Io l’ho visto. Ho visto Dio vestirsi di luci, a Madrid, nella plaza de toros di Las Ventas alle sette e trentacinque della sera del 12 ottobre, Día de la Hispanidad.
Al termine di una tarde di lacrime, paura, emozione, dopo aver tagliato due orecchie a Tripulante, toro di Garcigrande, castano con occhi di pernice, che lo aveva travolto lasciandolo a terra quasi esanime, e aver conquistato la Puerta Grande di Madrid per la seconda volta in carriera Morante de La Puebla, il più grande torero vivente, ha camminato fino al centro della pista e si è tagliato la coleta, annunciando a sorpresa la fine della sua carriera di matador.
Di certo non è stato un gesto improvvisato, Morante ci aveva pensato più volte negli ultimi anni, ma quelle lacrime che scendevano copiose dai suoi occhi, bagnando la sabbia più sacra per gli aficionados di tutto il mondo mescolate a quelle della gente nei tendidos, erano le lacrime di un Dio che scende sulla terra e si fa Uomo. Un uomo che non ha paura di mostrare la sua debolezza, la sua paura, i suoi tormenti interiori. Il tremore del Maestro, il suo sguardo smarrito mentre, piangendo, mostrava la coleta alla plaza attonita rimarranno per sempre impressi nella mia memoria, perché hanno suscitato in me un sentimento di immensa tenerezza verso un uomo eroico che ha saputo danzare con la morte.
Il 12 ottobre 2025 fa già parte della storia del toreo e della Spagna. Il giorno precedente Morante ha inaugurato di fronte alla Puerta Grande di Las Ventas una statua di Antoñete da lui fortemente voluta. Nel Día de la Hispanidad, oltre alla corrida pomeridiana di Garcigrande in cui nel cartel, oltre a Morante, c’erano Fernando Robleño e Sergio Rodriguez, si è svolto anche un Festival al mattino, con grandi toreri del passato come Curro Vázquez, Cesar Rincón, Enrique Ponce, Frascuelo accompagnati dallo stesso Morante e dalla giovane novillera Olga Casado. In questa occasione Morante ha ribadito il suo attaccamento alla storia del toreo: ha toreato un novillo bianco(ensabonado) di Osborne, Presumido, in omaggio al mitico Atrevido di Osborne toreato da Antoñete a Las Ventas il 15 maggio del 1966 in una faena rimasta leggendaria.
Morante non si ritira come un torero qualunque, ma come un artista che ha concepito la sua carriera come un’opera d’arte, riassumendo in sé l’essenza dei grandi maestri, da Belmonte a Pepe Luis, da Joselito ad Antoñete, dei quali ha recuperato antichi pases trasformando ogni stagione in un omaggio continuo. Lo ha fatto anche attraverso i suoi trajes de luces: nei ricami e nei colori dei suoi abiti c’erano continui richiami a toreri di altre epoche, a simboli della storia e a gesti di memoria taurina. Il traje che ha indossato in quella che, si è saputo poi, sarebbe stata la sua ultima corrida era identico a quello indossato da Antoñete nella sua despedida: chenel y oro.
Negli anni della pandemia, onorando il suo status di figura del toreo, si è fatto carico della sopravvivenza della fiesta nacional: si è confrontato con ogni tipo di encaste e, nel 2022, come un torero di altri tempi, ha toreato in un centinaio di corride in una sola stagione, un’impresa quasi impossibile. Il 26 aprile 2023 ha tagliato una coda a un toro di Domingo Hernandez alla Real Maestranza di Siviglia, trofeo che non veniva concesso da oltre mezzo secolo, entrando definitivamente nell’Olimpo della sua terra. L’8 giugno di quest’anno ha aperto per la prima volta la Puerta Grande di Madrid, cosa che non gli era mai riuscita in oltre trent’anni di carriera. Il 2025 è stato per lui un anno incredibile, ricco di trionfi, nonostante il riemergere dei suoi problemi psichiatrici che lo hanno costretto a subire terapie molto impattanti sul suo fisico e sulla sua mente. Non è un caso, verrebbe da pensare, che il Divino abbia scelto di manifestarsi in un uomo così puro e così fragile.
