Il mistero di un maestro

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MADRID, 12/10/2025.- El diestro Morante de la Puebla se corta la coleta tras serle concedidas 2 orejas en el cuarto toro en Las Ventas durante el festejo taurino de la Feria de Otoño celebrado este domingo en la plaza de Las Ventas, en Madrid. EFE/ Borja Sánchez-Trillo

Che cos’è la torería?

Un gesto, un atteggiamento, un’atmosfera, un’aura, uno stato di grazia. Potremmo passare anni a discuterne, a cercare la definizione, a sfinirci in interminabili giri di parole per convincerci di aver colto il punto. Poi arriva un momento in cui, tutta insieme, essa brilla davanti ai nostri occhi e non c’è bisogno di parole, perché è lì, e quel che sappiamo è una cosa soltanto: un torero senza torería non è un torero.

Che torero è stato José Antonio Morante Camacho, detto Morante de la Puebla, lo diranno le enciclopedie e i libri taurini che fioccheranno su di lui, adesso che si è tagliato il codino annunciando il ritiro.

Noi lo abbiamo visto a Las Ventas, quest’anno, riuscire in due imprese analoghe: trovare la forza dentro di sé per tirar fuori dal toro il suo mistero e intrecciarlo al proprio mistero. Un’opera d’arte che in entrambe le occasioni gli è valsa l’uscita trionfale mai prima conquistata a Madrid. 

Domenica scorsa, però, nel giorno dell’Hispanidad, è accaduto altro. Dopo aver finalmente glorificato la figura del Maestro Antoňete con un’autorevolezza e un prestigio ormai conclamati in eventi che precedevano la corrida, Morante è entrato nell’arena, ha affrontato il primo toro senza lasciare il segno, poi davanti al suo secondo, un Garcigrande di nome Tripulante, ha cercato di ritrovarsi, è stato colpito subito e dopo essere rimasto steso in terra, supino, apparentemente incosciente, è tornato in pista, è riuscito nell’opera impossibile in cui domina solo il mistero e, mentre il pubblico gli tributava un’ovazione immensa, ha raggiunto il centro dell’arena muovendo le mani sulla nuca. 

È in questo attimo infinito che la torería si è presa tutto il mondo dei tori, una volta e per sempre.

Eccolo il torero. L’apparente calma con cui calca la pista fino al centro. I movimenti delle dita, precisi, tecnicamente chirurgici ma delicati, senza mai fretta. L’emozione che gli sconquassa il petto e le lacrime di verità.

È difficile stabilire – e non credo che lo sapremo mai – se Morante avesse messo in conto un gesto del genere. Personalmente credo nell’istinto, nell’impulsività classicista di questo straordinario matador de toros, esempio di grazia e di intelligenza torera.

Si può essere stati veri e propri morantisti come alcuni buoni amici. Il più grande di tutti, fra gli italiani, un medico di Siena che ha scritto su queste pagine e che, domenica sera, mi ha inviato messaggi commoventi che vorrei riprodurre. Ma forse un giorno scriverà lui stesso, Marco Garosi, per dire come si possa vivere da aficionado morantista che non ha conosciuto un prima e non vorrebbe conoscere un dopo. Certo scriveranno altri appassionati, qui su Uomini e Tori.

Quanto a me, posso dire che in questi anni di continuo declino, anni di declino del nostro Occidente innanzitutto, un mondo incapace ormai di dare alla ricerca di verità il posto che le spetta, un mondo incapace di fare i conti con la morte, di esplorare emozioni autentiche e di riconoscere i propri limiti, be’, in questi anni, nel mondo dei tori, Morante è stato una guida. Ha illuminato la via con molte azioni dentro e fuori l’arena, tutte ispirate a una semplice frase a cui già avevamo dato lo spazio che meritava, in quanto manifesto non solo relativo al ristretto circolo taurino. 

È necessario guardare indietro per andare avanti.

Non il passatismo che gli hanno rimproverato certi critici. Certo, gli atteggiamenti di Morante potrebbero alimentare un’interpretazione del genere. Ma nulla, nell’esplorazione del passato di questo torero unico, ha il segno del conservatorismo spiccio, neppure la ricerca estetica, fra vestiti di altre epoche, acconciature, movenze e via discorrendo. Del resto sappiamo bene che estetica e etica si intrecciano e tutto lo studio dei movimenti antichi, dei passi dimenticati e costantemente preparati e riproposti, di certa eleganza torera passata in disuso e tornata in auge per suo merito, tutto questo evoca semmai l’atteggiamento del sapiente, che sia un indovino o un divinatore, quando ripete che solo conoscendo tutto del passato si può prevedere il futuro e vivere il presente. 

Morante de la Puebla ha indicato la via nel mondo dei tori, ma sarebbe una via da percorrere non solo nelle arene sempre più bersagliate da ignoranza, invidia, risentimento. Sarebbe forse l’unica via per ridare al nostro mondo un peso in vicende talmente drammatiche che si è persa la capacità di raccontarle. Dobbiamo esplorare il nostro mistero e il nostro passato se vogliamo esplorare il mistero di ciò che è fuori di noi, come l’animale toro, animale simbolico di ogni altro animale non dotato di logos. Dobbiamo guardarci indietro se vogliamo guardare avanti. Dobbiamo ritrovare umanità se vogliamo essere uomini, così come solo grazie alla torería un torero può realizzare l’impegno a cui ha dedicato una vita.

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Matteo Nucci (Roma, 1970) è scrittore, oltre che aficionado. Negli anni Novanta a El Espinar, durante una notte interminabile, vide vaquillas correre nella plaza. Era l'inizio della febbre tauromachica

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