Qualche mese fa ho letto a mia nipote la favola del toro Ferdinando. Avevo una bella edizione antica e mia nipote che sa tutto della mia passione per i tori, mi ha chiesto molte spiegazioni sull’animale, sulla sua aggressività, sulla sua crescita negli allevamenti e anche sulla storia che le avevo letto. Le era chiaro che si trattasse di una favola ma voleva capire se fosse possibile almeno qualcosa di quel che viene raccontato nel libro. Le ho spiegato un po’ di cose. Vi assicuro che non era affatto dispiaciuta di sapere la verità. Per un adulto come me, il momento peggiore è venuto quando ho cercato di spiegarle che un toro di quel genere, se anche esistesse (e non esiste), non potrebbe essere allevato per diventare un toro da corrida e verrebbe mandato al macello prima, perché per un toro così mansueto non si spendono soldi e tempo invano (allevare ciascun toro da corrida costa molto impegno oltre che denaro e non esiste chi lo faccia invano). Al tempo stesso, se anche fosse arrivato alla corrida un toro talmente mansueto da rifiutare qualsiasi tipo di lotta nell’arena al punto da costringere gli addetti ai lavori a portarlo fuori vivo, be’ quell’esemplare non tornerebbe mai negli allevamenti e verrebbe ucciso prima per farne immediatamente carne da tavola. Non esistono allevatori disposti a investire su un animale inservibile. Mi sentivo duro nel rivelare tutto questo, ma esageravo. I bambini capiscono subito. Qualcuno potrà pur pensare che io sia crudele o cinico, ma vi assicuro che a un bambino è molto chiara – almeno da una certa età in poi – la distanza fra la favola e la realtà. È chiara in maniera istintiva, credo. E tendenzialmente ho l’impressione che per il bambino sia molto più faticoso seguire favole che tentano di sovrapporsi alla realtà rispetto alle favole che invece dalla realtà evidentemente si discostano.
Ma non sono qui a parlar di favole e bambini, in generale. E mi rendo conto che forse non per tutti è nota La storia del toro Ferdinando. Si tratta di una favola scritta da Munro Leaf (1905-1976) e meravigliosamente disegnata da Robert Lawson (1892-1957). Fu pubblicata nel 1936 e solo due anni dopo Walt Disney ne trasse un fortunato film: Ferdinand the Bull. La trama è assai semplice. Corredati da veloci e perfette frasi evocative, i disegni raccontano “C’era una volta in Spagna”. Ossia i tempi in cui nacque un torello di nome Ferdinando che diversamente dai suoi simili non amava la lotta e preferiva la solitudine contemplativa annusando fiori. Mentre i suoi coetanei crescevano desiderando il giorno in cui avrebbero potuto mostrarsi nell’arena di Madrid, Ferdinando diventava grosso e forte ma sempre distante dal gruppo e dedito all’ombra della sua quercia. Fino al giorno in cui arrivano gli uomini che devono scegliere l’unico toro da portare a Madrid. Devono testare l’aggressività degli esemplari e proprio in quel momento, punto da un insetto, Ferdinando si scatena in salti e corse assolutamente incongrui rispetto alla sua natura. “I cinque uomini lo videro e strillarono tutti di gioia. Era il toro più grosso e più cattivo di tutti. Era il toro giusto per la corrida a Madrid”. Ma non è affatto “giusto” Ferdinando. Nella plaza dai toni medievali il tronfio matador e gli sgangherati banderilleros nulla possono fare dopo l’iniziale terrore di fronte al “feroce Ferdinando”. Infatti “quando arrivò al centro dell’arena vide i fiori nei capelli delle belle signore e si sedette tranquillo ad annusare il profumo”. Di combattere neppure si era sognato. Furono costretti dunque a riportarlo a casa. È lì ancora adesso, “sotto la sua quercia preferita che annusa tranquillo il profumo dei fiori”.