E ora? Che ne sarà del toreo, senza Morante? Qualcuno ha scritto che il 12 ottobre è morto il toreo. Certo è che il futuro, a breve termine, appare incerto. Sulla scena c’è un ristretto gruppo di figurasormai superato che suscita poco entusiasmo. Il giovane peruviano Andrés Roca Rey riempie le plazas ma, almeno per ora, non ha né l’arte né il carisma di Morante e, soprattutto, non è spagnolo. La speranza è che gli impresari aprano le porte ad altri toreri, se non vogliono fallire con le loro figuras sulla via del declino, e che ristabiliscano la centralità del toro puntando sulla varietà di encastes.
E di noi? Che ne sarà di noi, che assistiamo a decine di corride ogni anno ma proviamo l’ebbrezza dell’attesa solo in quel giorno in cui, al risveglio, sappiamo che “hoy torea Morante”? Niente sarà più come prima, ci sentiamo orfani, vuoti, con l’anima nuda come quando ci si congeda dal primo amore, quello che ci ha fatto innamorare del toreo con una veronica eterna. Rimane la certezza che la Fiesta continuerà finché un ragazzino, in uno sperduto pueblo della Spagna, sognerà di vestirsi di luci e uscire in trionfo dalla Puerta Grande di Madrid portato sulle spalle fino all’hotel da un corteo spontaneo di aficionados. Come capitò, tanti anni fa, a José Antonio Morante, El Genio de La Puebla.
Post scriptum uno: nella Corrida della Hispanidad del 12 ottobre non era annunciato solo il ritorno di Morante a Madrid ma anche la despedida di Fernando Robleño. Mi addolora pensare che l’addio alle corride di questo grandissimo matador, uno di quelli che ho amato di più, non abbia potuto godere del rispetto e della visibilità che avrebbe meritato. Purtroppo a volte i giorni importanti vengono oscurati dall’imprevisto, e il gesto clamoroso di Morante ha suscitato un turbine di emozioni che nessuno è riuscito a fermare. In mezzo a tanto rumore l’addio di Robleño, così dignitoso, è passato in secondo piano.
José Escolar, Valverde, Adolfo Martín, Cuadri, Hernández Pla, Saltillo, Sobral, La Quinta, Dolores Aguirre, Miura…Ero presente nel luglio scorso a Céret quando gli altoparlanti della plaza de toroshanno elencato tutte le ganaderias affrontate da Robleño nella sua lunga carriera. Si tratta, per la maggior parte, di ganaderias “duras”, e per questo Robleño era un torero idolatrato soprattutto dall’afición torista.
Nella sua ultima corrida Robleño avrebbe potuto uscire in trionfo, un’altra volta, ma purtroppo alla stoccata finale è stato tradito dalla spada. Un’orecchia e uscita, comunque, sulle spalle degli aficionados dalla porta de cuadrillas.
Post scriptum due: dalla serata di domenica scorsa è un profluvio di commenti, di post sui social, di foto, di ricordi, in una sorta di delirio collettivo che, forse, serve solo ad allontanare il momento in cui si farà strada quella che, a ora, sembra la dura realtà: siamo orfani di Morante. Però…Fonti dirette, che hanno trascorso col Genio de La Puebla la sua prima notte da ex matador, affermano di averlo sentito dire: “non ho tagliato la coleta, l’ho solo tolta”. Pedro Marqués, agente e amico di Morante, ha postato su Instagram la foto della stoccata al suo ultimo toro con la didascalia: “la tua penultima stoccata, Maestro”. Siviglia ribolle di rabbia perché il suo figlio più amato ha scelto di annunciare il ritiro a Madrid e non nella città che in lui quasi si identifica (Sevilla es Morante y Morante es Sevilla). Insomma, la fine della storia potrebbe essere ancora da scrivere.