioni successive lo videro protagonista di una buona carriera con il soprannome di El Niño de la Estrella: arrivò a toreare 31 corse in un anno, e frequentò arene come Siviglia, Saragozza, Barcellona, Valencia, Madrid. Nel 1933 il suo nome era conosciuto in tutta la penisola spagnola, il maestro Jaime Teixidor scrisse un pasodoble per lui e la distilleria di Gregorio Fuertes imbottigliò un anice con il suo nome. Poco prima della guerra si dava per certo il suo passaggio alla categoria superiore: prese in effetti l’alternativa nel maggio del ’37 a Barcellona, in piena guerra civile, dalle mani di Pedro Basauri, che gli cedette un toro di Pellon. Fu poco dopo questa data che raggiunse la 96° Brigata, con ogni probabilità contattato da Litri, raggiungendo il grado di commissario di guerra. Al terminare la guerra, Zafòn tornò nelle arene dove però la sua alternativa non venne riconosciuta, fatto che lo retrocedette tra i novilleros .La sua carriera risentì molto della sua militanza nell’Esercito Popolare, e non ritrovò mai più lo slancio che aveva negli anni prima della guerra. Nel 1946 El Niño fu arrestato e imprigionato. Inviso alle autorità franchiste, decise di trasferirsi in Francia e installarsi a Orange: qui allacciò presto nuovi contatti con l’ambiente taurino della regione, riprendendo a toreare e cominciando a organizzare eventi. Morì nel marzo del ’63 in uno sfortunato incidente in moto, ed è sepolto nella taurinissima città di Arles.

Saturio Torón El León Navarro fu un torero valoroso e un ottimo banderigliero: un giornalista dell’epoca scrisse una volta che Saturio Torón con il suo atteggiamento addirittura spaventava i tori, e fino dava loro delle testate sulla fronte. Non dubitò un solo secondo e si arruolò nelle file repubblicane: morì sul fronte di Madrid, il primo gennaio del 1937, per l’esplosione di una granata.

Enrique Torres Herrero, di Valencia, arrivò a prendere l’alternativa nel 1927 e poco dopo si dedicò a una campagna in Messico. Confermò l’alternativa a Madrid l’anno successivo: ma dopo alcuni anni a pieno regime la sua carriera bruscamente si arrestò e nel 1935 decise di ritirarsi. Il 26 settembre del 1936 Enrique Torres riprese in mano gli arnesi e conseguì una nuova alternativa, a Valencia, dalle mani del compaesano Manuel Martinez. Poco dopo si unì alle milizie repubblicane, e al termine della guerra si trasferì in Sudamerica dove riprese la carriera taurina. Nel ’49 una grave cornata rischiò di togliergli la vita.

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