Nessuno pretende da una favola che racconti la realtà – voglio ripeterlo. Amo il bel libro antico e lo rileggerò sempre ai bambini che vorranno, spiegando loro la bellezza di quel mondo, l’aggressività congenita dei tori da combattimento, la serietà con cui vengono allevati in campi immensi dove trovano ciascuno la propria quercia preferita, dove scorrono torrenti e fiumi, dove si mescolano a ogni tipo di animale e possono correre e combattere fra di loro per l’organizzazione del clan, rispettando il capoclan o tentando di prenderne il potere. Racconterò sempre volentieri che alla corrida non va un solo toro ma sei e che il matador ha paura ma se è un bravo torero con la paura avrà fatto i conti e che magari anche da un toro mansueto riuscirà a tirar fuori la segreta e congenita aggressività per fare la corrida più bella che sia possibile, magari unendosi all’animale in una danza perfetta che permetta al pubblico di chiedere la salvezza dell’animale e spingerlo a tornare negli allevamenti, sì, proprio a causa della sua forza e del suo carattere, per farsi padre di altri tori come lui. Racconterò ogni cosa. So che i bambini apprezzano la favola e ancor di più la serietà. E so che possono cogliere la bellezza di una corrida fin da piccoli. Possono percepire l’immensità del rito con una freschezza e un intuito a noi adulti sconosciuti.
Ma perché allora scrivo tutto questo? Il fatto è che una nuova, magnifica edizione del libro è uscita in questi giorni anche in Italia (Fabbri Editori, euro 16) corredata da una fascetta che annuncia la prossima uscita di un nuovo film. Ferdinand della Twentieth Century Fox sarà nei cinema a dicembre. E so già prevedere di cosa si parlerà. Lo so con certezza non per il senso di accerchiamento che vivono molti aficionados, ormai dediti alla fuga pur di evitare noie. Lo so perché mi è bastato leggere la bandella della nuova edizione di questo libro. Poche parole molto ben calibrate per dire innanzitutto una storia vera e molto interessante circa il libro in questione. Ossia che nel 1936, quando fu pubblicata, la favola suscitò un gran polverone soprattutto nei paesi totalitari. Si era all’inizio della guerra civile spagnola e in pieno nazismo. Franco, dopo aver preso il potere, mise al bando il libro. In Germania fu addirittura messo al rogo. La metafora pacifista in tempi di guerra e espansionismo militare non era accettabile. Un ragazzino non poteva certo crescere con certe tare psicologiche. Nulla a che vedere con la corrida, in quegli anni. Non era certo con il mondo dei tori che si aprivano dimensioni politiche. García Lorca fu fucilato assieme ai celebri banderilleros anarchici. Il toro dell’alternativa di Manolete aveva nome Comunista prima della guerra civile e poiché si era nel 1939 in pista entrò con il nuovo nome di Mirador. Insomma, niente questioni politiche circa i tori. L’epopea fiabesca di Ferdinando aveva a che fare con la pace e la guerra.
Oggi no. In tempi di presunta pace perpetua, tutto cambia. E la bandella di questa nuova edizione ci dice subito chiaro e tondo che il suo eroe preferisce il profumo dei fiori all’“insensata violenza della corrida”. Non all’ “insensata violenza” in quanto tale. La metafora allora si è già persa. Ma se si perde la metafora che rende la favola tanto lontana dal vero e si finisce per giudicarla portatrice di un’immediata verità, allora si entra in una dimensione completamente diversa, in cui la favola può e deve essere giudicata per i suoi contenuti di verità. Ogni errore presente nel libro diventa allora macroscopico. Il libro stesso diventa menzognero. Ma perché dovremmo arrivare a tanto? A me piace, quella favola. Vorrei continuare a leggerla e commentarla in santa pace. Sarebbe magnifico se non diventasse lo spunto dell’ennesima crociata ignorante e davvero insensata. Vedremo cosa succederà. Se ne ascolteranno di tutti i colori, temo. Prepariamoci.
Bello! Io sono dovuta diventare nonna (da mamma ero troppo giovane e “razionaleggiante”) per rendermi conto di quanto intuitivamente i bambini amino la “favola”, ne colgano il senso, e vogliano sentirsela ripetere e ripetere tante volte… La contestualizzazione è il contributo maturo dell’adulto, ma strumentalizzare le favole è un delitto. Comprerò il libro avendo cura di cancellare “della corrida” dalla bandella.